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S. Alfonso Maria de Liguori Rifless. sulla Passione di Gesù Cristo IntraText CT - Lettura del testo |
CAPO V - Riflessioni sulle sette parole dette da Gesù Cristo in Croce
1. PAROLA I. Pater, dimitte illis, non enim sciunt quid faciunt (Luc. XXIII, 34).
O tenerezza dell'amore di Gesù Cristo verso degli uomini! Dice S. Agostino che il Salvatore nello stesso tempo ch'era ingiurialo da' suoi nemici, cercava per essi il perdono; mentre allora non mirava le ingiurie che da lor ricevea e la morte che gli davano, quanto l'amore che per essi lo facea morire: Illis petebat veniam, a quibus adhuc accipiebat iniuriam; non enim attendebat quod ab ipsis moriebatur, sed quia pro ipsis moriebatur.1 Ma dirà alcuno: E perché Gesù pregò il Padre a perdonarli, potendo egli stesso rimetter loro le ingiurie? Risponde S. Bernardo che pregò il Padre non quia non posset ipse relaxare, sed ut nos pro persequentibus orare doceret.2
Dice poi il santo abate in altro luogo: Mira res! ille clamat:
Ignosce; Iudaei: Crucifige! (S. Bern. De Pass. fer. 4).3 Soggiunge Arnoldo Carnotense: Mentre Gesù sforzavasi di salvare i Giudei, essi affaticavansi per dannarsi; ma presso Dio avea più forza la carità del Figlio, che la cecità di quel popolo ingrato: Cum ipse niteretur ut salvarentur, Iudaei ut damnarentur. Plus debet apud Deum posse Filii caritas quam populi caecitas (Arn. Carnot. Tract. de sept. verb.).4 E S. Cipriano scrive: Vivificatur Christi sanguine etiam qui effudit sanguinem Christi (S. Cypr. L. de bono pat.).5 Ebbe tanto desiderio Gesù Cristo morendo di salvar tutti, che non lasciò di far partecipi del suo sangue quegli stessi nemici, che gli estraevano il sangue a forza di tormenti. Guarda, dice S. Agostino, il tuo Dio appeso in croce; senti come prega per li suoi crocifissori, e poi nega la pace al fratello che ti offese.6
2. Scrive S. Leone (Serm. 11), che per tale orazione di Cristo si convertirono poi tante migliaia di Giudei alle prediche fatte da S. Pietro, come si legge negli Atti degli Apostoli;7 mentre, scrive S. Girolamo, Iddio non volle che restasse vana la preghiera di Gesù Cristo; e perciò in quello stesso tempo operò che subito molti Giudei abbracciassero la fede: Imperavit quod petierat Christus, multique statim de
Iudaeis crediderunt (S. Hier. Ep. ad Elvid. q. 8).8 Ma perché non si convertirono tutti? Si risponde che la preghiera dì Gesù Cristo fu condizionata: purché non fossero quei per cui pregava del numero di coloro a' quali fu detto: Vos Spiritui Sancto resistitis.9
3. In quella preghiera allora Gesù Cristo comprese anche noi peccatori; onde possiamo noi tutti dire a Dio: O Padre Eterno, udite la voce del vostro amato Figlio che vi prega a perdonarci. È vero che noi tal perdono non lo meritiamo, ma lo merita Gesù Cristo che colla sua morte ha soddisfatto con soprabbondanza per li nostri peccati. No, mio Dio, io per me non voglio essere ostinato come i Giudei; mi pento, Padre mio, con tutto il cuore di avervi disprezzato, e, per li meriti di Gesù Cristo, vi cerco il perdono. E voi, Gesù mio, già sapete ch'io sono un povero infermo, anzi perduto per li miei peccati, ma voi apposta siete venuto dal cielo in terra per sanare gl'infermi e salvare i perduti che si pentono di avervi offeso. Di voi disse Isaia (LXI, 1): Venit salvum facere quod perierat.10
E S. Matteo scrisse lo stesso (XVIII, 11): Venit enim Filius hominis salvare quod perierat.
