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S. Alfonso Maria de Liguori
La vera Sposa di Gesù Cristo

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§ 1 - Del distacco della propria volontà.

1. Non vi è cosa che faccia più danno alle monache, che han consagrata la loro volontà a Gesù Cristo, che il regolarsi colla volontà propria e secondo le loro inclinazioni. Perciò tutte le religioni si son munite contro questa nemica dello spirito - dico la propria volontà - col voto dell'ubbidienza. Niuno può separarci da Dio, né tutti gli uomini della terra né tutt'i demoni dell'inferno, se non il proprio volere. Cesset propria voluntas, scrisse S. Bernardo, et infernus non erit


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(De Ord. vitae):1 Fate che gli uomini non abbiano più volontà propria, e per essi non vi sarà più inferno. All'incontro la propria volontà è quella che distrugge tutte le virtù: Destructrix magna virtutum, così ella è chiamata da S. Pier Damiani.2 E S. Anselmo disse che siccome il voler di Dio è la fonte da cui provengono tutti i beni, così il voler dell'uomo è la fonte di tutt'i peccati: Voluntas Dei fons totius boni, voluntas hominis fons totius mali.3 E qual buon termine mai può avere chi si mette per discepolo ad un maestro ch'è privo di senno, qual è il proprio volere? Dice S. Bernardo: Qui se sibi magishum constituit, stulto se discipulum subdit:4 Chi si fa maestro di se stesso, seguendo ciò che gli dice l'amor proprio, si mette all'ubbidienza di un pazzo. Dicea S. Antonio abbate che 'l nostro amor proprio è quel vino che ci ubbriaca, e non ci fa più conoscere né il pregio della virtù né la bruttezza de' vizi.5


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2. Scrisse S. Agostino che 'l demonio si trova fatto demonio non per altro che per la propria volontà: Diabolus propria voluntate factus diabolus invenitur.6 E di questa volontà propria specialmente si avvagliono i demoni contra i religiosi per rovinarli. Riferisce Cassiano che il santo abbate Achille, essendo interrogato da' suoi discepoli con qual'armi i demoni combattono contra i religiosi, rispose che questi nemici contra i grandi del mondo si servono della superbia, contra i negozianti dell'avarizia, contra i giovani dell'intemperanza, ma contra i religiosi l'armi principali ch'essi adoperano, sono le loro stesse proprie volontà; con queste li assaltano, e con queste spesso li abbattono.7 Diceva inoltre l'abbate Pastore, come narra Ruffino: Non pugnant daemones nobiscum, quando voluntates nostras facimus, quia voluntates nostrae daemones factae sunt (Ap. Ruflin., Lib. 3):8 Quando noi eseguiamo


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le proprie volontà, i demoni lasciano di combatterci, perché le stesse nostre volontà diventano demoni, e peggiori di tutt'i demoni. Lo stesso disse S. Giovanni Climaco presso Gersone, parlando de' religiosi: Qui sibi dux esse vult, spreto duce proprio, non iam indiget daemone tentante, quia ipse factus est daemon sibi (Gerson., de Vis. cap. 3):9 Il religioso che, in vece di ubbidire, disprezza la guida del suo superiore e vuol guidarsi da se stesso, non ha bisogno di demonio che lo tenti, mentr'egli diviene demonio a se stesso.

3. Quindi lo Spirito Santo ci ammonisce: Post concupiscentias tuas non eas, et a voluntate tua avertere (Eccli. XVIII, 30): Non andare appresso a' tuoi desideri, e fuggi sempre di seguir la tua volontà. E ciò specialmente va detto per li religiosi che han sagrificata a Dio la volontà propria, con promettere ubbidienza alle regole e a' loro superiori. Siccome a' religiosi Iddio ha da essere l'unico oggetto del loro amore, così l'ubbidienza dee essere l'unica via per amarlo. Il maggior pregio che può avere un'azione d'una persona religiosa, è l'esser fatta per ubbidienza. Nella vita della Ven. Caterina di Cardona, la quale avendo lasciata la corte del re di Spagna, se n'andò ad intanarsi in un deserto, dove visse per molti anni tra tante penitenze che fa orrore il leggerle,10 si narra ch'ella vedendo una volta che un certo fratello carmelitano scalzo


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strascinava per ubbidienza un fascio di legna, e conoscendo per lume divino che quegli, essendo vecchio, andava dentro di sé lagnandosi di tale ubbidienza, gli disse per animarlo: «Fratello, portate, portate allegramente queste legna; e sappiate che più meritate voi con quest'ubbidienza che fate, che non ho meritato io con tutte le mie penitenze».11 All'incontro il maggior difetto che può avere un'opera d'una monaca è l'esser fatta di propria volontà. Perciò scrisse Tritemio che non v'è cosa più odiata dal demonio che l'esercizio dell'ubbidienza: Nihil est quod diabolus plus oderit quam obedientiam (In Prol. Reg. S. Ben.).12 Dicea S. Teresa, parlando dell'ubbidienza: Sa il demonio che qui consiste il rimedio d'un'anima; e perciò si adopera molto per impedirlo.13 Mentre S. Francesco di Sales stava formando l'idea delle regole per le sue monache della Visitazione, vi fu uno che gli disse ch'era bene farle andare scalze; ma il santo rispose: «Voi volete cominciare dai piedi, ed io voglio cominciar dalla testa.»14 Ciò similmente


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era quello che sempre replicava S. Filippo Neri a' suoi penitenti, dicendo che tutta la santità consiste in quattro dita di fronte, cioè nel mortificare la volontà propria.15 E S. Girolamo scrisse: Tantum adiicies virtuti, quantum subtraxeris propriae voluntati:16 Tanto aggiungerai alla virtù, quanto ne avrai tolto alla propria volontà. Da ciò si son mossi tanti sacerdoti, anche parrochi e vescovi, benché nel secolo menassero vita esemplare, a farsi religiosi, per vivere sotto l'ubbidienza, conoscendo di non poter fare maggior sagrificio a Dio che sagrificargli la propria volontà, sottoponendola all'ubbidienza.

