- CAPO XIII - Della pazienza.
- § 3 - Della pazienza nelle tentazioni.
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§ 3
- Della pazienza nelle tentazioni.
1.
Sorella benedetta dal Signore, della vostra vita passata non è contento né Dio
né voi; se ora vi arrivasse la morte, certamente morireste scontenta. Pertanto,
giacché state risoluta, come spero, di meglio servirlo ed amarlo per
l'avvenire, apparecchiatevi a combattere colle tentazioni. Ecco come ve
l'avvisa lo Spirito Santo: Fili, accedens
ad servitutem Dei... praepara animam tuam ad tentationem (Eccli. II, 1). E sappiate
che le religiose, al dir del profeta, sono il cibo più gradito al demonio: Cibus eius electus (Habac. I, 16). Più
fatica il nemico per guadagnare una monaca che cento secolari. E perché? Per
prima, perché facendo diventare sua schiava una sposa di Gesù Cristo, ne fa un
trionfo più grande. Per secondo, facendo cadere una monaca, facilmente ne
guadagna più d'una, perché quella facilmente col suo mal esempio ne tirerà
altre seco. All'incontro il Signore suol permettere che l'anime sue più dilette
sieno più tormentate dalle tentazioni. S. Girolamo, mentre stava nella
solitudine di Palestina in orazioni e penitenze, era molto afflitto dalle
tentazioni; ecco com'egli stesso lasciò scritto: «Era io solo, ed aveva il
cuore pieno d'amarezze: le mie membra aride e scarnate erano coverte da un
sacco: la pelle del mio corpo era fatta nera come d'un moro: la dura terra era
il mio letto, la quale mi serviva più per patire
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che per riposare: il
mio cibo era molto scarso: e pure il mio cuore contro mia voglia ardea di mali
desideri. L'unico mio rifugio era il ricorrere a Gesù Cristo, e cercare il suo
aiuto.»1
2.
Il Signore permette che siamo tentati per nostro maggior bene.
Primieramente,
acciocché siamo più umili. Dice l'Ecclesiastico: Qui non est tentatus, quid scit? (Eccli. XXXIV, 9): Che sa chi non
è tentato? Ed in verità niuno conosce meglio la sua debolezza, che l'uomo
tentato. Riflette S. Agostino che S. Pietro prima d'esser tentato presunse di
se stesso, vantandosi ch'egli avrebbe avuta la costanza anche di abbracciar la
morte prima che negar Gesù Cristo; ma quando poi fu tentato, lo rinnegò
vilmente, ed allora conobbe la sua debolezza: Petrus, qui ante tentationem praesumpsit de se, in tentatione didicit
se (S. Aug. in Psal. 36).2 E perciò il Signore, avendo favorito San
Paolo delle sue celesti rivelazioni, affinché poi non se n'invanisse,
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volle che fosse molestato da una importuna tentazione disonesta, ch'è
quella tentazione che più umilia l'uomo. Et
ne magnitudo revelationum - ecco come lo confessò egli stesso - extollat me, datus est mihi stimulus
carnis meae, angelus Satanae, qui me colaphizet (II Cor. XII, 7).
3.
Secondariamente il Signore permette che siam tentati, per renderci più ricchi
di meriti. Molte religiose s'inquietano di scrupoli per li mali pensieri che le
molestano. Ma in vano s'inquietano, essendo certo che non son peccati i mali
pensieri, ma i mali consensi. Le tentazioni, per grandi che sieno, niente
macchiano l'anima, allorché vengono senza nostra colpa e noi le discacciamo. S.
Caterina da Siena, la B. Angela da Foligno, furono elle molto tentate
d'incontinenza; ma le tentazioni prima che diminuire, accrebbero più presto la
lor purità.3 Ogni volta che l'anima vince la tentazione, guadagna un
grado di grazia, per cui le sarà poi dato in cielo un grado di gloria: sicché
quante sono le tentazioni vinte, tante saranno le nostre corone, così dice S.
Bernardo: Quoties vincimus, toties
coronamur.4 E 'l Signore disse a S. Metilde: Chi è tentato, quante tentazioni supera col mio aiuto, tante gemme
mette al mio capo.5 Narrasi nelle Croniche cisterciensi che un
certo monaco, essendo stato una notte molto tentato da tentazioni impudiche, ed
avendole egli vinte, un altro religioso
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converso ebbe questa visione:
vide un giovine bellissimo che gli consegnò una corona di gemme, e poi gli
disse: Vanne da tal monaco e portagli
questa corona che in questa notte si ha guadagnata. Il converso comunicò la
visione all'abbate, il quale si chiamò il monaco tentato, e intendendo da lui
la resistenza fatta, comprese il premio che il Signore per quella gli aveva
preparato in cielo.6 E rivelò la divina Madre a S. Brigida che quando
ella, la santa, faceasi forza per discacciare i pensieri cattivi, ancorché
quelli non si partissero dalla mente, pure il Signore per quello sforzo ne
l'avrebbe dato il premio: Tamen pro illo
conatu coronam in caelis recipies, furono le parole della beatissima
Vergine (Apud Blos., Mons. spir., c. III, § 4).7
4.
Fidelis autem Deus est, qui non patietur
vos tentari supra id quod potestis, sed faciet etiam cum tentatione proventum
(I Cor. X, 13). Dice S. Girolamo che non vi è peggior tempesta per una nave che
una troppo lunga bonaccia.8 E volle
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dire che la tempesta
delle tentazioni fa che l'uomo non marcisca nell'ozio, ma ch'egli ricorrendo a
Dio colle preghiere, rinnovando i buoni propositi e facendo atti buoni di
umiltà, di confidenza e rassegnazione, maggiormente si stringa con Dio. Leggesi
a tal proposito nell'Istorie de' Padri antichi (al § 7) che ritrovandosi un
certo giovine continuamente e molto combattuto da tentazioni di senso, un giorno
il suo padre spirituale, in vederlo così angustiato, gli disse: «Figliuolo,
vuoi che preghi Dio che ti liberi da tante tentazioni, che non ti lasciano
vivere un'ora in pace?» Ma rispose il buon giovane: «No, padre mio, perché
sebbene molto sento la molestia di queste tentazioni, nondimeno ne sperimento
ancora l'utilità; poiché così col divino aiuto esercito continui atti di virtù.