4. PAROLA II. Amen dico tibi: Hodie mecum eris in paradiso (Luc. XXIII, 43).
Scrive il medesimo S. Luca, che de' due ladroni crocifissi con Gesù Cristo uno restò ostinato e l'altro si convertì: il quale vedendo che il suo perfido compagno bestemmiava il Signore - con dirgli: Si tu es Christus, salvum fac temetipsum et nos (Luc. XXIII, 39) - egli il buon ladrone si volse a riprenderlo, dicendogli ch'essi erano castigati come meritavano, ma Gesù era innocente: Et nos quidem iuste, nam digna factis recipimus; hic vero nihil mali gessit (Luc. XXIII, 41). E poi rivolto a Gesù medesimo, gli disse: Domine, memento
mei cum veneris in regnum tuum (vers. 12). Colle quali parole riconobbelo per suo vero Signore e per Re del cielo; ed allora Gesù gli promise il paradiso per lo stesso giorno: Amen dico tibi, hodie mecum eris in paradiso (vers. 43). Scrive un dotto autore, che per tal promessa il Signore nello stesso giorno immediatamente dopo la sua morte gli si fe' vedere alla svelata e lo rendé felicissimo, benché non gli conferì tutte le delizie del cielo prima di entrarvi.11
5. Arnoldo Carnotense nel suo trattato de Sept. Verb., considera tutte le virtù che il buon ladrone S. Dima esercitò nella sua morte: Ibi credit, poenitet, confitetur, praedicat, amat, confidit et orat.12 Esercitò la fede dicendo: Cum veneris in regnum tuum, credendo che Gesù Cristo dopo la sua morte dovea entrar vittorioso nel regno della sua gloria: Regnaturum credidit, scrive S. Gregorio, quem morientem vidit.13 Esercitò la penitenza colla confessione de' suoi peccati, dicendo: Et nos quidem iuste, nam digna factis recipimus. Riflette S. Agostino ch'egli non ebbe animo di sperare il perdono prima della sua confessione: Non est ausus ante dicere memento mei, quam post confessionem iniquitatis sarcinam peccatorum deponeret (S. August. CXXX de temp.).14 Onde disse
S. Atanasio: O beatum latronem, rapuisti regnum ista confessione!15 - Altre belle virtù esercitò allora questo santo penitente. Esercitò la predicazione predicando l'innocenza di Gesù Cristo: Hic vero nihil mali gessit. Esercitò l'amore verso Dio accettando la morte con rassegnazione in pena de' suoi peccati, dicendo: Digna factis recipimus. Onde S. Cipriano, S. Girolamo e S. Agostino16 non dubitano di chiamarlo martire; e riflette il Silveira17 che questo felice ladrone fu vero martire, perché i carnefici in rompergli le gambe fecero quest'officio con più furore per causa ch'egli avea lodata l'innocenza di Gesù, e 'l santo accettò quella pena per amor del suo Signore.
6. Notiamo all'incontro in tal fatto la bontà di Dio che sempre dona più di quello che gli vien richiesto, come dice S. Ambrogio: Semper Dominus plus tribuit quam rogatur; ille rogabat ut memor sui esset, et dixit illi Iesus: Hodie mecum eris in paradiso.18 Riflette in oltre S. Giovanni Grisostomo che niuno meritò la promessa del paradiso prima di questo ladrone: Nullum ante latronem invenies repromissionem paradisi meruisse (Hom. de cruc. et latr.).19 Allora si avverò quel
che disse Dio per Ezechiele, che quando il peccatore si pente di vero cuore delle sue colpe, egli lo perdona in tal modo come si dimenticasse delle offese che gli ha fatte: Si autem impius egerit poenitentiam ... omnium iniquitatum eius... non recordabor (Ezech. XVIII, 21, 22). Ed Isaia ci fa sapere che Dio è così inclinato al nostro bene che quando lo preghiamo subito ci esaudisce: Ad vocem clamoris tui statim ut audierit respondebit tibi (Is. XXX, 19). Dice S. Agostino che Dio sta sempre apparecchiato per abbracciare i peccatori pentiti: Paratus in amplexus peccatorum (S. Aug. Man. c. XXIII).20 Ed ecco come la croce dal mal ladrone sofferta con impazienza gli diventò maggior sua rovina per l'inferno; all'incontro la croce sofferta con pazienza dal buon ladrone gli diventò scala per lo paradiso.
O felice te, santo ladrone, che avesti la sorte di unir la tua morte colla morte del tuo Salvatore! Gesù mio, io da ora vi sagrifico la mia vita e vi cerco la grazia di poter unire nell'ora della morte mia il sagrificio della mia vita con quello che voi offeriste a Dio sulla croce; e per quello spero di morire in grazia ed amandovi con puro amore spogliato da ogni affetto terreno per seguirvi ad amare con tutte le mie forze in tutta l'eternità.
7. PAROLA III. Mulier, ecce filius tuus; deinde dicit discipulo: Ecce mater tua (Io. XIX, 26 et 27).
Si legge poi in S. Marco che nel Calvario vi eran molte donne che guardavano Gesù già crocifisso, ma da lontano: Erant autem et mulieres de longe aspicientes, inter quas erat Maria Magdalene (Marc. XV, 40). Sicché si crede che tra quelle sante donne vi era ancora la divina Madre; ma S. Giovanni dice che la S. Vergine stava non da lontano, ma vicina alla croce insieme con Maria Cleofa e Maria Maddalena: Stabant autem iuxta crucem Iesu mater eius, etc. (Io. XIX, 25).
Eutimio cerca di sciogliere questa difficoltà e dice, che la S. Vergine, vedendo che il Figlio già si accostava alla morte, ella più delle altre donne si avvicinò alla croce, vincendo il timore de' soldati che la circondavano e soffrendo con pazienza tutti gl'insulti e respinte ch'ebbe da patire da quei soldati che guardavano i condannati, per poter ella più avvicinarsi all'amato Figlio: Tunc Dei mater propinquius cruci astitit quam aliae mulieres Iudaeorum vincens timorem.21 Così anche dice un dotto autore, che scrive la Vita di Gesù Cristo, dicendo: Vi erano gli amici che l'osservavano da lontano; ma la S. Vergine, la Maddalena ed un'altra Maria stavano presso la croce con Giovanni; onde Gesù, avendo veduta la Madre e Giovanni, disse loro le parole di sopra notate: Mulier ecce etc.22 Scrisse Guerrico abate: Plane mater, quae nec in terrore mortis filium deserebat.23 Fuggono le madri,
allorché si trovano a vista de' figli moribondi: l'amore non permette loro di assistere a tale spettacolo, di vederli morire senza poterli soccorrere: ma la S. Madre quanto più il Figlio si avvicinava alla morte, più ella si avvicinava alla croce.