4. O beata quella religiosa che potesse dire in morte quel che dicea l'abbate Giovanni: Io non ho fatto mai la volonta mia!17 Dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi che l'unico modo di fare una felice morte è lasciarsi guidare con semplicità


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da' superiori.18 Ma questo è il fine principale, dice Cassiano, che dee avere e conservare ogni religiosa, il mortificare i propri voleri: Finis coenobitae est, omnes suae voluntates crucifigere.19 Sicché quella religiosa, la quale a ciò non attende, non può dirsi religiosa, ma sacrilega. E che maggior sagrilegio che ripigliarsi quella volontà una volta a Dio donata? Così parla S. Bernardo: Nullum sacrilegii crimen deterius est, quam in voluntate Deo semel oblata reaccipere potestatem.20 Dichiarò lo Spirito Santo per bocca di Samuele essere una specie d'idolatria il seguire la propria volontà contro quella dell'ubbidienza: Quasi peccatum ariolandi est


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repugnare, et quasi scelus idololatriae nolle acquiescere (I Reg. XV, 23). E ciò particolarmente de' religiosi disubbidienti lo spiegò S. Gregorio, dicendo: Quasi ergo peccatum ariolandi est repugnare, quia cordis sui superbis adinventionibus credunt et praelatorum consiliis refragantur (S. Greg., in loc. cit.):21 Quei religiosi che voglion credere e seguire i voleri del loro amor proprio, con ripugnare a' consigli de' superiori, commetton quasi un peccato d'idolatria, mentre allora adorano, per così dire, la propria volontà come loro Dio. Quindi S. Basilio ordinò che que' monaci i quali stavano attaccati alla volontà propria, fossero separati dalla comunità, come lebbrosi che col lor mal esempio infettavano gli altri.22

5. Dicea la Beata Coletta che vale più il negar la propria volontà che lasciar tutte le ricchezze del mondo.23 E bisogna


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avvertire che ciò vale non solamente nelle cose difettose o indifferenti, ma anche negli esercizi che hanno apparenza di virtù; per esempio nel far penitenze, nell'orare, dar limosine e simili, sempreché questi si praticano contra l'ubbidienza. Anzi scrive Cassiano che il disubbidire a' superiori per far cose sante di propria volontà, ordinariamente reca più danno, perché l'azioni viziose fatte col colore di virtù più difficilmente si emendano: A remediis longiora sunt vitia quae sub specie virtutum videntur emergere. (Cassian., Coll. IV, cap. 20).24 Tali religiose che voglion farsi sante secondo la loro testa, sono appunto quell'anime di cui parla Isaia, che nel giorno del giudizio diranno a Gesù Cristo: Quare ieiunavimus, et non aspexisti? (Is. LVIII, 3): Signore, noi abbiam fatti digiuni e penitenze, e voi non l'avete rimirate? E sarà risposto loro che di tali opere non tocca lor premio, perché sono state fatte non per volere di Dio, ma per proprio capriccio: Ecce in die ieiunii vestri invenitur voluntas vestra (Ibid.). Oh che gran male dunque è la propria volontà, dice S. Bernardo, mentr'ella fa che l'opere più belle, ma fatte da voi di propria volontà contro il sentimento dell'ubbidienza, per voi non sieno buone, ma difettose: Grande malum propria voluntas, qua fit ut bona


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tua tibi bona non sint.25 All'incontro la maggior pruova che può avere un'azione della religiosa d'essere gradita a Dio, è s'ella è fatta per ubbidienza. Narra Niceforo che S. Simeone Stilita, facendo quella vita così penitente e straordinaria, di viver notte e giorno sopra una colonna a cielo aperto, vollero accertarsi i superiori s'ella piaceva a Dio; e la prova qual fu? Mandarono ad intimare al santo che subito da quella colonna scendesse e venisse ad abitare cogli altri monaci. S. Simeone, in udire il precetto, subito stese il piede per calare, ma allora gli fu detto: «Restati, padre, che ora si conosce esser volontà di Dio che perseveri in questa penitenza.»26 Anche le cose sante dunque bisogna volerle senz'attacco di propria volontà. Dicea S. Francesco di Sales: Io voglio poche cose, e queste le voglio molto poco.27 E volea dire che non le volea per amor


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proprio, ma solo per piacere a Dio; ond'era pronto a lasciarle, subito che avesse conosciuto non esser quelle secondo la sua divina volontà.

6. Oh che bella pace gode una religiosa, la quale non vuol altro, se non quel che vuole l'ubbidienza! S. Dositeo, avendo egli consagrata all'ubbidienza tutta la sua volontà, godeva una continua pace; ma temendo in ciò di qualche inganno del nemico, dimandò un giorno a S. Doroteo suo maestro: «Padre mio, dimmi, perché pensi che nella vita che meno, io godo tanta tranquillità, che altro non ho che desiderare in questa terra?» - «Figlio, il maestro gli rispose, questa pace che godi è tutto frutto dell'ubbidienza.»28 E qual maggior contento può avere una religiosa che ama Dio, che sapere con certezza che in quanto fa, in tutto fa la volontà di Dio! Ben ella può chiamarsi beata e dire col profeta: Beati sumus, Israel, [quia] quae Deo placent manifesta sunt nobis (Baruch IV, 4): Io son troppo felice, perché, ubbidendo, in tutto son certa di fare la volontà di Dio. Oh che dolcezza, dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi, sta rinchiusa in questa parola: Volontà di Dio!29 E S. Pier Damiani scrisse: Gravissimum a se onus reiecit qui suam repulit voluntatem: Chi si è spogliato della propria volontà si ha tolto da sopra un insoffribil peso. Quis tyrannus crudelior, siegue a dire il santo, propria voluntate?30 E qual tiranno


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maggiore può avere una religiosa, che 'l proprio volere che la domini? Poiché molte cose che vorrà, stando nel monastero, non potrà averle; e perciò la misera viverà quasi sempre disturbata, e spesso proverà dentro di sé un picciolo inferno. Dice S. Eucherio: Quid prodest, si in loco quies et silentium sit, et in habitatoribus colluctatio passionum? si exteriora serenitas teneat, et interiora tempestas? (Hom. 9 ad monac.):31 Che giova a quella religiosa l'esservi nel monastero quiete e silenzio, quando nel suo cuore v'è contrasto di passioni? esternamente v'è quiete, ma internamente v'è tempesta?

7. E donde mai, dimanda S. Bernardo, nascono le nostre inquietudini, se non dallo stare attaccati a soddisfare i propri voleri? Unde turbatio, nisi quod propriam sequimur voluntatem?32 Riferisce Cassiano che i Padri antichi comunemente diceano che il religioso il quale non sa vincere la propria volontà, non può perseverare nel monastero.33 Almeno, dico io, non può perseverare con profitto e con pace. Questa è l'unica cagione, l'attacco alla propria volontà, per cui molte religiose fanno una vita infelice. Quella sta inquieta, perché non può avere quel confessore o quella superiora a suo genio. Quell'altra, perché vorrebbe quell'officio, e non gli è dato; e


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tanto fa e grida, che all'ultimo la superiora, per più non sentirla, la contenta, ma dopo ciò ella neppure trova pace; e come vuol trovar pace, se, invece d'ubbidire, fa che la superiora ubbidisca a lei? Quell'altra sta inquieta all'incontro perché l'è dato quell'officio che non vorrebbe. Quell'altra perché le vien proibito quel traffico o quella corrispondenza. Quell'altra, perché le viene imposto qualche ordine a cui ripugna, e perciò si solleva e cerca di sollevare ancora i parenti ed anche la comunità contro i superiori, con disordine e scandalo immenso: delitto che meriterebbe il castigo ch'ebbero quelli due religiosi d’un monastero, come narra il Surio (Tom. IV, 20 aug.), de' quali, non volendo essi accettare per abbate un certo buon monaco chiamato Filiberto, uno fu colpito da un fulmine, ed all'altro gli furono tratti gl'intestini.34 Dice S. Bernardo: Habeto pacem cum praelatis tuis; non detrahas eis, nec libenter audias alios detrahentes, quia specialiter Deus hoc vitium punit in subditis, etiam in praesenti (Opusc. Ad quid ven.):35 Abbi pace co' tuoi superiori; non ne dir male né dare orecchio ad altri che ne mormorano; perché Dio con modo speciale castiga questo vizio ne' sudditi, anche nella presente vita. Aggiunge S. Gregorio: Facta superiorum oris gladio ferienda non sunt, quamvis reprehendenda videantur (In Registror. 1. XIV, c. 3)36 Delle azioni de' superiori non


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se ne dee mormorare, ancorché sembrassero elle riprensibili. Diis non detrahes (Exod. XXII, 28): Non voglio che parli male de' Dei, dice il Signore, cioè de' superiori che stanno in luogo mio.