Ora fo più orazione di prima, digiuno più spesso, più veglio e mi sforzo di
mortificare in più modi questa mia carne ribelle. Meglio è dunque che preghiate
Dio che mi assista colla sua grazia, acciò soffra con pazienza queste
tentazioni, e per mezzo di loro mi avanzi nella perfezione.»9 Tali
tentazioni dunque, non già dobbiamo
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desiderarle, ma dobbiamo bensì accettarle
con rassegnazione, pensando che Dio le permette per nostro maggior bene.
L'Apostolo molestato da simili tentazioni, pregò più volte il Signore che ne lo
liberasse; ma Dio gli rispose: Ti basta la grazia mia: Propter quod ter Dominum rogavi, ut discederet a me; et dixit mihi:
Sufficit tibi gratia mea; nam virtus in infirmitate perficitur (II Cor.
XII, 8 et 9). Voi direte: Ma S. Paolo era santo. Ma risponde S. Agostino: Che
pensate voi? i santi come resisteano alle tentazioni? colle forze proprie o con
quelle di Dio? An isti in se ipsis
possunt, an non in Domino? (Conf. 1. VIII, c. 11). I santi han confidato in
Dio e così han vinto. E perciò soggiunge il santo dottore: Abbandonatevi ancora
voi nelle mani di Dio, e non temete; egli, che vi mette nel combattimento, non
vi lascerà sola, né vi abbandonerà, acciocché vi perdiate: Proiice te in eum, noli metuere, non se subtrahet ut cadas (Loco
cit.).10
5.
Ma veniamo alla pratica, e a vedere i mezzi e l'armi di cui abbiamo da avvalerci
per non restar vinti.
Il primo e principal mezzo,
anzi può dirsi l'unico ed assolutamente necessario, per superar le tentazioni,
e il ricorrere a Dio colle preghiere. - S. Agostino, parlando della necessità che
abbiamo d'esser umili, per esser veri discepoli di Gesù Cristo, dice: Si quaeras, quidquid sit primum in
disciplina Christi? respondebo: Primum est humilitas. Quid secundum? Humilitas. Quid tertium? Humilitas. Et quoties interrogabis, toties
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hoc
dicam (Ep. 56).11 Or così similmente, se voi mi dimandaste quali
sono i mezzi per vincere le tentazioni, io risponderei: Il primo mezzo è la
preghiera; il secondo è la preghiera; il terzo è la preghiera; e se mille volte
mi dimandaste, sempre replicherei lo stesso. E specialmente parlando delle
tentazioni impure, queste non si vincono se non col raccomandarsi a Dio, come
disse il Savio: Et ut scivi quoniam
aliter non possem esse continens, nisi Deus det... adii Dominum et deprecatus
sum illum (Sap. VIII, 21): Subito che ho saputo di non potere ottener la
continenza, senza che Dio me la conceda, sono ricorso al Signore e l'ho
pregato. Quindi scrisse S. Girolamo:
Statim ut libido titillaverit sensum, erumpamus in vocem: Domine, auxiliator
meus (Ep. 22, ad Eustoch.):12
Subito
che il senso è infestato dal fomite velenoso, diciamo: Signore, aiutatemi, non
permettete ch'io vi offenda. Così parimente l'abbate Isaia esortava i suoi
discepoli a replicar sempre in tali tentazioni: Deus, in adiutorium meum intende; e dicea che questa difesa è sicura.13
E ben diceva ciò, perché Dio non può mancare a tante promesse fatte di esaudir
chi lo prega: Clama ad me et exaudiam te
(Ierem. XXXIII, 3). Invoca
me et eruam te (Psal. XLIX,
15).14 Petite et dabitur vobis;
quaerite et invenietis (Matth. VII, 7). Omnis
enim qui petit,
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accipit (Luc. XI, 10). Quodcumque volueritis, petetis et fiet vobis (Io. XV, 7).
6.
Si riferisce nel libro delle Sentenze de' Padri (al § 1) che S. Pacomio narrava
a' suoi discepoli di aver ascoltati i demoni che discorrendo tra di loro, uno
vantavasi dicendo: Il mio monaco, quando lo tento, mi dà udienza e non si volta
a Dio, e perciò spesso lo fo cadere. Un altro poi si lamentava che col monaco
suo niente potea, perché colui subito ricorreva a Dio e così lo vincea. Dunque, fratelli miei, concludeva il
santo abbate, resistete alle tentazioni
col sempre invocare il nome di Gesù Cristo.15 Ma ciò bisogna farlo
subito, senza dare udienza e senza discorrere colla tentazione. Un altro monaco,
come si narra nelle Vite de' Padri (al § 12), si lagnava con un padre vecchio
d'esser continuamente tentato d'impurità; il buon vecchio pregò per lui, e gli
fu rivelato che quel monaco non voltava subito lo sguardo dalla tentazione, ma
si fermava a mirarla. Onde di ciò lo corresse, e così quegli per l'avvenire non
fu più molestato come prima.16 Dum
parvus
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est hostis,
interfice, scrisse S. Girolamo (Ep. 22, ad Eust.).17 Il leone
quando è picciolo facilmente si uccide, ma non quando è fatto grande. Le
tentazioni disoneste bisogna scuoterle subito, come si scuotono le faville che
ci saltano sopra dal fuoco. Il miglior modo di vincerle è di voltar loro le
spalle, come ho detto, senza dar loro udienza. Se una regina fosse tentata in tal
materia da uno schiavo nero, che farebbe? non farebbe altro se non che
voltargli le spalle con disdegno, senza dargli risposta. Così fate voi, se 'l
demonio vi molesta, senza rispondergli voltategli le spalle ed invocate i nomi
di Gesù e di Maria: e così facendo, sarete sempre sicura di non cadere. Dice S.
Francesco di Sales: Subito che sentite in
voi qualche tentazione, fate come fanno i bambini: quando veggono il lupo,
corrono tosto fra le braccia del padre e della madre; almeno li chiamano in
soccorso; così ricorrete voi con fiducia filiale a Gesù ed a Maria.18
7.
Nelle tentazioni giova molto ancora il segnarsi col segno della santa croce.
Dice S. Agostino: Omnia daemonum
machinamenta virtute crucis ad nihilum rediguntur (De Symb. cap.