8. Stavasi dunque l'afflitta Madre vicina alla croce, e siccome il Figlio sagrificava la vita, così ella sagrificava il suo dolore per la salute degli uomini, partecipando con somma rassegnazione di tutte le pene ed obbrobri che il Figlio soffriva morendo. - Dice un autore che disonorano la costanza di Maria quei che la fanno dipingere svenuta a piè della croce:24 ella fu la donna forte che non isvenne né pianse, come scrive S. Ambrogio: Stantem lego, flentem non lego (in c. XXIII Luc.).25 Il dolore che provò la S. Vergine nella Passione del Figlio superò tutti i dolori che può patire un cuore umano; ma il dolor di Maria non fu un dolore sterile, com'è quello delle altre madri nel vedere i patimenti de' figli, fu un dolor fruttifero; mentre coi meriti di tal dolore e colla sua carità, al dire di S. Agostino, siccome ella è madre naturale del nostro capo Gesù Cristo, così fecesi allora madre spirituale di noi fedeli membri di lui, cooperando colla sua carità a farci nascere e ad esser figli della Chiesa: Plane mater, dice il santo, membrorum eius quae nos sumus, quia cooperata est caritate ut fideles in Ecclesia nascerentur, quae illius capitis membra sunt (S. Aug. L. de sanct. virginit. c. VI).26
9. Scrive S. Bernardo che sul monte Calvario questi due gran martiri, Gesù e Maria, taceano ambedue, mentre il gran dolore che gli opprimea, toglieva loro il poter parlare: Tacebant ambo illi martyres, et pro nimio dolore loqui non poterant (S. Bern. De lam. Mar.).27 La Madre guardava il Figlio agonizzante sulla croce, e 'l Figlio guardava la Madre agonizzante a piè della croce e macerata dalla compassione che avea delle di lui pene.
10. Stavano già poi Maria e Giovanni più vicini delle altre donne alla croce, in modo che in quel gran tumulto poteano essi più facilmente udir la voce e distinguere gli sguardi di Gesù Cristo. Scrive S. Giovanni: Cum vidisset ergo Iesus matrem et discipulum stantem quem diligebat, dicit Matri suae: Mulier, ecce filius tuus (Io. XIX, 26). - Ma se Maria e Giovanni stavano accompagnati colle altre donne, perché dicesi che Gesù guardasse la Madre e 'l discepolo, come se quelle altre donne non fossero state da lui vedute? Risponde S. Grisostomo che l'amore fa sempre guardare con più distinzione gli oggetti che più si amano: Semper amoris oculus acutius intuetur.28 E S. Ambrogio parimente scrive: Morale est ut quos diligimus, videamus prae ceteris.29 Rivelò la stessa B. Vergine a S. Brigida che Gesù per guardar la Madre che stava accanto alla croce, dové affaticarsi nel comprimere le sue ciglia per togliersi da sovra gli occhi il sangue che gl'impediva la vista: Nec ipse me adstantem cruci videre potuit
nisi sanguine expresso per ciliorum compressionem (Rev. lib. lV, cap. 70).30
11. Le disse Gesù: Mulier, ecce filius tuus, accennandole cogli occhi S. Giovanni, che le stava accanto. - Ma perché la chiamò donna e non madre? La chiamò donna, può dirsi, perché stando egli già prossimo alla morte le parlò da lei licenziandosi, come le dicesse: Donna, fra poco io sarò morto, onde tu non avrai altro figlio in questa terra; ti lascio pertanto Giovanni che ti servirà ed amerà da figlio. -E con ciò diè ad intendere che Giuseppe era morto, perché se quegli fosse stato ancor vivo, non l'avrebbe separato dalla sua sposa. Tutta poi l'antichità attesta che S. Giovanni fu sempre vergine e specialmente per tal pregio fu egli sostituito per figlio a Maria, ed onorato ad occupare il luogo di Gesù Cristo; onde canta la S. Chiesa: Huic matrem Virginem virgini commendavit.31 E sin dal punto che morì il Signore, come sta scritto, S. Giovanni ricevé Maria nella propria casa, e l'assisté e servi in tutta la di lei vita, come sua propria madre: Et ex illa hora accepit eam discipulus in sua (Io. XIX, 27). Volle Gesù Cristo che questo suo diletto discepolo fosse testimonio oculare della sua morte per poterla poi egli più fermamente attestare nel suo Vangelo e dire: Qui vidit testimonium perhibuit (Io. XIX, 35) E nella sua lettera: Quod vidimus oculis nostris... et testamur et annuntiamus vobis etc. (I Io. I, 1 et 2). E perciò il Signore, nel tempo in cui gli altri discepoli l'abbandonarono, diè a S. Giovanni la fortezza di assistergli sino alla morte in mezzo a tanti nemici.