8. Ma udiamo ciò che disse S. Maria Maddalena de' Pazzi rapita in estasi (Vita, part. IV, c. 22) parlando della ruina che fa l'amor proprio in molte religiose: «Veggo, disse, una moltitudine d'anime, fra le quali una ne scorgo che al tempo di unirsi teco, o dolce Verbo, se ne sta raccolta; ma non passa talvolta un'ora che, opponendosele qualche cosa non secondo il suo volere, tutta si conturba. Veggo un'altr'anima, che quando è presente alla Messa sfavilla d'amor divino; ma se le viene poi scoperto alcun difetto, non lo vuol credere; ed ecco in lei la superbia e l'amor proprio. Veggo un'altra che nell'austerità della vita par che voglia pareggiare un S. Antonio; ma se l'ubbidienza le vieta questa sua austerità, è pertinace e non vuole ubbidire. Sarà un'altra che nel luogo della refezione sta con mortificazione e gravità, ma si diletta in questa sua mortificazione, ed ha a caro l'esser tenuta per più santa che le altre. Quando l'è usata discrezione, le pare che si ecceda; ma quando poi le manca qualche cosa, le pare che non si usi discrezione. Quell'altra nel parlatorio vuol dimostrare tanta sapienza che par che voglia avanzar la sapienza di S. Agostino: di più usa una certa prudenza nel parlare, per così far conoscere la sua perfezione, ecc. Sarà un'altra che negli esercizi di carità è pronta a lasciare ogni suo comodo in servizio del prossimo; ma, finita l'opera, vorrebbe esserne ringraziata, e che tutte l'altre la lodassero.»37 Di tali religiose e simili parlando il Signore, disse un'altra volta alla medesima santa: Vogliono lo spirito mio, ma lo vogliono in quel modo che piace loro, e quando loro piace; e così si rendono inabili a riceverlo.38


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9. Ma torniamo a noi. Voi, sorella benedetta, se volete farvi santa e godere una continua pace, procurate di contraddire sempre che potete alla vostra volontà propria, e tenete la regola che tengono le religiose amanti della perfezione: non fate mai niente per propria soddisfazione, ma tutto quel che fate, fatelo per piacere a Dio; e perciò troncate tutt'i desideri vani e le vostre inclinazioni. I mondani studiano di secondare, sempre che possono, le loro voglie; ma i santi studiano, sempre che possono, di mortificare la propria volontà, e van cercando le occasioni di mortificarle. S. Andrea d'Avellino fe' voto espresso di resistere continuamente alla volontà propria: Emisso voto suae ipsius voluntati iugiter obsistendi, come si legge nell'Officio della sua festa.39 Almeno voi prescrivetevi un certo numero di annegazioni di propria volontà per ogni giorno. Replicate spesso a voi quel che S. Bernardo dicea a se stesso per infervorarsi nello spirito: Bernarde, ad quid venisti?40 Dite: Io che sono venuta a fare nel monastero? a far la volontà mia? no; s'io voleva vivere a modo mio, dovea restarmi nel secolo. Entrando nella religione ho donata la mia volontà a Dio, con promettere ubbidienza. E perché ora pretendo di fare quel che voglio? e m'inquieto, se non mi è concesso ciò che vorrei fare? Consolatevi dunque nello spirito, quando da' superiori vi son negate le vostre dimande o vi viene imposta qualche cosa, a cui ripugna l'amor proprio; e sappiate che allora, uniformandovi all'ubbidienza, guadagnerete molto più che guadagnereste facendo molte penitenze e divozioni di proprio arbitrio. Diceva un gran Servo di Dio: «Vale più un atto d'annegazione di propria volontà, che fabbricare mille spedali.»41 Abbiate avanti agli occhi quel ricordo che il Ven. P. D. Antonio Torres, pio operario, mandò scritto ad una religiosa sua penitente, dicendole che un'anima che si è data


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tutta a Dio, vive niente amando, niente volendo, niente cercando e niente desiderando.42

10. Voglio terminare questo capitolo con quel che scrisse lo stesso nominato P. Torres ad un'altra religiosa, affinché si distaccasse da se stessa e da tutto il creato, per non amare altro che Dio. «Giacché il Signore le dà queste belle occasioni di sofferenza e di abbandono, si studi di accrescere la carità verso l'Amato, che dicesi forte come la morte: forte che la divida da tutte le creature, da tutti i rispetti umani, da tutto quel che si apprezza nel mondo, da' suoi appetiti e da tutta se stessa; acciocché in lei non vi sia cosa che l'impedisca il viver tutta col pensiero, col desiderio e coll'affetto nell'Amato. All'Amato sospiri il cuore: non in altro che nell'Amato si fermi la volontà: non da altro che dall'Amato non si parta il pensiero. Se fatica la mano, se dà passo il piede, tutto sia per l'Amato e coll'Amato... Voglio che, per ottener questo amore all'Amato, ogni dì rinunzi avanti il Crocifisso tutto quel che può essere amato da lei, onori, comodità, consolazioni e parenti; protestandosi di non volere altro onore che le sue ignominie, altre ricchezze che la sua carità, altra comodità della sua croce, altr'oggetto che lui solo solo, Sposo diletto e caro. Voglio che spesso, o andando all'orto o rimirando il cielo, gridi col cuore invitando tutte le creature ad amare l'Amato. Desidero che quella conversazione che non le dà odore dell'Amato, la fugga: quell'impiego che non può esser di gusto dell'Amato, non l'eserciti: quell'azione che non può ridondare in gloria dello Sposo, non la faccia, ecc.»43


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Preghiera.

Ah mio Dio, Signore e Sposo, voi mi avete tanto amata, e mi avete data la volontà per amarvi, ed io di questa volontà me ne son servita per offendervi e disgustarvi tante volte. Se non sapessi che voi siete un Dio di misericordia infinita, io perderei la speranza di ricuperare la grazia vostra, miseramente da me perduta. Io per le mie ingratitudini meritava già da molto tempo esser da voi abbandonata, ma vedo che la


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vostra luce ancora mi assiste; sento che voi seguite a chiamarmi al vostro amore. Eccomi, io non voglio seguitare ad esservi ingrata, non voglio più resistere; a voi mi dono: accettate un'anima infedele, che per tanti anni altro non ha fatto che disprezzare il vostro amore, ma ora altro non desidera che amarvi ed esser tutta vostra.

