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S. Alfonso Maria de Liguori Apparecchio alla Morte IntraText CT - Lettura del testo |
PUNTO I
Che fa chi commette un peccato mortale? Ingiuria Dio, lo disonora, l'amareggia. Per prima il peccato mortale è un'ingiuria, che si fa a Dio. La malizia di un'ingiuria, come dice S. Tommaso,1 si misura dalla persona, che la riceve, e dalla persona che la fa. Un'ingiuria che si fa ad un villano, è male, ma è maggior delitto, se si fa ad un nobile; maggiore poi, se si fa ad un monarca. Chi è Dio? è il Re de' Regi. «Dominus Dominantium est, et Rex Regum» (Apoc. 17. 14). Dio è una maestà infinita, a rispetto di cui tutt'i principi della terra e tutt'i santi e gli angeli del cielo son meno d'un acino d'arena. «Quasi stilla situlae, pulvis exiguus» (Is. 40. 15). Anzi dice Osea che a fronte della grandezza di Dio tutte le creature son tanto minime, come se non vi fossero: «Omnes gentes quasi non sint, sic sunt coram Eo» (Os. 5).2 Questo è Dio. E chi è l'uomo? S. Bernardo:3 «Saccus vermium, cibus vermium». Sacco di vermi e cibo di vermi, che tra breve l'han da divorare. «Miser, et pauper, et caecus, et nudus» (Apoc. 3. 17). L'uomo è un verme misero che non può niente, cieco che non sa veder niente, e povero e nudo che niente ha. E questo verme miserabile vuole ingiuriare un Dio! «Tam terribilem maiestatem audet vilis pulvisculus irritare!» dice lo
stesso S. Bernardo.4 Ha ragione dunque l'Angelico in dire che 'l peccato dell'uomo contiene una malizia quasi infinita. «Peccatum habet quandam infinitatem malitiae ex infinitate divinae maiestatis» (p. 3. q. I. C. 2. ad 2). Anzi S. Agostino chiama il peccato assolutamente «infinitum malum».5 Ond'è che se tutti gli uomini e gli angeli si offerissero a morire, e anche annichilarsi, non potrebbero soddisfare6 per un solo peccato. Dio castiga il peccato mortale colla gran pena dell'inferno, ma per quanto lo castighi, dicono tutt'i teologi che sempre lo castiga «citra condignum»,7 cioè meno di quel che dovrebbe esser punito.
E qual pena mai può giungere a punir come merita un verme, che se la piglia col suo Signore? Dio è il Signore del tutto, perché egli ha creato il tutto. «In ditione tua cuncta sunt posita, tu enim creasti omnia» (Esther 13.9).8 Ed in fatti tutte le creature ubbidiscono a Dio: «Venti et mare obediunt ei» (Matth. 8. 27). «Ignis, grando, nix, glacies faciunt verbum eius» (Ps. 148. 8). Ma l'uomo quando pecca, che fa? dice a Dio: Signore, io non ti voglio servire. «Confregisti iugum meum;
dixisti, non serviam» (Ier. 2. 20). Il Signore gli dice, non ti vendicare: e l'uomo risponde, ed io voglio vendicarmi; non prendere la roba d'altri; ed io me la voglio pigliare; privati di quel gusto disonesto; ed io non me ne voglio privare. Il peccatore dice a Dio, come disse Faraone, allorché Mosè gli portò l'ordine di Dio che lasciasse in libertà il suo popolo, rispose9 il temerario: «Quis est Dominus, ut audiam vocem eius? nescio Dominum» (Exod. 5. 2). Lo stesso dice il peccatore: Signore, io non ti conosco, voglio fare quel che piace a me. In somma gli perde il rispetto in faccia e gli volta le spalle; questo propriamente è il peccato mortale, una voltata di spalle che si fa a Dio: «Aversio ab incommutabili bono» (S. Thom. part. I. qu. 34. art. 4).10 Di ciò si lamenta il Signore: «Tu reliquisti me, dicit Dominus; retrorsum abiisti» (Ier. 15. 6): Tu sei stato l'ingrato, dice Dio, che hai lasciato me, poiché io non ti avrei mai lasciato: «retrorsum abiisti», tu mi hai voltato le spalle.
Iddio s'è dichiarato che odia il peccato; onde non può far di meno di odiare poi chi lo commette. «Similiter autem odio sunt Deo impius, et impietas11 eius» (Sap. 14. 9). E l'uomo quando pecca, ardisce di dichiararsi nemico di Dio, e se la piglia da tu a tu con Dio: «Contra Omnipotentem roboratus est» (Iob. 15. 25). Che direste, se vedeste una formica volersela pigliare con un soldato? Dio è quel potente, che dal niente con un cenno ha creato il cielo e la terra. «Ex nihilo fecit illa Deus» (2. Mach. 7. 28). E se vuole, con un altro cenno può distruggere il tutto: «Potest universum mundum uno nutu delere» (2. Mach. 8. 18). E 'l peccatore allorché consente al peccato, stende la mano contra Dio: «Tetendit adversus Deum manum suam; cucurrit adversus eum erecto collo, pingui cervice armatus est».12 Alza il collo, cioè la superbia e corre ad ingiuriare Dio: e s'arma d'una testa grassa, cioè d'ignoranza (il grasso è simbolo dell'ignoranza), con dire: «Quid feci?» E che gran male è quel peccato che ho fatto? Dio è di misericordia, perdona i peccatori. Che ingiuria! che temerità! che cecità!
Affetti e preghiere
Ecco, o Dio mio, a' piedi vostri il ribelle, il temerario, che ha avuto l'ardire tante volte di perdervi il rispetto in faccia e di voltarvi le spalle: ma ora vi cerca pietà. Voi avete detto: «Clama ad me, et exaudiam te» (Ier. 33. 3). È poco un inferno per me, già lo conosco; ma sappiate ch'io ho più dolore d'avervi offeso, o bontà infinita, che se avessi perduti tutt'i miei beni e la vita. Ah mio Signore, perdonatemi e non permettete ch'io più v'offenda. Voi mi avete aspettato, acciocché io13 benedica per sempre la vostra misericordia, e v'ami, sì vi benedico e v'amo, e spero ai14 meriti di Gesu-Cristo di non separarmi più dal vostro amore. L'amor vostro m'ha liberato dall'inferno, questo mi ha da liberare in avvenire dal peccato. Vi ringrazio, mio Signore, di questa luce e del desiderio che mi date di sempre amarvi. Deh prendete il possesso di tutto me, dell'anima e del corpo, delle mie potenze, de' sensi, della mia volontà, della mia libertà. «Tuus sum ego, salvum me fac».15 Voi che siete l'unico bene, l'unico amabile, siate voi ancora l'unico mio amore. Datemi fervore in amarvi. Io v'ho offeso assai, onde non può bastarmi l'amarvi; voglio amarvi assai, per ricompensarvi l'ingiurie, che v'ho16 fatte. Da voi lo spero, che siete onnipotente.
E lo spero anche dalle vostre preghiere, o Maria, le quali sono onnipotenti appresso Dio.