12. Ma torniamo alla S. Vergine ed entriamo a scorgere la ragione più intrinseca per cui Gesù chiamò Maria donna e non madre. Con ciò volle significarci essere ella la gran donna predetta nella Genesi che dovea schiacciare la testa del serpente: Inimicitias ponam inter te et mulierem, et semen tuum et semen illius; ipsa conteret caput tuum, et tu insidiaberis calcaneo eius (Gen. III, 15). Da niuno si dubita che questa donna fu la B. Vergine Maria, la quale per mezzo del figliuolo, o pure il figliuolo per mezzo di lei che lo partorì,
dovea schiacciare il capo di Lucifero. Ben dovea Maria esser nemica del serpente, poiché Lucifero fu superbo, ingrato e disubbidiente, ma ella fu tutta umile, grata ed ubbidiente. Si dice: Ipsa conteret caput tuum, perché Maria per mezzo del figlio abbatté la superbia di Lucifero, il quale insidiò al tallone di Gesù Cristo -- s'intende per tallone la di lui santa umanità ch'era la parte più vicina alla terra -ma il Salvatore colla sua morte ebbe la gloria di vincerlo e privarlo dell'imperio ch'egli, per causa del peccato, avea ottenuto sul genere umano.
13. Disse Dio al serpente: Inimicitias ponam inter semen tuum et semen mulieris.32 Ciò dinotava che dopo la ruina degli uomini, recata loro dal peccato, con tutta l'opera della Redenzione di Gesù Cristo, pure doveano esservi nel mondo due famiglie e due posterità; per lo seme di Satana vien significata la famiglia de' peccatori suoi figli da esso corrotti; per lo seme di Maria venne significata la famiglia santa, che comprende tutti i giusti col loro capo Gesù Cristo. Onde Maria venne destinata madre così del capo, come de' di lui membri, quali sono i fedeli. Scrisse l'Apostolo: Omnes enim vos unum estis in Christo Iesu; si autem vos Christi, ergo semen Abrahae estis (Gal. III, 28 et 29). Sicché Gesù Cristo coi fedeli sono un sol corpo, mentre il capo non si divide da' suoi membri; e questi membri son tutti figli spirituali di Maria, posto che abbiano lo stesso spirito del suo figlio naturale qual fu Gesù Cristo. Quindi S. Giovanni non fu chiamato Giovanni, ma il discepolo diletto del Signore: Discipulum stantem quem diligebat. - Deinde dicit discipulo: Ecce mater tua, acciocché intendiamo che Maria SS. è madre di ogni buon cristiano ch'è amato da Gesù Cristo, ed in cui vive Gesù Cristo col suo spirito. Ciò volle esprimere Origene quando scrisse: Dixitque Iesus matri: Ecce filius tuus; perinde est ac si dixisset: Ecce hic Iesus quem genuisti; etenim qui perfectus est non amplius vivit ipse, sed in ipso vivit Christus (Orig. In Io. pag. 6).33
14. Scrive il Cartusiano che nella Passione di Gesù Cristo le mammelle di Maria si riempirono del sangue che scorrea dalle di lui piaghe, affinch'ella poi ne alimentasse noi suoi figli.34 Ed aggiunge che questa divina Madre, colle sue preghiere e meriti che acquistò specialmente coll'assistere alla morte di Gesù Cristo, ottenne a noi l'esser fatti partecipi del merito della Passione del Redentore: Promeruit ut per preces eius ac merita meritum Passionis Christi communicetur hominibus (Carthus. L. II De laud. Mar. c. XXIII).35
O Madre addolorata, voi già sapete ch'io mi ho meritato l'inferno; non ho altra speranza di salvarmi se non che mi sian comunicati i meriti della morte di Gesù Cristo; questa grazia voi me l'avete da impetrare, e vi prego ad ottenermela per amore di quel Figlio, che sul monte Calvario vi vedeste innanzi agli occhi chinar la testa e spirare.
O regina de' martiri, o avvocata de' peccatori, soccorretemi sempre e specialmente poi nel punto di mia morte. Da ora mi pare di vedere i demoni, che nella mia agonia si affaticheranno a farmi disperare alla vista de' miei peccati; deh non mi abbandonate allora che vedrete l'anima mia così combattuta, aiutatemi colle vostre preghiere, ottenetemi la confidenza e la santa perseveranza. E perché allora, perduta la parola
e forse anche i sensi, non potrò invocare il vostro nome e del vostro Figlio, da ora v'invoco e dico: Gesù e Maria, vi raccomando l'anima mia.
15. PAROLA IV. Eli, Eli, lamma sabacthani? hoc est: Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquisti me? (Matth. XXVII, 46).