Aiutatemi, Gesù mio, datemi un tal dolore de' miei peccati, che mi renda non d'altro capace che di pena e d'amarezza, per avere oltraggiato voi, Dio così amabile e così buono. Povera me, se dopo la luce che ora mi donate, io ritornassi a tradirvi! Come potreste voi più sopportarmi? Questo timore m'affanna: posso tornare ad offendervi. Ah Signore, non lo permettete, non mi abbandonate a questa disgrazia. Mandatemi ogni castigo, e non questo. Se mai vedete ch'io di nuovo avessi a voltarvi le spalle, fatemi morire in quest'ora, in cui spero di stare in grazia vostra. E che mi servirà il vivere, se ho da vivere per seguire a darvi disgusto? No, mio Dio, v'amo e spero di sempre amarvi.

Maria, speranza mia, ottenetemi voi o la perseveranza o la morte.




1 «Haec enim (propria voluntas) adversus Deum inimicitias exercens est, et guerram crudelissimam. Quid enim odit aut punit Deus praeter propriam volutnatem? Cesset voluntas propria, et infernus non erit.» S. BERNARDUS, In tempore Resurrectionis, ad Abbates, Sermo 3, n. 3. ML 183-289, 290.



2 «Quis.... tyrannus crudelior, quae saevior potestas homini quam hominis ipsius voluntas? Numquam sub ea requiescere, numquam sedere licet, et quo amplius te ad obediendum sibi noverit fatigari, eo magis urget, instigat et onerat, pietatis immemor, misericordiam nesciens. Hoc enim proprium propria voluntas habet, ut quo obediens obedientior fuerit sibi, eo amplius cum crudelioribus vinculis internectat. Sola diligitur, cum sola digna sit odio, principium iniquitatis, mortis infusio, destructio magna virtutum.» S. PETRUS DAMIANUS, Sermo 9, in honorem S. Benedicti, ML 144-549.



3 «Solus... Deus, quidquid vult, debet velle propria voluntate, ita ut aliam, quam sequatur, non habeat supra se.... Sed sicut propria voluntas Dei, fons est et origo totius boni, ita propria voluntas hominis, totius est exordium mali.» EADMERUS Monachus, Liber de Sancti Anselmi similitudinibus, cap. 8. ML 159-607.



4 «Cum pastorali vinculo solutus posses tui remanere iuris- siquidem promotio abbatis, emancipatio filii est - tu tamen hac potestate tui non utens, sicut aliis dominari renueras, sic tibi quoque praeesse timuisti; quique ut magister esses aliorum, minus te iudicabas idoneum, nec te quidem tibi credens, tuus fieri discipulus contempsisti. Et merito: quia qui se sibi magistrum constituit, stulto se discipulum subdit. Et quidem quid alii de se sentiant, ignoro; ego de me expertus sum (al. sentio) quod dico; et facilius imperare, et securius possum praeesse aliis multis, quam soli mihi.» S. BERNARDUS, Epistola 87, ad Ogerium Canonicum Regularem, n. 7. ML 182-215.



5 «Profecto, filioli mei, quicumque odio non habuerit ea quae materialis ac terrenae maturae propria sunt, omnesque eius operationes ex corde suo, et sursum ad Patrem omnium, intellectum suum non sustulerit, salutem consequi minime poterit. Qui vero sic egerit, Dominus noster illius miserebitur laboribus, invisibilem immaterialemque ignem elargiens ei ad comburendas cunctas passiones quae ei insunt, purgandumque eius intellectum.... Nam quamdiu concordes sumus cum hac materiali natura, hostes sumus Deo angelisque eius ac sanctis omnibus.... Profecto, filioli mei, anima mea confusa et spiritus meus stupidus est, eo quod nobis omnibus eligendi libertas data sit ad operandum opera sanctorum; nos vero passionibus iam ebrii facti sumus, tamquam ii qui vini delectatione inebriati sunt; erigere volumus intellectus nostros et supernam exquirere gloriam, nec sanctorum omnium imitari gesta aut eorum insistere vestigiis, ad eorum hereditanda opera, ut cum eis aeternam consequamur hereditatem.» S. ANTONII MAGNI  Epistolae viginti, ex arabico latini iuris factae ab Abrahamo Ecchellensi, Maronita e Libano: Epistola 5. MG 40-1010, 1011.- Altra versione (dal greco: interprete Valerio de Sarasio): EIUSDEM Epistolae septem, Epistola 5, num. 3, 4, ibid. col. 995, 996.



6 «Sed rursus dicebam: Quis fecit me? Nonne Deus meus, non tantum bonus, sed ipsum bonum? Unde igitur mihi male velle et bene nolle....? si diabolus auctor, unde ipse diabolus? Quod si et ipse perversa voluntate ex bono angelus diabolus factus est; unde et in ipso voluntas mala qua diabolus fieret....? His cogitationibus deprimebar iterum et suffocabar.» S. AUGUSTINUS, Confessiones, lib. 7, cap. 3, n. 5. ML 32-735.



7 Liber 7 de Vitis Patrum, auctore graeco incerto, interprete Paschasio, cap. 25, n. 4, ML 73-1049: «Quidam frater requisivit abbatem Achilleum): «Quemadmodum adversum nos possunt daemones?» Respondit senex: «Per voluntates nostras.» Et adiecit dicens: «Ligna Libani dixerunt: Quam grandia sumus et alta, et parvissimo ferramento incidimur. Nihil ergo ei demus ex nobis, et nos non poterit incidere. Venerunt ergo homines, et fecerunt in securi manubrium ex ipsis lignis, et ita inciderunt. Ligna ergo sunt animae; securis, diabolus; manubrium voluntas nostra est. Per malas ergo voluntates nostras incidimur.» - Nè presso il Cassiano, nè altrove, abbiamo ritrovato una sentenza dell' Abbate Achille, più vicina a quella qui riferita da S. Alfonso.



8 «Interrogavit abbas Abraham.... abbatem Pastorem, dicens: «Quare me sic daemones impugnant?» Et dicit ei abbas Pastor: «Te impugnant daemones? Non pugnant nobiscum daemones quando voluntates nostras facimus; quia voluntates nostrae daemones factae sunt, et hae sunt quae tribulant nos ut faciamus eas. Si autem vis scire quales sunt cum quibus daemones pugnant: cum Moyse et similibus eius.» De Vitis Patrum lib. 5, auctore graeco incerto (non già Ruffino), interprete Pelagio, libell. 10, n. 62. ML 73-923.



9 «Dicit Climacus: qui sibi dux esse vult, spreto duce proprio, quod non iam indiget daemone tentante, quia factus est sibi daemon.» IO. GERSONIUS, De libris legendis a monacho, post considerationem 6m 2æ partis. Opera, Antwerpiae, 1706, II, pag. 710.- «Monachus superbus non indiget alio daemone, ipse enim sibi est iam daemon et hostis factus.» S. IO. CLIMACUS, Scala Paradisi, gradus 23. MG 88-970.- Ora, per il Climaco, un monaco disubbidiente non può non esser superbo, essendo l' ubbidienza la via che conduce all' umiltà: «Viam quidem ad hanc (cioè all' umiltà)... Patres.... labores et exercitationes corporis affirmarunt: ego vero obedientiam et verum sincerumque et rectum cor, quod natura etiam sua repugnat superbae aestimationi, rectam ad humilitatem viam esse iudico.» IDEM, op. cit., gradus 25. MG 88-1002.