1).19 Gesù, dando la vita sulla croce, distrusse le forze dell'inferno,
e perciò al segno di quel sacro patibolo svaniscono tutte le macchine de'
demoni. Riferisce S. Atanasio di S. Antonio abbate che quando questi nemici
l'assalivano, egli subito si armava col segno della croce, e cosi armato dicea
loro: Che serve ad affaticarvi di farmi
danno, mentr'io son fatto sicuro da questo segno e dalla fiducia che ho nel mio
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Signore?20 Narra
una cosa di più maravigliosa S. Gregorio Nazianzeno, che Giuliano apostata,
benché fosse nemico di Gesù Cristo, nondimeno, sapendo la virtù del segno della
croce, quando era atterrito da' demoni segnavasi colla croce, e i demoni
fuggivano: Ad crucem confugit, eaque
adversus terrores consignat (S. Greg. Naz., Orat. I in Iul.).21
8.
Il secondo mezzo per vincer le
tentazioni è l'umiliarsi e diffidare delle proprie forze.
Il
Signore, per vederci umiliati, a tal fine permette spesso che siamo infestati
dalle tentazioni, e spesso dalle tentazioni più sozze che vi sono. E perciò,
quando ci vediamo cosi molestati,
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umiliamoci e diciamo: Signore, così
merito io d'esser tormentato per li disgusti che v'ho dati per lo passato. Si
narra nelle Vite de' Padri che una vergine anacoreta, chiamata Sara, nel suo
deserto era fieramente perseguitata dallo spirito d'impurità. Ella nulladimanco
non cercò mai a Dio d'esserne liberata, ma umiliandosi domandava solamente
fortezza. Quanto più il demonio si sforzava a tentarla, tanto più ella
s'applicava ad abbassarsi ed a cercare aiuto. Finalmente il nemico, non potendo
farla cadere in tal vizio, procurò di farla cadere in vanagloria, onde le disse
a voce alta: Hai vinto, Sara, hai vinto.
Ma allora l'umile serva di Dio rispose:
No, spirito maligno, non io t'ho vinto, ma t'ha vinto Gesù mio Dio (Erib.
Rosveid., Vit. PP. lib. 3).22 Così anche umiliamoci noi, e nello stesso
tempo ricorriamo con confidenza a Dio, il quale protegge ognuno che in lui
confida: Protector est omnium sperantium
in se (Psal. XVII, 31). Egli medesimo ha promesso di liberare coloro che in
lui sperano: Quoniam in me speravit,
liberabo eum (Psal. XC, 14). Quando dunque ci vediamo cruciati dalle
tentazioni e dai timori di perdere Dio, diciamo con animo grande: In te, Domine, speravi; non confundar in
aeternum (Psal. XXX, 2): Signore, in voi ho poste le mie speranze; no, che
non mi vedrò mai confuso e caduto in disgrazia vostra. Dico con animo grande, mentre dice S. Teresa: I demoni quando vedono che di loro si fa poco
conto, restano senza forze.23 E quando il nemico ci fa apparire
troppo difficile il mettere in esecuzione ciò che bisogna fare per farci santi,
diciamo, diffidati di noi, ma fidati in Dio: Omnia possum in eo qui me confortat (Philip. IV, 13): Io non posso
niente da per me, ma posso tutto coll'aiuto del mio Signore.
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9.
Il terzo mezzo contro le tentazioni è
scovrirle al padre spirituale.
I
ladri quando sono scoverti, fuggono. Perciò dicea S. Filippo Neri che la
tentazione scoverta è mezza vinta.24 Narra a tal proposito S. Antonino
(P. 3, tit. 24, § 7) che fra Ruffino, compagno di S. Francesco, fu assalito da
una forte tentazione di disperazione, ch'egli era prescito, e che quanto
faceva, tutto era perduto. Il misero frate niente palesava a S. Francesco suo
superiore, e la tentazione vie più cresceva, poiché il demonio un giorno gli
apparve in forma del Crocifisso e gli disse: Sappi che tu, Francesco e tutt'i
suoi seguaci, tutti siete dannati. Onde Ruffino si tenea quasi perduto. Ciò fu
rivelato a S. Francesco, il quale se lo mandò a chiamare, ed egli neppure volea
andarci; ma finalmente ci andò e gli palesò la tentazione, e 'l santo gli
ordinò che non ne facesse più conto. Ritornò il demonio, ma vedendosi disprezzato,
se ne fuggì, e dapoi gli apparve il vero Crocifisso e l'assicurò della sua
grazia.25
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10.
Il quarto mezzo molto anche
importante per liberarsi dalle tentazioni è
il fuggir l'occasioni.
Dice
S. Basilio che chi si trova nella pugna contro sua voglia, Iddio lo soccorre;
ma chi volontariamente si mette nella pugna, non merita compassione, e perciò
Dio l'abbandona.26 E ciò prima lo disse l'Ecclesiastico: Qui amat periculum, in illo peribit
(III, 27): Chi ama il pericolo, mentre lo va a trovare, in quello perirà; né
giova allora il voler confidare in Dio, perché il confidare in Dio con esporsi
spontaneamente all'occasione, non è confidenza santa, ma temeraria che merita
castigo.
11.
Per ultimo bisogna qui notare due
avvertimenti molto importanti. Per prima bisogna avvertire che alcune
tentazioni si han da vincere da petto a petto, con atti positivamente contrari;
come per esempio la tentazione di vendetta si ha da vincere con cercare di far
bene a chi ci offese: la tentazione di vanità, con umiliarci: d'invidia, con
godere del bene altrui, e così le altre simili. Altre tentazioni poi, come son
quelle contro la fede o contro la castità o pure di bestemmia, è meglio
vincerle con disprezzarle e con fare atti buoni, ma indiretti, come di
confidenza, di dolore o di amore. Narra S. Giovanni Climaco (Gradu 33) che un
monaco era molto tormentato dalla tentazione di bestemmia, e stava il misero
sotto sopra; ricorse egli ad un buon padre e cominciò a riferirgli tutte quelle
bestemmie esecrande, che gli passavano per la mente. Orsù, io mi accollo, gli
disse quel santo monaco, tutti questi
peccati tuoi, e tu da ogg'innanzi non ne fare più caso.