Ma prima di queste parole scrive S. Matteo: Et circa horam nonam clamavit Iesus voce magna dicens: Eli, Eli, etc. Perché mai Gesù Cristo disse queste parole a gran voce? Dice Eutimio che gridò così forte per farci intendere la sua potenza divina, mentre stando prossimo a spirare potea far sentire una voce sì grande: cosa che non posson fare gli agonizzanti per la gran debolezza che allora patiscono. In oltre gridò sì forte, per farc'intendere la gran pena con cui moriva.36 Avrebbe alcuno potuto credere ch'essendo Gesù uomo e Dio, egli colla potenza della sua divinità avesse impedito ai tormenti di recargli
dolore; onde, per toglier questo sospetto, volle manifestar con quelle parole che la sua morte fu la più amara che mai alcun uomo avesse sofferta; e che dove i martiri ne' lor tormenti eran consolati dalle divine dolcezze, egli, qual re de' martiri, volea morire abbandonato da ogni conforto, soddisfacendo a tutto rigore la divina giustizia per tutti i peccati degli uomini. E perciò riflette il Silveira che Gesù chiamò il suo Padre, Dio, e non padre, perché allora dovea trattarlo da reo come giudice, e non da figlio come padre: Iesus pendens in cruce erat satisfaciens de toto rigore iustitiae Parenti suo, tamquam iudici pro peccatis generis humani.37
16. Scrive S. Leone che quel grido del Signore non fu lamento, ma dottrina: Vox ista doctrina est, non querela (Serm. XVII de Pass. cap. 13).38 Dottrina, poiché con quella voce volle istruirci ad apprendere quanto sia grande la malizia del peccato, che quasi obbligava Dio ad abbandonare alla pena senza sollievo il suo Figlio diletto, solamente per aversi egli addossato il peso di soddisfare i nostri delitti. Allora Gesù non fu già abbandonato dalla divinità né fu privato della gloria ch'era stata comunicata all'anima sua benedetta sin dal primo istante della sua creazione; ma fu bensì privato d'ogni sollievo sensibile con cui suole Iddio confortare i suoi servi fedeli ne' loro patimenti, e fu lasciato in tenebre, timori ed amarezze, pene tutte meritate da noi. Questo abbandono della sensibil presenza divina l'ebbe Gesù anche nell'orto di Getsemani; ma quello che patì stando in croce fu più grande e più amaro.
17. Ma, o Eterno Padre, qual disgusto mai vi ha dato questo innocente e ubbidientissimo Figlio, che lo punite con una morte così amara? Miratelo come sta su quel legno col capo
tormentato dalle spine, come pende da tre uncini di ferro e poggia sulle sue medesime piaghe; tutti l'hanno abbandonato, anche i suoi discepoli, tutti su quel patibolo lo deridono e lo bestemmiano; e perché voi, che tanto l'amate, anche l'avete abbandonato? - Ma bisogna intendere che Gesù erasi caricato di tutti i peccati del mondo, e perciò quantunque egli era in quanto a sé il più santo di tutti gli uomini, anzi la stessa santità, nondimeno in quanto al peso addossatosi di soddisfare per tutti i loro peccati, compariva il peggior peccatore del mondo, e come tale, fattosi reo per tutti, erasi offerto a pagare per tutti. E perché noi meritavamo di essere abbandonati eternamente all'inferno colla disperazione eterna, perciò egli stesso voll'essere abbandonato ad una morte priva d'ogni conforto, per così liberar noi dalla morte eterna.
18. Bestemmiò Calvino nel commentario da lui fatto sopra S. Giovanni, dicendo che Gesù Cristo per placare il Padre cogli uomini dovea sperimentare tutta l'ira che Dio ha contra i peccati, e Sentir tutte le pene de' dannati e specialmente quella della disperazione.39 Bestemmia e sciocchezza! Come potea soddisfare i peccati nostri con un peccato cosi grande qual era quello della disperazione? E come poteva accordarsi questa disperazione, che sogna Calvino, colle altre parole che allora disse Gesù Cristo: Pater, in manus tuas commendo spiritum meum? (Luc. XXIII, 46). La verità si è, come spiegano S. Girolamo, S. Grisostomo40 ed altri, che il nostro Salvatore espresse quel suo lamento solo per dimostrare non già la sua disperazione, ma l'amarezza che soffriva in fare una morte priva d'ogni sollievo. In oltre la disperazione di Gesù non potea nascere da altro motivo che dal vedersi odiato da Dio; ma come poteva Iddio odiare quel Figlio che, per ubbidire alla di lui volontà, erasi offerto a soddisfarlo per le colpe degli uomini? Questa ubbidienza fu quella poi per la
quale anche il Padre lo rispettò e gli concesse la salute del genere umano, secondo scrive l'Apostolo: Qui in diebus carnis suae preces supplicationesque ad eum qui possit illum salvum facere a morte cum clamore valido et lacrymis offerens exauditus est pro sua reverentia (Hebr. V, 7).