10 Della Ven. Caterina di Cardona, che non dubita di chiamar santa: «la santa Cardona», parla diffusamente SANTA TERESA: Las Fundaciones, cap. 28, Obras, V, pag. 253-261. Vedi pure Las Relaciones, Mercedes de Dios, XXIII, Obras, II, pag. 54.- Descrive la sua vita FRANCESCO DI S. MARIA, Riforma de' Scalzi di Nostra Signora del Carmine, I, lib. 4, cap. 1-20.



11 «Un Fratello, che per essergli mancato il sugo interiore, volendo Dio provarlo, veniva stanchissimo con un fascio di legna, che portava in spalla, discorrendo contro l' obbedienza: intendendo essa fin dalla sua grotta quello che in quell' anima passava, uscì nella strada, e gli disse: «Figlio, non ti affliggere, sappi soffrir per Dio, chè più meriti tu con questo carico di legna, che porti per obbedienza, che io con quanta penitenza ho fatto nella mia vita di mia propria volontà» FRANCESCO DI S. MARIA, Riforma de' Scalzi di N. S. del Carmine, I, lib. 4, cap. 18.



12 «Obedientiae arma ideo fortissima sunt, quia compellunt hominem seipsum abnegare sibi: fortissima, quia nihil est quod diabolus plus odit, quam obedientiam veram.» Ioannes TRITHEMIUS, Abbas Spanheimensis, In Regulam, D. Benedicti Commentarius, in Prologum Regulae, cap. 2, n. 8. Valecensis, 1608, pag. 31.



13 «Yo creo, que como el demonio ve que no hay camino que màs presto lleve a la suma perfeciòn que el de la obediencia, pone tantos desgustos (disgustos) y difficultades debajo de color de bien; y esto se note bien, y veràn claro que digo verdad.» S. TERESA, Las Fundaciones, cap. 5. Obras, V, pag. 41, 42.



14 «Comme on le consultait un jour sur la nuditè des pieds qu' on voulait introduire en une maison religieuse: «Hè! dit-il, que ne laisse-t-on là les pieds chaussès? il faut rèformer la tête et non les pieds.» CAMUS, Esprit de S. François de Sales, partie 10, ch. 3, èdition Collet.- Scrivendo poi alla baronessa di Chantal del proprio Ordine da fondarsi, dice: «Votre Anne-Jacqueline me contente toujours plus. La dernière fois qu' elle se confessa, elle me demanda licence, pour se prèparer et accoutumer, dit-elle, à être Religieuse, de jeûner les avents au paint et à l' eau, et d' aller nupieds tout l' hiver. O ma Fille, il vous faut dire ce que je lui rèpondis, car je l' estime aussi bon pour la maîtresse que pour la servante: que je dèsirais que les filles de notre Congregation eussent les pieds bien chaussès, mais le cœur bien dèchaussè et bien nu des affections terrestres; qu' elles eussent la tête bien couverte et l' esprit bien dècouvert, par une parfaite simplicitè et dèpouillement de la propre volontè.» S. FRANÇOIS DE SALES, Lettre 561, à la baronne de Chantal,(vers la mi-dècembre) 1609. Lettres, IV, Annecy, 1906.- «Anne-Jacqueline» è quella «Anne-Jacqueline Coste» (+ 1623), prima suora conversa della Visitazione, di cui, l' anno precedente (1608), ai 19 settembre, S. FRANCESCO DI SALES (Lettres, IV, lettre 478) scriveva alla stessa Fondatrice: «Au reste, ma Fille, il faut que je vous dise que dimanche dernier je fuis très consolè. Une paysanne de naissance, très noble de cœur et de dèsir, me pria, après l' avoir confessèe, de la faire servir les Religieuses que je voulais ètablir. Je m'enquis d' où elle savait une nouvelle encore toute cachèe en Dieu. «De personne,» O Dieu, dis-je en moi même, avez-vous donc rèvèlè votre secret à cette pauvre servante?»



15 «Era solito dire: «La santità dell' uomo sta in tre dita di spazio;» e mentre ciò dicea, si toccava la fronte; e poi dichiarando il detto soggiungeva: «Tutta l' importanza sta in mortificar la razionale,»- parola a lui molto familiare, intendendo per la razionale il soverchio discorso- «e non voler fare il prudente, e discorrere in ogni cosa.» Soggiungendo che la perfezione consiste in cattivare la propria volontà, e nel fare a modo di chi regge.» BACCI, Vita, lib. 2, cap. 19, n. 22, 23.



16 Si può sospettare doversi, invece di Girolamo, leggere Gregorio, e ritrovarsi qui, in termini più chiari, la sentenza espressa da S. Gregorio, Moralia in Iob. lib. 10, cap. 13, n. 24, ML 75-934: «Restat ergo ut... mens nostra... inde magis vota sua ad vitam impleat, unde vitae suae studia et contra propriam voluntatem calcat.» Vota sua ad vitam implere non è altro che adiicere virtuti, mentre subtrahere propriae voluntati vale vitae suae studia et contra propriam voluntatem calcare.



17 «Eumdem senem (abbatem Ioannem) cum alacrem tamquam ad propria transmigrantem, in extremo iam anhelitu positum anxii fratres circumvallantes suppliciter precarentur, ut aliquod eis memoriale mandatum, velut hereditarium quoddam legatum relinqueret, per quod possent ad perfectionis culmen praecepti compendio facilius pervenire, ingemiscens ille: «Numquam, ait, meam feci voluntatem, nec quemquam docui quod prius ipse non feci.» IO. CASSIANUS, De coenobiorum institutis, lib. 5, cap. 28. ML 49-245, 246.



18 «L' unica maniera di chiudere una vita quieta con una felice morte è lasciarsi semplicemente guidare da' superiori, e operare sempre colla presenza di Dio.» PUCCINI, Vita, 1671, in fine: Detti e sentenze, § 4, n. 9.- Poco prima di morire, «rivoltasi al detto Padre (confessore), gli domandò d' alcune cose, il quale soddisfacendo alle sue domande: «Sappiate, soggiunse ella, che sempre mi sono lasciata guidare semplicemente con l' ubbidienza de' miei maggiori, e in tutte le mie cose non ho avuto altro nella mente, se non la presenza di Dio.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 1, cap. 75.- «In questi ultimi giorni (di sua vita), domandò il Padre confessore se egli credeva che ella fosse stata ingannata; e rispondendo egli: «Se voi vi siete guidata con l' ubbidienza, state sicura che non ci può essere stato inganno;» replicò ella e disse: «Io non mi ricordo mai aver fatto nulla senza ubbidienza, ma sempre mi son lasciata guidare semplicemente dall' ubbidienza de' miei superiori, e in tutte le mie cose non ho avuto altro nella mente se non la presenza di Dio.» PUCCINI, Vita, Venezia, 1671, cap. 141. Cf. cap. 119.