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Così
quegli fece, e restò quieto.27 Ma specialmente parlando poi delle
tentazioni d'incontinenza, per l'anime timorate, non è consiglio che mettansi a
contrastare da tu a tu col mal pensiero e a dire e replicare: No, non voglio farlo, non voglio
acconsentirvi; perché col riflettere a fare questi atti contrari, più si
eccita l'immaginazione di quegli oggetti presentati alla mente, e così riesce
più dura e più lunga la pugna; meglio è rinnovare in generale il proposito di
morire prima mille volte che d'offendere Dio. È bene allora rinnovare i voti, e
specialmente quello di castità; e poi bisogna ricorrere subito all'aiuto
divino, con fare atti di speranza o di amore, come si è detto di sopra, e con
invocare spesso i santissimi nomi di Gesù e di Maria.
12.
Per secondo bisogna avvertire che le tentazioni più pericolose son quelle che
vengono sotto apparenza di bene, in modo che taluno, quasi senza avvedersene,
potrà ritrovarsi caduto in qualche precipizio. Ed in particolare facilmente in
ciò possono inciampare le persone spirituali. Bonus, dice S. Bernardo, numquam nisi boni simulatione deceptus est
(Serm. 60, in Cant.):28 L'anime che son di buona intenzione, il demonio
non l'inganna se non che colla finzione del bene. Narra a tal proposito S.
Bonaventura (In vita S. Franc., c. 10) che vi era un frate così attaccato al
silenzio che neppure nella confessione volea parlare, ma volea spiegarsi per
via di segni. Il Ministro Generale molto lodava appresso san Francesco questo
frate del suo silenzio, ma il santo gli disse: T'inganni, padre mio; fa cosi, comandagli che si confessi due volte la
settimana. Il ministro ce lo comandò, ma quegli non volle ubbidire; e fu in
ciò così ostinato che, per non ubbidire, finalmente se ne uscì dalla
religione.29 Più pericolosa poi sarebbe
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la tentazione che
inducesse una religiosa ad affezionarsi più del dovere col suo padre spirituale
o altro personaggio col motivo che sia santo. Il demonio le farà vedere che la
direzione o familiarità con tal soggetto sia per condurla a gran perfezione.
Pertanto le accende nel cuore un gran desiderio di averlo, e tanto fa che alla
fine l'ottiene. Ottenuto che l'ha, a principio il nemico le sveglia nell'animo
un affetto che pare tutto spirituale, poi insinua ed introduce fra di loro la
confidenza, poi la libertà, poi la licenza di parole affettive, e dalle parole
finalmente li riduce a precipitare in azioni indegne o almeno in sacrileghi
desideri. Ma di questo punto già se n'è parlato a lungo nel primo tomo (al Capo
X, § 3).30
Termino
qui con replicarvi che per superar le tentazioni tutti i mezzi di sopra esposti
son ottimi, ma il primo e quello che assolutamente è necessario, è il ricorrere
a Dio colla preghiera, affinché ci dia luce e forza di vincere. Senza pregare è
impossibile di vincer le tentazioni; e col pregare certamente vinceremo. Laudans invocabo Dominum, et ab
inimicis meis salvus ero (Psal. XVII, 4).
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Preghiera.
Ah
mio Dio, no che non voglio più resistere all'amore che mi portate. Quest'amore
ha fatto che voi mi abbiate sopportata con tanta pazienza, quando io vi
offendeva. Deh non permettete per li meriti vostri, o Gesù mio, ch'io ritorni
ad offendervi. O fatemi finire d'esservi ingrata o fatemi finire di vivere.
Vedo che voi mi volete salva, ed io voglio salvarmi, per venire a cantare in
eterno le vostre misericordie in cielo.
Signore,
non mi abbandonate. Già so che voi non mi abbandonerete mai, s'io non sarò la
prima ad abbandonarvi; ma di questo io tremo per la passata sperienza della mia
debolezza. Deh per quella morte amara che un giorno patiste per me sulla croce,
datemi fortezza nelle tentazioni e specialmente la grazia di subito ricorrere a
voi.
V'amo,
bontà infinita, e spero di sempre amarvi. Deh ligatemi colle dolci catene del
vostro amore, acciocché l'anima mia non si separi mai più da voi.
O
Maria, voi vi chiamate la madre della perseveranza, questo gran dono per voi si
dispensa, a voi lo domando e per vostro mezzo certamente lo spero.
1
«O quoties ego ipse in eremo constitutus, et in illa vasta solitudine quae,
exusta solis ardoribus, horridum monachis praestat habitaculum, putabam me
Romanis interesse deliciis. Sedebam solus, quia amaritudine repletus eram.
Horrebant sacco membra deformia, et squalida cutis situm aethiopicae carnis
obduxerat. Quotidie lacrimae, quotidie gemitus, et si quando repugnantem somnus
imminens oppressisset, nuda humo ossa vix haerentia collidebam. De cibis vero et potu taceo, cum etiam languentes monachi aqua frigida
utantur, et coctum aliquid accepisse, luxuria sit. Ille igitur ego, qui ob
gehennae metum tali me carcere ipse damnaveram, scorpionum tantum socius et
ferarum, saepe choris intereram puellarum. Pallebant ora ieiuniis, et mens
desideriis aestuabat in frigido corpore, et ante hominem sua iam in caarne
praemortuum, sola libidinum incendia bulliebant. Itaque omni auxilio
destitutus, ad Iesu iacebam pedes, rigabam lacrimis, crine tergebam; et
repugnantem carnem hebdomadarum inedia subiugabam....Memini me clamantem, diem
crebro iunxisse cum nocte, nec prius a pectoris cessasse verberibus, quam
rediret, Domino increpante, tranquillitas. Ipsam quoque cellulam meam, quasi
cogitationum mearum consciam, pertimescebam; et mihimet iratus et rigidus,
solus deserta penetrabam. Sicubi concava vallium, aspera montium, rupium
praerupta cernebam, ibi meae orationis locus, ibi illud miserrimae carnis
ergastulum: et, ut ipse mihi testis est Dominus, post multas lacrimas, post caelo
inhaerentes oculos, nonnumquam videbar mihi interesse agminibus Angelorum, et
laetus gaudensque cantabam: Post te in
odorem unguentorum tuorum curremus (Cant. I. 3).» S. HIERONYMUS, Epistola 22, ad Eustochium, n. 7. ML 22-398, 399.
2 «Petrus quas vires haberet fides eius
utique nesciebat, quando dixit Domino: «Tecum sum usque ad mortem.» Dominus
autem, qui noverat eum, praedixit ubi deficeret... Proinde Petrus, qui ante
tentationem praesumpsit de se, in tentatione didicit se.» S. AUGUSTINUS, Enarratio in ps. XXXVI, sermo 1, n. 1. ML 36-355.