19. Del resto questo abbandono di Gesù Cristo fu la pena più tormentosa in tutta la sua Passione, mentre sappiamo che dopo tanti acerbi dolori, sofferti senza mai lagnarsi, di questa sola si lamentò e si lamentò con un grido grande - voce magna - e con molte lagrime e preghiere, come parla S. Paolo. Ma tutti questi suoi gridi e lagrime furon fatti a fine di fare intendere a noi quanto egli pativa per ottenerci la divina misericordia; e per farci comprendere insieme qual pena orrenda sia ad un'anima rea l'esser discacciata da Dio e privata per sempre del suo amore, secondo la minaccia divina: De domo mea eiiciam eos, non addam ut diligam eos (Osee, IX, 15). Dice di più S. Agostino che Gesù Cristo si turbò a vista della sua morte, ma ciò lo fece per consolazione de' suoi servi, acciocché, se mai a vista della loro morte si ritrovan turbati, non si tengano per reprobi e non si abbandonino alla disperazione, perché anch'egli a vista della morte si turbò; ecco le parole del santo: Si imminente morte turbaris, non te existimes reprobum nec desperationi te abiicias; ideo enim Christus turbatus est in conspectu suae mortis (S. Aug. Lib. pronost.).41
20. Frattanto ringraziamo la bontà del nostro Salvatore in aver voluto prender sovra di sé le pene da noi meritate, e così liberarci dall'eterna morte; e procuriamo da ogg'innanzi di esser grati a questo nostro liberatore, scacciando dal cuore ogni affetto che non è per lui. E quando ci vediamo desolati di spirito e privi della sensibil presenza divina, uniamo la nostra desolazione con quella che patì Gesù Cristo nella sua morte. Egli talvolta, all'anime sue più dilette, si nasconde
dagli occhi, ma non si parte dal cuore, e loro assiste colla grazia interna. Né si offende che in tale abbandono gli diciamo, come egli disse nell'orto al suo divin Padre: Pater mi, si possibile est, transeat a me calix iste (Matth. XXVI, 39). Ma bisogna poi subito con esso soggiungere: Verumtamen non sicut ego volo, sed sicut tu. E se la desolazione seguita, bisogna seguire a replicar lo stesso atto di uniformità, com'egli lo replicò per tutte quelle tre ore che orò nell'orto: Et oravit tertio, eumdem sermonem dicens (Ibid. 44). Dice S. Francesco di Sales che Gesù tanto è amabile quando si fa vedere che quando si nasconde.42 Del resto a chi si ha meritato l'inferno e se ne vede fuori, altro non tocca che dire: Benedicam Dominum in omni tempore (Ps. XXXIII, 2). Signore, io non merito consolazioni; fate ch'io v'ami colla vostra grazia, e son contento di viver così desolato per quanto vi piace. Ah che se i dannati potessero nelle loro pene così uniformarsi al divino volere, il loro inferno non sarebbe più inferno.
21. Tu autem, Domine, ne elongaveris auxilium tuum a me, ad defensionem meam conspice (Ps. XXI, 20). Deh Gesù mio, per li meriti della vostra morte desolata, non mi private del vostro aiuto in quel gran combattimento che nel punto di mia morte avrò coll'inferno. In quel tempo già tutti della terra mi avranno abbandonato né potranno aiutarmi; non mi abbandonate voi che siete morto per me, e solo potete soccorrermi in quell'estremo. Fatelo per lo merito di quella pena che soffriste nel vostro abbandono, per cui meritaste a noi di non esser abbandonati dalla divina grazia, secondo meritavamo per le nostre colpe.
22. PAROLA V. Sitio.
Scrive S. Giovanni: Postea sciens Iesus quia omnia consummata sunt, ut consummaretur Scriptura, dixit: Sitio (Io. XIX, 28). La Scrittura ivi accennata era quella di Davide: Et dederunt in escam meam fel, et in siti mea potaverunt me aceto (Ps. LXVIII, 22). Grande era la sete corporale che provò Gesù Cristo sulla croce per tanto sangue sparso prima nell'orto e poi nel pretorio per la flagellazione e coronazione di spine e finalmente sulla croce, ove dalle piaghe delle mani e de' piedi trafitti, come da quattro fonti, scaturivano quattro rivi di sangue. Ma fu molto più grande la sua sete spirituale, cioè il desiderio ardente ch'egli avea di salvar tutti gli uomini e di più patire per noi, come dice Blosio, affin di dimostrarci il suo amore: Habuit aliam sitim, puta amplius patiendi et evidentius suum nobis demonstrandi amorem.43 Onde poi scrisse S. Lorenzo Giustiniani: Sitis haec de amoris fonte nascitur (De agon. c. 19).44
Ah Gesù mio, voi tanto desiderate di patire per me, ed a me tanto rincresce il patire, che ad ogni patimento divento così impaziente con me stesso e cogli altri, che mi rendo insopportabile! Gesù mio, rendetemi voi, per li meriti della vostra pazienza, paziente e rassegnato nelle infermità e nelle traversie che mi avvengono; fatemi simile a voi prima ch'io muoia.
23. PAROLA VI. Consummatum est.
Scrive S. Giovanni: Cum ergo accepisset Iesus acetum, dixit: Consummatum est (Io. XIX, 30). In quel punto Gesù prima di spirare si pose davanti gli occhi tutti i sagrifici dell'antica legge - che tutti eran figure del sagrificio della croce - tutte le preghiere degli antichi Padri, e tutte le profezie già fatte della sua vita e della sua morte, tutti gli strazi e ludibri predetti che dovea patire; e, vedendo che tutto si era adempiuto, disse: Consummatum est.