19 «Finis quidem coenobitae est omnes suas mortificare et crucifigere voluntates, ac secundum evangelicae perfectionis salutare mandatum, nihil de erastino cogitare (Matth. VI). Quam perfectionem prorsus a nemine nisi a coenobita impleri posse certissimum est.... Eremitae vero perfectio est exutam mentem a cunctis habere terrenis, eamque, quantum humana imbecillitas sinit, unire cum Christo.» IO. CASSIANUS, Collatio 19, De fine coenobitae et eremitae, cap. 8. ML 49-1138, 1139.



20 «Considerate attentius, dilectissimi, et animadvertite in quanam potestate evaseritis Pharaonis intolerabile iugum, ut iam membra vestra non sint arma iniquitatis peccato, nec regnet ultra in mortalibus corporibus vestris. Non est hoc operis vestri: dextera Domini facit virtutem... Denique nemo sibi dubitet omnimodis esse cavendum, ne forte donec adhuc dies mali sunt, et nulla usquam securitas homini, hanc suam possessionem, de manu tam pii tamque providi tutoris, in periculosam perniciosamque interim libertatem recipere velle praesumat. Quod enim aemulatur Pater, pro te aemulatur: nec invidentiae, sed providentiae est, quod sibi totam iubet manere substantiam, ne pereat tibi. Denique, ubi ad magnam illam sanctamque civitatem perveneris... ubi nullus iam hostium timeatur incursus, non modo reddet te tibi, sed dabit insuper et se ipsum. Interim sane a voluntatibus tuis avertere, et Deo dicata membra nulla tibi temeritate usurpes, sciens quod pietati sanctificata non absque gravi sacrilegio in usus vanitatis, curiositatis, voluptatis, aut eiusmodi saecularis operis assumantur.» S. BERNARDUS, In Ps. «Qui habitat» sermo 8, n. 5. ML 183-212.



21 «Quidnam est, quod ariolis et idololatris, repugnantes et acquiescere nolentes a propheta similantur, nisi quia arioli divina cognoscere atque absconsa divinare nitebantur; idololatrae autem figmentis se venerando subdidere? Qui autem repugnant praelatorum imperiis, ideo utique repugnant quia divinam voluntatem se scire melius aestimant. Quasi ergo peccatum ariolandi est repugnare: quia, velut contempto divino altari, ad aras daemonum responsa percipiunt, dum cordis sui praestigiosis ac superbit adinventionibus credunt, et salubribus praelatorum consiliis contraria sentiendo refragantur. Nolle autem acquiescere, idololatriae sceleri simile dicitur, quia nimirum in inobedientiae suae obstinatione nemo persisteret, si propositi sui figmentum, in corde quasi idolum non gestaret. Dum enim agenda in corde concipit, quasi idolum facit, et dum conceptum mentis propositum se acturum deliberat, quasi ad adorandum simulacrum se inclinat. Quasi ergo scelus idololatriae est nolle acquiescere: quia quisquis in propria deliberatione obstinatus est, idcirco foris in maiorum contemptum erigitur, quia intus eis quae fingendo statuit propositi sui simulacris incurvatur.» S. GREGORIUS MAGNUS, In I Regum Expositiones, lib. 6, cap. 2, n. 24.



22 «Interrogatio: Quomodo oporteat affici omnes erga immorigerum et inobsequentem. Responsio... Quod si saepius admonitus, pudore non afficitur, neque reipsa semetipsum sanat, eum veluti sui ipsius pestem (ut est in proverbio), non quidem sine multis lacrimis ac gemitibus, sed tamen, ut membrum corruptum et penitus inutile, medicorum exemplo, a communi corpore resecare debemus. Hi enim quodcumque tandem membrum insanabili morbo correptum repererint, ut ne latius lues serpat, vicinasque partes ob continuitatem corrumpat, secando urendove illud tollere soliti sunt.» S. BASILIUS MAGNUS, Regulae fusius tractatae, Interrogatio 28. MG. 31-987.



23 «Post ingressum religionis, praelatis Ordinis firmiter obediendum esse, tamquam Dei locum tenentibus, monebat indefesse. Et hoc aperte patet intuenti diligenter ordinationes ab ea factas super Regulam, ipsa iam exsistente religiosa, signanter super iis verbis: «Subiectae vero recordentur, quod propter Deum abnegaverunt proprias voluntates.» Ubi sic ait: «Sorores meae, multum diligenter advertere debetis, quatenus, quandocumque per superiores vobis aliquid mandatum sive prohibitum fuerit, nullatenus utamini pro vestro proprio sensu, seu propria volutate, nec propriis consiliis; sed magis prompte et voluntarie pro amore Domini nostri Iesu Christi, qui permanens inter nos inferius in terra cuncta fecit conformiter ad voluntatem Patris caelestis: debetis igitur obedire, vosque submittere voluntati et determinationi vestrae praesidentis. Nam melius est proprios sensus, et propriam voluntatem, ac propria consilia pro Dei amore relinquere, quam omnes mundi divitias acquirere, sensu proprio cum sua voluntate retentis: nec credo aliquam viam fore latiorem, nec quae facilius ducat in aeternam damnationem, quam sit propria voluntas; nec aliquam ex opposito breviorem ad vitam sempiternam, quam sponte renuntiare illi.» Vita, auctore Stephano IULIACO, inter Acta Sanctorum,Bollandiana, die 6 martii, cap. 3, n. 23.- Dove l' autore della Vita scrive acquirere, S. Alfonso legge relinquere. Certamente, dire che santa Coletta, amante appassionata della santa povertà, abbia preferito l' ubbidienza all' acquisto di tutti i beni della terra, è poco più che nulla; asserire invece che abbia messo l' ubbidienza al di sopra della stessa povertà, é pensiero assai rilevante.



24 «Tantum denique est abbatis transire praeceptum ut legas, quantum si contemnas ut dormias; nec aliud superbiae fomes est pro ieiunio fratrem quam pro refectione contemnere: nisi quod perniciosiora et a remediis longinquiora sunt vitia quae sub specie virtutum et imagine spiritualium rerum videntur emergere, quam illa quae ex aperto pro carnali voluptate gignuntur. Haec enim velut palam expositi ac manifesti languores, et arguuntur cominus, et sanantur; illa vero, dum praetextu virtutum teguntur, incurata perdurant, et deceptos quosque periculosius faciunt ac desperatius aegrotare.» IO. CASSIANUS, Collatio 4, cap. 20. ML 49-609.