3
Per S. Caterina da Siena: B. RAIMONDO DA CAPUA, Vita, parte 1, cap. 11, principalmente i num. 2, 3, 4, 5.- Per la
B. Angela da Foligno: V. F. Arnaldus, O.
M. B. ANGELAE FULGINATIS Vita et
Opuscula, lib. 1. pars 2, cap. unicum.- Vedi Appendice, 2.
4
«Nimis astutum (diabolum fecit) tam natura subtilis, quam longa exercitatio
malitiae eius. Verumtamen in nobis est, si vinci nolumus: et nemo nostrum in
hoc certamine deicitur invitus.... In te est, si volueris, dare seu negare
consensum. In tua facultate est, si volueris, inimicum tuum facere servum tuu,
ut omnia tibi cooperentur in bonum. Ecce enim infiammat inimicus
desiderium cibi, vanitatis aut impatientiae cogitationes ingerit, aut excitat libidinis
motum: tu solummodo ne consenseris; et quoties restiteris, toties coronaberis.»
S. BERNARDUS, In Quadragesima, sermo 5, n. 3. ML
183-179.
5
«In Parasceve, inter alia innumera quae fecit ei Deus bona, dixit ad Dominum:
«.... Quid autem laudis, o amice fidelissima, referat (homo) pro dolore quem
passus es, cum imperiali capiti tuo corona imprimebatur spinea, ita ut roseo
sanguine deliciosa facies tua, in quam Angeli desiderant prospicere, tota
valeretur?» Respondit: «Ut homo, cum tentatur, totis viribus fortiter resistat,
et quot tentationes in nomine meo superat, tot in meo diademate gemmas ponit
pretiosas.» S. MECHTILDIS, Virg. O. S. B., Liber specialis gratiae, cura
Solesmensium Monachorum, Pictavii et Parisiis, 1877, pars 1, cap. 18, pag. 51,
52.
6 «Alter quidam monachus, isto, de
quo iam dictum est, aetate maturior, et in observantia religionis ferventior, a
spiritu luxuriae multifarie... impugnabatur... Quantum tamen monachus iste in
tentationibus meruerit, sequens sermo declarabit. Cum esset Prior in Claustro
supradictus Hermannus, nunc Abbas loci Sanctae Mariae, iam dictus monachus
nocte quadam tentabatur gravissime, et fuit eadem tentatio non tantum valida,
sed et periculosa....» Questa tentazione ed il gran pericolo incorso egli manifestò al detto
Priore. «Impugnabatur fortiter, restitit viriliter, vicit feliciter. In eadem
hebdomada venit ad eum (ad Priorem) conversus quidam simplex de grangia, dicens
se velle ei loqui secretius. Et cum dedisset ei copiam, ait: «Domine, in hac
septimana visum est mihi in somnis, quomodo coram me staret columna fortis, et
ferrum infixum erat eidem columnae, pendebatque in clavo illo ferreo corona
pulcherrima, quasi corona Imperatoris. Et affuit quidam pulcherrimus dominus,
qui ambabus manibus tollens de clavo coronam, ponensque illam in manibus meis,
sic dixit: «Accipe coronam istam, et defer eam illi monacho- designans eum ex
nomine- quia hac nocte meruit eam.» Mox Prior, qui tentationem monachi noverat,
visum intellexit...» CAESARIUS, Heisterbacensis monachus, Ord. Cisterc., Dialogus miraculorum, distinctio 4, cap.
96.- Il capitolo precedente comincia così: «Retulit mihi Abbas Hermannus, eo
tempore quo Prior fuit in Hemmenrode...»
7
«Quacumque tentatione tentaris in oratione, nihilomoinus ora, et conare ad
orandum, quia desiderium et conatus bonus reputabitur pro effectu orationis. Et
si sordida advenientia eiicere non poteris, tunc ille coronatus reputabitur
tibi pro corona.» Revelationes S. BIRGITTAE, lib. 6, cap.
94.- «Etiam si
pravas ac sordidas cogitationes, quae cordi tuo incidunt, eiicere non potueris,
tamen pro illo conatu coronam in caelo recipies.» Presso il BLOSIO, Conclave animae fidelis, pars 2
(intitolata Monile spirituale), cap.
3, n. 6.
8
«Et hoc ego, non integris rate vel mercibus, nec quasi ignarus fluctuum doctus
nauta praemoneo; sed quasi nuper naufragio eiectus in littus, timida
navigaturis voce denuntio. In illo aestu Charybdis luxuriae, salutem vorat. Ibi
ore virgineo, ad pudicitiae perpetranda naufragia. Scyllaeum
renidens libido blanditur. Hic barbarum littus, hic diabolus pirata, cum sociis portat vincula
capiendis. Nolite credere, nolite esse securi. Licet in modum stagni fusum
aequor arrideat, licet vix summa iacentis elementi spiritu terga crispentur,
magnos hic campus montes habet. Intus inclusum est periculum,
intus est hostis. Expedite
rudentes, vela suspedite. Crucis antenna figatur in frontibus. Tranquillitas ista tempestas est.» S. HIERONYMUS, Epistola
14, ad Heliodorum monachum (a cui consiglia di lasciare di nuovo il mondo
pieno di pericoli, e di tornare nel deserto), n. 6. ML 22-350, 351.- Allo
stesso Eliodoro (n. 4, col. 349) aveva detto: «Et tunc maxime oppugnaris, si te
oppugnari nescis.» - A Rustico monaco scrive (Epistola 125, n. 2, ML 22-1073): «Quasi doctus nauta, post multa
naufragia, rudem conor instruere vectorem... quomodo in media tranquillitate
securi, Lybicis interdum vitiorum Syrlibus obruamur.» - Il pensiero di S.
Girolamo non pare del tutto identico a quello di S. Alfonso. L' uno e l' altro
ci raccomandano di non fidarci di una apparente o passeggera tranquillità, la
quale nasconde grandi pericoli, sia essa la tranquillità di chi per un tempo
non è tentato, o di chi, forse già lusingato dalla tentazione, non vede o non
teme il pericolo.