24. S. Paolo ci fa coraggio a correr generosamente colla pazienza al combattimento, che ci tocca ad avere in questa
vita co' nostri nemici per ottener la salute: Per patientiam curramus ad propositum nobis certamen, aspicientes in auctorem fidei et consummatorem Iesum, qui proposito sibi gaudio, sustinuit crucem (Hebr. XII, 1 et 2). Qui ci esorta l'Apostolo a resistere colla pazienza alle tentazioni sino alla fine, ad esempio di Gesù Cristo che non volle scender dalla croce prima di lasciarvi la vita. Perciò S. Agostino (In Ps. 70) scrisse: Quid te docuit pendens qui descendere noluit, nisi ut sis fortis in Deo tuo?45 Gesù volle consumare il suo sagrificio sino alla morte, per renderci persuasi che il premio della gloria non si dona da Dio se non a coloro che perseveran nel bene sino alla fine, come ci fe' sentire per S. Matteo: Qui autem perseveraverit usque in finem, hic salvus erit (Matth. X, 22). Quindi, allorché dalle passioni interne, o dalle tentazioni del demonio, o dalle persecuzioni degli uomini, ci sentiamo molestati e spinti a perder la pazienza ed abbandonarci all'offesa di Dio, diamo un'occhiata a Gesù crocifisso, che sparse tutto il suo sangue per la nostra salute; e pensiamo che noi ancor non abbiamo sparsa ancora una goccia di sangue per suo amore: Nondum enim usque ad sanguinem restitistis, adversus peccatum repugnantes (Hebr. XII, 4). Così ci avverte S. Paolo.
25. Quando dunque ci occorre di dover cedere a qualche punto di stima, di astenerci di qualche risentimento, di privarci di qualche soddisfazione, di qualche curiosità o di altra cosa che non giova all'anima, vergogniamoci di negarlo a Gesù Cristo: egli è andato con noi senza riserba, ci ha data la sua vita, tutto il suo sangue, vergogniamoci di andare con riserba con esso. Facciamo noi a' nostri nemici tutta la resistenza che dobbiamo lor fare; ma la vittoria poi speriamola sempre solo da' meriti di Gesù Cristo per mezzo de' quali solamente i santi e specialmente i santi martiri han superati i tormenti e la morte: Sed in his omnibus superamus propter eum qui dilexit nos (Rom. VIII, 37). Onde quando il demonio ci rappresenta nella mente alcuni incontri che ci sembrano molto difficili a superarsi dalla nostra debolezza, volgiamo gli occhi a Gesù crocifisso e, fidati tutti nel suo aiuto e ne' suoi
meriti, diciamo coll'Apostolo: Omnia possum in eo qui me confortat (Philip. IV, 13): Io per me non posso nulla, ma coll'aiuto di Gesù potrò tutto.
26. Trattanto animiamoci a soffrire le tribulazioni della vita presente colla vista delle pene di Gesù crocifisso. Guarda, dice il Signore da quella croce, guarda la moltitudine de' dolori e delle villanie che patisco io per te su questo patibolo: il mio corpo pende da tre chiodi e non posa che sovra le stesse mie piaghe; la gente che mi circonda non fa altro che bestemmiarmi ed affliggermi: il mio spirito poi è internamente assai più amitto che il corpo. Tutto patisco per tuo amore; vedi l'affetto che ti porto, ed amami e non ti rincresca di patire qualche cosa per me che per te ho fatta una vita sì afflitta, ed ora sto morendo con una morte sì amara.
27. Ah Gesù mio, voi mi avete posto al mondo per servirvi ed amarvi; mi avete donati tanti lumi e grazie per esservi fedele; ma io ingrato quante volte, per non privarmi delle mie soddisfazioni, ho voluto perdere più tosto la vostra grazia col voltarvi le spalle! Deh, per quella morte desolata che accettaste di fare per me, datemi forza di esservi grato nella vita che mi resta, mentre propongo da ogg'innanzi di scacciare dal cuore ogni affetto che non è per voi, mio Dio, mio amore, e mio tutto.
Madre mia Maria, soccorretemi voi ad esser fedele al vostro Figlio, che mi ha tanto amato.
28. PAROLA VII. Clamans voce magna Iesus ait: Pater, in manus tuas commendo spiritum meum (Luc. XXIII, 46).
Scrive Eutichio che Gesù proferì queste parole a gran voce per far intendere a tutti ch'egli era vero Figlio di Dio chiamando Dio suo padre: Clamavit voce magna ut omnes scirent quod patrem Deum appellaret.46 Ma S. Gio. Grisostomo scrive ch'egli gridò a gran voce per fare intendere che non moriva per necessità, ma di propria volontà, facendo sentire una voce sì vigorosa nel punto che stava prossimo a finir
la vita: Ut ostendat haec sua potestate fieri,47 son le parole del santo. Il che si uniforma a ciò che Gesù avea detto in vita, ch'egli volontariamente sagrificava la vita per noi sue pecorelle, e non già per volontà e malizia de' suoi nemici: Et animam meam pono pro ovibus meis... Nemo tollit eam a me, sed ego pono eam a meipso (Io. X, 15 et 18).