25 «Vereor ne et inter nos aliqui sint quorum non acceptet munere Sponsus, eo quod non redoleant lilia. Etenim si in die ieiunii mei inveniatur voluntas mea, non tale ieiunium elegit Sponsus, nec sapit illi ieiunium meum, quod non lilium obedientiae, sed vitium propriae voluntatis sapit. Ego autem non solum de ieiunio, sed de silentio, de vigiliis, de oratione, de lectione, de opere manuum, postremo de omni observantia monachi, ubi invenitur voluntas sua in ea, et non obedientia magistri sui, idipsum sentio... Minime prorsus observantias illas, etsi bonas in se, tamen inter lilia, id est inter virtutes, censuerim deputandas.... Grande malum propria voluntas, qua fit ut bona tua tibi bona non sint. Oportet proinde lilia fiant quae huiusmodi sunt, quia nihil omnino, quod propria inquinatum sit voluntate, gustabit is qui pascitur inter lilia.» S. BERNARDUS, In Cantica, sermo 71, n. 14. ML 183-1128.



26 «Ubi terrenus iste angelus.... a nemine antea tritam novamque plane vitam ingressus est, summos montium vertices incolentes Patres perbenigne erga eum animati, delectos ex eorum numero quosdam ad eum misere, eique haec renuntiare iussere: «Quid sibi vult insolens haec et peregrina habitatio? Cur tritam hanc et a sanctis fere omnibus calcatam viam relinquens, aliam quamdam et prorsus ignotam semitam iniisti?» Illud praeterea mandatum illis dedere, ut descendere illum, et electorum Patrum vestigia sequi iuberent. Ac siquidem promptum se, ut ex columna descenderet, praeberet: permittere ei ut quam vellet vivendi rationem persequeretur, praeceperunt. Obedientiam namque eius, si Deus instituti huiuscemodi dux esset, declaraturam esse censuerunt. Sin cupidittati ipse suae inserviret... pedibus vi arreptum illico detrahere iusserunt. Ut illi ad eum venerunt, et Patrum mandatum exposuerunt, confestim ille, altero pede prolato, ad descendendum... promptus paratusque fuit; et gratias illis egit, qui tantam de eo gererent curam, veluti quidquam praeter voluntatem et sententiam Dei facere accoepisset. Porro illi eum in instituto, quod sibi proposuerat, permanere sunt passi... illud insuper adiicientes: «Fortis esto et viriliter age. Videris namque divinitus ad hanc vivendi viam perductus esse, antea ignotam.» Itaque deinceps magna ille concepta fiducia, coeptum id magis est prosecutus.» NICEPHORUS CALLISTUS, Ecclesiastica historia, lib. 14, cap. 51. MG. 146-1242, 1243.



27 «Je veux peu de choses; ce que je veux, je le veux fort peu; je n' ai presque point de dèsirs, mais si j' ètais à renaitre, je n' en aurais point point du tout.» S. FRANÇOIS DE SALES, Les vrais Entretiens spirituels, XXI. (Euvres, VI, Annecy, 1895, pag. 385, 386.- Cf. CAMUS, Esprit de S. François de Sales, partie 3, chap. 25, èd. Collet.



28 Ciò narra san Doroteo, non del discepolo san Dositeo, ma di se stesso, mentre era ancora sotto la guida dell' abbate Giovanni. «Cum essem adhuc cum ceteris in coenobio, reponebam semper omnia pud abbatem Ioannem seniorem, nec aliquando sustinui quidquam facere praeter eius voluntatem.... Sustinui numquam cogitationi meae credere nisi patrem consultassem prius. Quo factum est- credite quod dicam, fratres- ut in tanta semper quiete et securitate essem, ut plerumque poeniteret me tantae tranquillitatis. Quod memini alias me vobis saepius dixisse. Cum enim non ignorarem «opus esse nobis per multas tribulationes intrare in regnum caelorum,» sentiremque me ipsum neque unam afflictionem pati: angebar mirum in modum, fateor, dubius insciusque unde haec tantae quietis causa esset. Quod mihi tandem senex aperuit, monuitq2ue ne maererem, dicens: «Quicumque sese traderet in patrum obedientiam, hanc tandem quietem et securitatem a Deo necessario consequi.» S. DOROTHEUS, Doctrina 5, n. 4. MG 88-1682.



29 «Soleva replicare spesso: «Non sentite che dolcezza contiene in se questa nuda parola: Volontà di Dio?» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte I, cap. 59.



30 «Nihil prodest sine seipso cetera reliquisse, quandoquidem nullum aliud onus est gravius homini quam homo ipse. Quis enim tyrannus crudelior, quae saevior potestas homini, quam hominis ipsius voluntas?» S. PETRUS DAMIANUS, Sermo 9, in hon. S. Benedicti. ML 144-549.- I termini però del primo testo riferito da S. Alfonso si ritrovano più espressamente presso S. LORENZO GIUSTINIANI, De disciplina et perfectione monasticae conversationis, Opera, Venetiis, 1721, pag. 73: «Saluberrimum consilium est obedientiae super se iugum assumere, et propriam voluntatem omnino abnegare. Gravissimum namque a se onus reiecit, qui suam repulit voluntatem.»



31 «Quid prodest, si in loco quies teneatur et inquietudo in corde versetur? si in habitatione silentium sit, et in habitatoribus vitiorum tumultus et colluctatio passionum? si exteriora nostra serenitas teneat, et interiora tempestas?» S. EUCHERIUS, Homilia 9, ad Monachos. ML 50-855.



32 «Unde enim sunt scandala, unde turbatio (al. tribulatio), nisi quod propriam sequimur voluntatem, et temere quod volumus in corde nostro definientes, si quo modo id prohiberi contingat aut impediri, continuo etiam in impatientiam, in murmurationem et in scandalum proni sumus: non attendentes quoniam omnia cooperantur in bonum his qui secundum propositum vocati sunt sancti; et ipse, qui nobis casus videtur, sermo quidam Dei est, suam nobis indicans voluntatem?» S. BERNARDUS, Sermones de diversis, sermo 26, n. 3. ML 183-611.



33 «Pronuntiant (Patres, in institutis renuntiantium) nullatenus praevalere, vel iram, vel tristitiam, vel spiritum fornicationis exstinguere, sed nec humilitatem cordis veram, nec cum fratribus unitatem perpetuam, nec firmam diuturnamque posse retinere concordiam, sed nec in coenobio quidem diutius permanere, eum qui prius voluntates suas non didicerit superare.» IO. CASSIANUS, De coenobiorum institutis, lib. 4, De institutis renuntiantium, cap. 8.



34 «Cum beatus Agilus (al. Aglius) obiisset in Domino, Fratrum concordante consensu, vir Domini Filibertus suscepit regiminis locum (nempe in monasterio Resbacensi, vulgo Rèbais, dioecesis Meldensis). Coepit namque humilitate pollere, hospitalitatem sectari... florigera caritate vernare... domum suam strenue gubernare... inventa vitia radicitus exstirpare. Tunc nonnulli e Fratribus malignitatis spiritu infiammati, assumpta rebellione, sanctum Dei ab ecclesia praesumpserunt extrahere; sed ultrix manus Dei hoc impunitum non pertulit: nam unus ex iis fulminis ictu interiit; alius more Arii in sterquilinium omnia sua intestina deposuit, atque indignam vitam digna morte finivit.» Vita S. Filiberti abbatis, auctore Monacho Gemeticensi anonymo et subaequali, cap. 1, n. 5; ex editione Mabillonii, inter Acta Sanctorum Bollandiana, die 20 augusti.- La stessa Vita, cap. 4, presso il Surio, De probatis Sanctorum historiis, die 20 augusti: Vita S. Philiberti abbatis; con qualche differenza di stile, introdotta dal Surio.