9
«Discipulus cuiusdam sancti senioris impugnabatur a spiritu fornicationis, sed,
auxiliante gratia Domini, resistebat viriliter pessimis et immundis
cogitationibus cordis sui, ieiuniis et orationibus, et in opere manuum
affligebat se vehementer. Beatus autem senior videns eum ita laborante, dixit
ei: «Si vis, o fili, deprecor Dominum, ut auferat a te istam impugnationem.»
Ille vero respondens, dixit: «Video, Pater, quia etsi laborem sustineo, sentio
tamen fructum in me perficere bonum, quia per occasionem impugnationis huius,
et amplius ieiunio, et amplius in vigiliis et orationibus tolero. Verumtamen
deprecor te, ut exores pro me misericordiam Domini, ut det mihi virtutem,
quatenus possim sustinere et certare legitime.» Tunc senior sanctus dixit ei:
«Ecce nunc cognovi, fili, quia fideliter intelligis quod hoc spirituale
certamen per patientiam ad salutem aeternam animae tuae proficiat....» De vitis patrum lib. 3, sive Verba Seniorum, auctore probabili
RUFFINO, num. 8. ML 73-742, 743. Cf. De
Vitis Patrum lib. 5, auctore graeco incerto, interprete Pelagio, libell. 5, n. 20. ML 73-878.
10
«Aperiabatur enim ab ea parte qua intenderam faciem, et quo transire
trepidabam, casta dignitas continentiae... honeste blandiens ut venirem neque
dubitarem, et extendens ad me suscipiendum et amplectendum pias manus plenas
gregibus bonorum exemplorum. Ibi tot pueri et puellae; ibi iuventus multa et
omnis aetas, et graves viduae, et virgines anus: et in omnibus ipsa continentia
nequaquam sterilis; sed fecunda mater filiorum gaudiorum de marito te, Domine.
Et irridebat me irrisione hortatoria, quasi diceret: «Tu non poteris quod isti,
quod istae (al. quod isti et istae)?
An vero isti et istae in semetipsis possunt, ac non (al. an non) in Domino Deo suo? Dominus
Deus eorum me dedit eis. Quid in te stas, et non stas? Proiice te in eum; noli
metuere, non se subtrahet ut cadas: proiice te securus, excipiet et sanabit
te.» S. AUGUSTINUS, Confessiones, lib.
8, cap. 11, n. 27. ML 32-761.
11 «Huic (uni regi Christo) te, mi
Dioscore, ut tota pietate subdas velim, nec aliam tibi, ad capessendam et
obtinendam veritatem, viam munias, quam quae munita est ab illo qui gressuum
nostrorum, tamquam Deus, vidit infirmitatem. Ea est autem prima, humilitas;
secunda, humilitas; tertia, humilitas: et quoties interrogares, hoc dicerem...
Sicut rhetor ille nobilissimus (Demosthenes), cum interrogatus esset quid ei
primum videretur in eloquentiae praeceptis observari oportere, «Pronuntiationem»
dicitur respondisse: cum quaereretur quid secundo, eamdem pronuntiationem; quid
tertio, nihil aliud quam pronuntiationem dixisse: ita si interrogares, et
quoties interrogares de praeceptis christianae religionis, nihil me aliud
respondere nisi humilitatem liberet, etsi forte alia dicere necessitas
cogeret.» S.
AUGUSTINUS, Epistola 118 (al. 56), ad Dioscorum, cap. 3, n. 22. ML
33-442.
12
«Statim ut libido titillaverit sensum, aut blandum voluptatis incendium dulci
nos calore perfuderit, erumpamus in vocem: Dominus
auxiliator meus, non timebo quid faciat mihi caro (ps. 117, 9).» S.
HIERONYMUS, Epistola 22, ad
Eustochium, n. 6. ML 22-398.
13
«Erit itaque ad perpetuam Dei memoriam possidendam, haec inseparabiliter
proposita vobis formula pietatis: Deus,
in adiutorium meum intende; Domine, ad adiuvandum me festina.... Hic versiculus omnibus infestatione daemonum laborantibus inexpugnabilis
murus est, et impenetrabilis lorica ac munitissimus clypeus.» CASSIANUS, Collatio decima, (secunda abbatis
Isaac), cap. 10. ML 49-832, 833.
14 Et
invoca me in die tribulationis: eruam te, et honorificabis me. Ps. XLIX,
15.
15 «Referabant autem nobis fratres de
eodem beatissimo Patre Pachomio... quoniam frequenter dicebat fratribus: «Quia-
sicut mihi testis est Dominus Deus- saepe audivi immundos spiritus daemonum
loquentes inter se diversas ac varias artes suas, quas contra servientes Deo,
maximeque contra monachos habent. Quidam enim dicebant: «Quia ego certamen
contra durissimum hominem habeo, et quoties ei immitto perversas cogitationes,
ille statim surgit, et prosternit se in oratione, cum gemitu orans adesse sibi
divinum auxilium. Ego
autem minime illo exsurgente, cum grandi confusione egredior.» Item alius daemon dicebat: «Ego ad illum quem observo, cum ei cogitationes
immisero in corde, consentit, et suscipit, et facit eas. Saepe enim exardescere
eum in iracundia facio, et in contentiones rixae, et pigritiam orationis, et
dormitionem in psalmodia, et non contradicit mihi.» Ideoque, fratres mei
dilectissimi, semper oportet ut custodiatis sensum et animum vestrum,
invocantes nomen Domini nostri Iesu Christi, et secundum praecepta Dei
conversamini tam in orationibus quam psalmodia, sicut dicit Apostolus:
Instantes orationi et vigilantes in ea. Ideoque cum compunctione et timore
cordis vigilantibus non praevalebunt nocere nobis adversarii et immundissimi
daemones.» De vitis Patrum lib. 3,
auctore probabili RUFFINO, n. 35. ML 73-761, 762.
16 «Frater quidam, cum in spiritu
fornicationis teneretur, perrexit ad quemdam senem magnum, et rogabat eum,
dicens: «Ostende caritatem et ora pro me, quia a fornicatione sollcitior».