29. Aggiunge S. Atanasio che allora Gesù Cristo, raccomandando al Padre se stesso, gli raccomandò insieme tutti i fedeli, che per suo mezzo dovean ricever la salute; poiché il capo colle sue membra formano un solo corpo: In eo homines apud Patrem commendat per ipsum vivificandos, membra enim sumus, et membra unum corpus sunt... Omnes ergo in se Deo commendat.48 Onde dice il santo che Gesù allora intese replicar la preghiera fatta prima: Pater sancte, serva eos in nomine tuo, ut sint unum sicut et nos49 (Io. XVII, 11); e poi soggiunse: Pater, quos dedisti mihi, volo ut ubi sum ego et illi sint mecum (Vers. 24).50
30. Ciò facea dire poi a S. Paolo: Scio enim cui credidi; et certus sum quia potens est depositum meum servare in illum diem (II Tim. I, 12). Così scrivea l'Apostolo, mentre stava nelle carceri patendo per Gesù Cristo, in mano di cui egli confidava il deposito de' suoi patimenti e di tutte le sue speranze, sapendo quanto egli è grato e fedele con coloro che patiscono per suo amore. Davide riponeva tutta la sua speranza nel Redentore futuro, dicendo: In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum; redemisti me, Domine Deus veritatis (Ps. XXX, 6). Quanto più noi dobbiam confidare in Gesù Cristo, che ha compiuta già la nostra Redenzione? Diciamogli dunque con animo grande: Redemisti me, Domine; in manus tuas commendo spiritum meum.
31. Pater, in manus tuas commendo spiritum meum. Gran conforto apportano queste parole a' moribondi in punto di morte contra le tentazioni dell'inferno e nei timori de' peccati fatti. - Ma io non voglio, Gesù mio Redentore, aspettare la morte per raccomandarvi l'anima mia; da ora ve la raccomando: non permettete che ella abbia di nuovo a voltarvi le spalle. Vedo che la mia vita passata non mi ha servito che per disonorarvi; non permettete che ne' giorni che mi restano a vivere, io seguiti a disgustarvi.
O Agnello di Dio sagrificato sulla croce e morto per me qual vittima d'amore e consumato da' dolori, fate che per li meriti della vostra morte io v'ami con tutto il cuore e sia tutto vostro nella vita che mi rimane. E quando giungerà il termine de' miei giorni, fatemi morire ardendo del vostro amore. Voi siete morto per amor mio, io voglio morire per amor vostro. Voi tutto vi siete a me donato, io tutto a voi mi dono. In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum; redemisti me, Domine Deus veritatis. Voi avete sparso tutto il vostro sangue, avete data la vita per salvarmi, non permettete che per mia colpa il tutto sia perduto per me. Gesù mio, io v'amo e spero ai meriti vostri di amarvi in eterno. In te, Domine, speravi non confundar in aeternum (Ps. XXX, 2).
O Maria madre di Dio, alle vostre preghiere io confido; pregate ch'io viva e muoia fedele al vostro Figlio. A voi anche dirò con S. Bonaventura: In te, Domina, speravi non confundar in aeternum.51
et in Latronem, n. 3. MG 49-403): Nemo coegit illum, nemo vim ipsi fecit, sed ipse semetipsum protulit dicens: Et nos quidem iuste, nam digna factis patimur; hic vero nihil mali fecit (Luc. XXIII, 41, 42): additque postea: Memento mei, Domine, in regno tuo. Non prius ausus est dicere, Memento mei in regno tuo, quam, per confessionem, peccatorum sarcinam deposuisset. Viden quanta res sit confessio? Confessus est, et paradisum aperuit: confessus est, et tantam accepit fiduciam, ut a latrocinio regnum peteret.»
MG 49-401, 402. - «Paradisum clausum (crux) aperuit hodie: hodie enim latronem in illum introduxit. Duo praeclarissima facinora: paradisum reseravit, et latronem introduxit... Ne pudeat nos magistrum accipere latronem, cuius Dominum nostrum non puduit quominus primum in paradisum induceret: ne erubescamus magistrum habere hominem illum qui, ante totum humanum genus, dignus est habitus conversatione paradisi.» IDEM, De cruce et latrone, hom. 2, n. 2. MG 49-409, 410.
gladius, quantis confossum corpus Filii cernebat vulneribus.» GUERRICUS Abbas, In Assumptione B. M. V. sermo 4, n. 1. ML 185-197, 198.
a Iesu Iesus exsistere ostendatur. Nam si nullus est Mariae filius, iudicio eorum qui de ipsa sane senserunt, praeterquam Iesus, dicitque Iesus matri: Ecce hic est Iesus quem genuisti. Etenim quisquis perfectus est, non amplius vivit ipse, sed in ipso vivit Christus. Cumque in ipso vivat Christus, dicitur de eo Mariae: Ecce filius tuus Christus.» ORIGENES, Commentaria in Evangelium Ioannis, I, Praefatio. n. 6. MG 14-31.
raccomandar noi seco al Padre, rinnovava le preghiere già per noi fatte, cioé: Pater sacte, serva eos, etc. e: Pater, quos dedisti mihi, volo, etc. Sostituisce S. Alfonso questi due testi più chiari, cioé di senso più ovvio, a quell' altro più profondo: Glorifica me tu, Pater, etc.