35 «Habeto pacem cum praelatis tuis. Non detrahas eis, nec libenter audias alios detrahentes eis; quia specialiter Deus hoc vitium punit in subditis, etiam in praesenti.» Opusculum in haec verba: Ad quid venisti? § III. ML 184-1189, inter Opera S. Bernardi; ma da attribuirsi piuttosto al B. Davide d' Augsburgo, Ord. Min.



36 «Facta episcoporum vel praepositorum oris gladio non sunt ferienda, etiam cum recte reprehendenda videantur;.... quia cum in praepositos delinquimus, eius ordinationi qui nobis eos praebuit obviamus.» S. GREGORIUS MAGNUS, Registri (al. Regesti) Epistolarum lib. 14, epistola 17. ML 77-1325.



37 Vedi Appendice, 7.



38 «Deh, Eterno Verbo.... deh, dimmi perchè da tanto pochi è conosciuto e inteso il suo soave operare (cioè dello Spirito Santo)?....»..... «Carissima mia sposa, varii sono gli impedimenti, grandi sono gli impedimenti, perchè varii sono gli stati delle creature.... Alcuni altri pongono l' impedimento del proprio volere; altri, non solo del proprio volere, ma ancora del proprio vedere e sapere, a tal che mi vogliono servire a modo loro. Vogliono il mio spirito sì, ma lo vogliono in quel modo che piace loro, e quando a lor pare, e in questo modo si rendono inabili a riceverlo.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 3, Prima notte, pag. 17, 18.



39 «Arctioris itaque vitae curriculum alacri studio ingressus (nel farsi Chierico Regolare), in eas maxime virtutis exercitationes incubuit, ad quas sese arduis etiam emissis votis obstrinxit, altero scilicet suae ipsius voluntati iugiter obsistendi, altero vero in via christianae perfectionis semper ulterius progrediendi.» BREVIARIUM ROMANUM, die 10 novembris, Noct. II, lectio 5.



40 «Hoc semper in corde, saepe etiam in ore habebat: «Bernarde, Bernarde, ad quid venisti?» S. Bernardi Vita prima, lib. 1, auctore GUILLELMO, ex abbate S. Theodorici monacho Signiacensi, cap. 4, n. 19. ML 185-238.



41 Non ci è riuscito sapere chi sia questo Servo di Dio.



42 «Non partiamo gli occhi dall' Amato, che colle braccia aperte ci aspetta per riceverci dentro del suo medesimo Cuore. La croce non è il nostro fine, ma porta al fine: non è Dio, ma conduce a Dio: si contenti di quello che 'l Signore le manda. Se la crocifigge con qualche travaglio, lo benedica; se non patisce travagli, tenga la volontà crocifissa con Gesù Cristo con questi quattro chiodi: Primo, niente amando; secondo, niente volendo; terzo, niente cercando; quarto, niente desiderando che Gesù crocifisso; e le assicuro che con questi quattro chiodi viverà perfettamente crocifissa con Cristo.» Lodovico SABBATINI D' ANFORA, de' Pii Op., Vita, Napoli, 1732, lib. 2, cap. 2, pag. 114.



43 «Giacchè il Signore le dà queste belle occasioni, e la mette in istato di sofferenza e di abbandonamento, si studi di stabilire ed accrescere nel suo cuore la carità verso l' Amato, che dicesi forte come la morte: forte, che la divida come una spada tagliente da tutte le creature, da tutti i rispetti umani, da tutte le stime degli uomini, da tutto quello che si apprezza nel mondo, dalla sua carne, dal suo senso, da' suoi appetiti, dalle sue inclinazioni, da tutta se stessa; acciocchè in lei non vi sia cosa che le impedisca il poter dire: Vivo ego iam non ego; che l' impedisca di viver tutta, e col pensiero e col desiderio e coll' affetto nell' Amato. All' Amato sospiri il cuore; non in altro che nell' Amato si fermi la volontà: non da altro che dall' Amato non si parta il pensiero. Se fatica la mano, se dà passo il piede, se dà moto il corpo: tutto sia per l' Amato e nell' Amato e coll' Amato. Io vorrei che questo sentimento così altamente si imbevesse nel suo cuore, che nelle sue orazioni e meditazioni a questo solo attendesse: a considerare le parti amabili dell' Amato. O, o, o Dio! o, o, o Dio! si conoscesse da noi qualche parte di tante bellezze, a levare dal cuore impedimenti e sollecitudini di altra cosa; a chiedere con suppliche continue, con istanze non interrotte, con lagrime di cuore questa cosa solo al cuore pietoso di Gesù Cristo! Voglio che per tal effetto almeno visiti nove volte il dì il Santissimo, e colle preghiere di un coro d' angeli cerchi questa grazia a quello che si protestò che ignem venit mittere in terram, et non vult nisi ut accendatur; a questo fine faccia ricorso più volte il dì alla Reina degli angeli, chiamata Mater pulchrae dilectionis. Voglio che si avvalga delle intercessioni a questo fine di S. Giuseppe, del quale si dice che omnia potest; di S. Paolo mio, cuore tutto carità: Paulus, di lui Crisostomo, factus est caritas: di S. Maria Maddalena, alla quale, perchè dilexit multum, dimissa sunt peccata multa. Voglio che ogni dì, colla faccia sulla polvere, morta di freddo, tutta tremante si accosti nel cielo al coro di tutte le Vergini, e genuflessa avanti ad esse cerchi, massime alle più amanti, per limosina un poco di carità; e voglio che, per ottenerla, ogni dì rinunzi, avanti l' immagine del Crocifisso, tutto quello che può essere amato da lei, ed onori e comodità e consolazione e parentim, protestandosi non volere altro onore che le sue ignominie, altra nobiltà che i suoi improperi, altre ricchezze che la sua carità, altra comodità che la sua croce, altro oggetto amato che lui, solo, solo, sposo, diletto, caro, tutto dell' anima. Voglio che spesso, o andando all' orto, o rimirando il cielo, o sentendo sonar le campane, gridi col cuore invitando con sè tutte le creature, anche quelle che non han senso, anche quelle che non hanno ragione, ad amare l' Amato. Desidero che quella conversazione che non dà odore dell' Amato, la fugga; quello impiego che non può esser di gusto dell' Amato, non l' eserciti; quell' azione che non può esser di gusto dell' Amato, non l' eserciti: quell' azione che non può ridondare in gloria dello Sposo, non la faccia. Se vi è sorella ch' è aliena da questo amore, tanto l' aiuti e tanto la raccomandi a Dio, fintantochè la vegga arresa all' amore; potendo in ogni osservanza, in ogni ora, in ogni azione, o piccola o grande, crescere in questo tesoro.» Lodovico SABBATINI D' ANFORA, de' Pii Op., Vita, lib. 2, cap. 2, pag. 119, 120.






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