Senex autem deprecatus est Dominum. Et iterum secundo veniens ad
senem, eumdem sermonem dixit. Similiter et senex non neglexit pro eo rogare
Dominum, dicens: «Domine, revela mihi unde in hoc fratre oepratio est ista
diaboli?...» Et revelavit Dominus quae agebantur circa fratrem
illum. Et vidit eum senex sedentem, et spiritum fornicationis iuxta illum et quasi
ludentem cum eo, et angelus stabat missus ad adiutorium eius, et indignabatur
adversus fratrem illum, quia non se prosternebat Deo: sed quasi delectabatur
cogitationibus suis, totam mentem suam ad hoc inclinans. Et agnovit senex quia
causa magis ab eodem fratre esset, et annuntiavit ei, dicens: «Tu consentis
cogitationi tuae.» Et docuit eum quomodo talibus cogitationibus deberet
obsistere. Et respirans frater per doctrinam senis illius et orationem, invenit
requiem a tentatione sua.» De vitis Patrum lib. 5, auctore graeco
incerto, interprete Pelagio, libellus
5, n. 19. ML 73-878.- Cf. De
vitis Patrum lib. 3, auctore probabili RUFFINO, n. 13. ML 73-745, 746.
17 «Nolo sinas cogitationes crescere....
Dum parvus est hostis, interfice.» S. HIERONYMUS, Epistola 22, ad Eustochium, n. 6. ML 22-398.
18 «Sitôt que vous sentez en vous
quelques tentations, faites comme les petits enfants quand ils voient le loup
ou l' ours en la campagne; car tout aussitôt ils courent entre les bras de leur
pére et de leur mère, ou pour le moins les appellent à leur aide et secours.
Recourex de même à Dieu, réclamant sa miséricorde et son secours.» S. FRANÇOIS
DE SALES, Introduction à la vie dévote, partie
4, ch. 7. Œuvres, III, 304, Annecy,
1893.
19
«(Crux) omnia daemonum machinamenta ad nihilum redigit». Sermo (inter suppositios) 247, n. 7. Inter Opera S. Augustini. ML 39-2204.
20
Trovato come morto per le ferite ricevute dai demoni- ferite così gravi,
confessò più volte egli medesimo, «ut universa hominum tormenta superarent»- e
portato a casa da un discepolo, suo confidente, il giorno seguente, rinvenuto,
si fece riportare tra i sepolcri dove era andato ad abitare da solo. Non
potendo reggersi in piedi, si mette a pregare disteso per terra. «Post
orationem, clara voce dicebat: «Ecce hic sum ego Antonius, non fugio vestra
certamina....» Appariscono i demoni sotto forme di animali terribili: leoni,
tori, lupi, leopardi, orsi, serpenti di ogni sorta. «Truces
omnium vultus, et vocis horridae dirus auditus. Antonius flagellatus atque
confossus sentiebat quidem asperiores corporis dolores, sed imperterritus
durabat mente pervigili. Et... quasi de inimicis luderet, loquebatur: «Si
virium aliquid haberetis, sufficeret unus ad praelium; sed quoniam Domino vos
enervante frangimini, multitudine tentatis inferre terrores, cum hoc ipsum
infirmitatis indicium sit, quod irrationabilium induitis formas bestiarum.» Rursumque confidens aiebat:
«Si quid valetis, si vobis in me potestatem Dominus dedit, ecce praesto sum,
devorate concessum. Si vero non potestis, cur frustra nitimini? Signum enim crucis et fides ad Dominum, inexpugnabilis nobis murus est.» S. ATHANASIUS, Vita S. Antonii, interprete Evagrio, cap. 7-9. ML 73-131, 132.- MG
26, col. 655-658.- Più e più volte Antonio esperimentò ed insegnò la virtù del
segno della croce per vincere i demoni. Nel deserto, a coloro che venivano a
visitarlo e nell' avvicinarsi erano atterriti dalle voci dei demoni che
sentivano uscire dal suo abitacolo, da dentro- giacchè per venti anni non vide
faccia d' uomo, neppure di quelli che, due volte all' anno, gli protavano i
pani- rispondeva: «Signate vos, et cum fiducia abscedite, siniteque illos
(daemones) sibi ipsis illudere.» Tum abibant illi signo crucis muniti: ille
vero remanebat, nihil laesus a daemonibus.» Id.
op., MG, num. 13, col. 862, 863: ML, cap. 12, col. 133, 134. Ai suoi
discepoli, descritte le arti del demonio per incutere timore, aggiungeva: «Quae
omnia ad primum quodque crucis signum evanescunt.» ML, cap. 15, col. 138: MG
num. 23, col. 878.
21
«Ad crucem vetusque remedium confugit (Iulianus), hocque se adversus terrores
consignat, eumque, quem persequebatur, opitulatorem asciscit... Valuit
signaculum, cedunt daemones, pelluntur timores. Quid deinde? Respirat malum;
rursus audaciam concipit, rursus aggreditur (nempe daemones in caliginoso specu
magicis artibus invocare), rursus terrores urgent (nempe ob sonos insuetos,
tetros odores, ignea spectra): rursus signaculum adhibetur, ac daemones
conquiescunt.» S. GREGORIUS NAZIANZENUS, Oratio
4, contra Iulianum 1, n. 55, 56. MG 35-579.
22
«Narraverunt de abbatissa Sara, quia manserit tredecim annis fortiter a
fornicationibus daemonum impugnata. Et numquam oravit ut recederet ab ea
huiusmodi pugna: sed solum hoc dicebat: «Domine, da mihi fortitudinem.» Dixerunt iterum de ea quia infestior ei fuerat aliquando imminens
fortius idem fornicationis daemon, mittens in cogitationem eius saeculi
vanitates. Illa
autem non relaxans animum a timore Dei et a proposito abstinentiae suae,
ascendit semel super lectum suum orare, et apparuit ei corporaliter spiritus
fornicationis, et dixit ei: «Tu me vicisti, Sara.» Illa autem respondit: «Ego
non te vici, sed Dominus meus Christus.» De
vitis Patrum lib. 5, auctore graeco incerto, interprete Pelagio, libell. 5, n.
10, 11. ML 73-876.
23 «Parécenme tan cobardes (los
demonios), que en viendo que los tienen en poco, no les queda fuerza.» S. TERESA Libro de la Vida, cap. 25. Obras, I, 200.
24
«Dicea che lo scoprire quanto prima tutti li suoi pensieri con ogni libertà al
confessore e non tenere in se stesso alcuna cosa occulta, era ottimo rimedio
per conservare la castità, e che la piaga era guarita, subito che fosse stata
scoperta al medico.» BACCI, Vita, lib.
2, cap. 13, n. 16.
25
S. Antonino narra il fatto con molti particolari; come pure Marco da Lisbona,
il quale, tra le parole del falso Cristo, mette anche queste: «Questo tuo tanto
patire m' ha mosso a pietà di te, acciocchè almeno non abbi l' inferno ancora
mentre che vivi» con tante mortificazioni e la privazione di ogni piacere.
Ambedue poi raccontano come il demonio assicurò a Fr. Ruffino esser egli
dannato, come Francesco medesimo e il padre suo, e che quanti si fidavano di
Francesco erano illusi. Difficilmente, per le tenebre accumulate nella sua
mente e per la perduta fiducia, si lasciò persuadere da Fr. Masseo, mandatogli
da S. Francesco, di andar seco a trovare il Santo, il quale, vedutolo venire da
lontano, esclamò: «O frater Ruffine miselle, cui credidisti?» poi gli fè vedere
che conosceva per rivelazione tutto l' ordine di quella tentazione; gli mostrò
i segni della suggestione diabolica, specialmente quella svogliatezza ed incapacità
per ogni opera buona; gl' insegnò il modo di confondere il nemico, qualora
fosse tornato, costringendolo a manifestare chi egli fosse; e finalmente,
raccomandatogli di confessarsi e di non tralasciare le solite orazioni, l'
assicurò che «illa tentatio erit sibi ad magnum profectum spiritus, quod
experiretur in brevi». La sola presenza di Francesco avendo tolto al demonio ed
alla tentazione ogni forza, Fr. Ruffino credette alle parole del Santo, si
umiliò, chiese perdono, specialmente di aver tenuta nascosta la tentazione, e
tornò ad essere quel che era prima. Al tentatore poi, rinnovata la frode dell'
apparizione del falso Cristo, rispose «cum vilipensione non modica», secondo il
consiglio espressamente dato da S. Francesco: «Aperi os tuum, ut mittam faeces
meas in ipsum.» «Tunc statim diabolus evanuit, cum tanta commotione et ruina
lapidum illius montis, quod per magnum spatium fluxit multitudo petrarum, ubi
adhuc apparet lapidum horrenda ruina.» Si manifestò poi a Ruffino il vero Gesù
Cristo, lo lodò di aver creduto a Francesco, e, come segno della verità dell'
apparizione sua, lo assicurò che mai più avrebbe sofferto di quelle tentazioni
e malinconie, o, come dice S. Antonino «quia numquam de cetero tristis eris».
Si avverò tanto la promessa di Nostro Signore quanto la profezia di S.
Francesco: Ruffino visse e morì santamente, in grande soavità di spirito,
sempre assorto in Dio. S. ANTONINUS, Chronica,
pars 3, tit. 24, cap. 7, § 7, Lugduni, 1587: pag. 756, 757.- MARCO DA
LISBONA, Croniche del P. S. Francesco, parte
1, lib. 1, cap. 65.
26 «Bellum enim quod invitis nobis
accidit, sufferre plane necesse fuerit; sed spontaneum bellum sibi ciere est
absurdissimum. In
priore enim etiamsi quis superetur, forte veniam consequetur absit hoc tamen a
Christi athletis- at vero in altero si quis vincatur, praeterquam quod id
admodum ridiculum est, praeterea venia caret.» S.
BASILIUS MAGNUS, Constitutiones
monasticae, seu Constitutiones
asceticae ad eos qui simul aut solitarie vivunt, cap. 3. MG 21-1343.
27 «Fili, inquit, pone manum super
cervicem meam.» Quod cum ille fecisset: «Super me et collum meum- inquit magnus
ille- sit, frater, peccatum tuum, quotquot annis te vel vexavit ante vel
deinceps affliget: tu tantum posthac neglige, et nullam prorsus illius curam
habe.» S. IO.
CLIMACUS, Scala paradisi, gradus 23. MG 88.879.
28 «Minus semper malitia palam nocuit,
nec umquam bonus nisi boni simulatione deceptus est.» S. BERNARDUS, In Cantica, sermo 66, n. 1. ML 183-1094.
29 «Frater quidam erat, quantum a foris
videbatur, sanctitate praeclarus.... tamen admodum singularis... Tanta
districtione silentium observabat, quod consueverat non verbis, sed nutibus
confiteri... Commandatibus autem omnibus et magnificantibus illum, respondit vir
Dei: «Sinite, Fratres, ne mihi in eo diabolica figmenta audetis. In veritate
sciatis, quod diabolica tentatio est et deceptio fraudulenta.» Dure acceperunt
hoc Fratres, tamquam impossibile iudicantes, quod tot perfectionis indiciis
fraudis se commenta fucarent. Verum non post multos dies, eo religionem
egresso, evidenter apparuit quanta loculentia interioris contuitus vir Dei
cordis eius secreta perspexit.» S. BONAVENTURA, Legenda
S: Francisci, cap. 11, n. 10. Opera, VIII,
ad Claras Aquas, 1898, pag. 538.- Avendo il superiore, secondo il consiglio di
S. Francesco, comandato a quel Frate di confessarsi o due o almeno una volta la
settinmana, «si pose il dito nella bocca, e colla testa crollando li cegnò (gli
accennò) che non lo potea fare, per non romper il silenzio; nè il Superiore
perciò lo volse altramente tribulare.» Ma non passò molto che quel finto santo
se ne uscì dalla religione. Incontrato, solo e mendico, da due Frati, questi
gli mostrarono compassione, ma non ebbero da lui che una risposta «alla
diabolica», e «d' indi a poco si morì in mano di quel demonio che lo tenea
soffocato per non si aver voluto confessare». MARCO da Lisbona, Croniche del P. S. Francesco, parte 1, lib.1, cap. 95
(in altre edizioni, lib. 10, cap. 18).
30
Si deve leggere: al capo X. § 2: anche
nel cap. IX, § 2, n. 8, S. Alfonso cita il § 3, che non esiste. Ivi dice: «Ma
di questo punto (dei doni e dell' affetto ai confessori) se ne parlerà più di
proposito»; qui: «Ma di questo punto (dell' affezione verso il padre spirituale)
già se n' è parlato a lungo»; il che ci fa supporre che il Santo doveva aver
composto o almeno avere in mente di comporre un paragrafo apposito su tale
argomento, ma che poi, o spontaneamente o indotto dal censore, s' indusse a
sopprimerlo, contentandosi di dirne qualche cosa brevemente nei nn. 6, 7 e 8
del § 2.
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