- CAPO XVI - Del silenzio, della solitudine e della presenza di Dio.
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§
1. - Del silenzio.
1.
Primieramente il silenzio è un gran mezzo per farci essere anime di orazione e
renderci disposti a trattar continuamente con Dio. Difficilmente si trova una
persona spirituale che parli assai. Tutte l'anime di orazione sono amanti del
silenzio, il quale si chiama il custode dell'innocenza, la difesa delle
tentazioni e 'l fonte dell'orazione; poiché col silenzio si conserva la
divozione, e nel silenzio sorgono nella mente i buoni pensieri. Scrive S.
Bernardo: Silentium et a strepitu quies
cogit caelestia meditari (Epist. 78).3 Il silenzio e la quiete da'
romori, dice il santo, in certo modo forzano l'anima a pensare a Dio ed a' beni
eterni. Perciò i santi cercavano i monti, le grotte e i deserti, per trovare
questo silenzio e fuggire da' tumulti del mondo, ne' quali non si trova Dio,
siccome fu detto ad Elia: Non in
commotione Dominus (III Reg. XIX, 11). Teodosio monaco per 35 anni tenne
silenzio:4 S. Giovanni Silenziario, che da vescovo si fe' monaco,
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l'osservò per 47 anni sino alla morte: e tutti i santi, anche non
solitari, sono stati amanti del silenzio.5
2.
Oh quanti beni apporta seco il silenzio! Dice il profeta: Erit cultus iustitiae silentium (Is. XXXII, 17). Il silenzio
coltiverà la giustizia nell'anima: mentre il silenzio per una parte ci libera
da molti peccati, togliendo la radice alle contese, alle mormorazioni, ai
risentimenti, alle curiosità; e per altra parte ci fa acquistare molte virtù.
Quanto bene esercita l'umiltà quella religiosa che, mentre le altre parlano,
ella modestamente ascolta e tace! Quanto bene esercita la mortificazione,
mentre vorrebbe dire qualche fatto o lepidezza che cade a proposito del
discorso presente, ed ella se n'astiene! Quanto bene esercita la mansuetudine,
allorché si sente riprendere o ingiuriare a torto, ed ella niente risponde!
Quindi disse lo stesso profeta Isaia: In
silentio et in spe erit fortitudo vestra (Is. XXX, 15): La vostra fortezza
sarà nel silenzio e nella speranza; perché col silenzio noi evitiamo le
occasioni di peccare, e colla speranza otteniamo la divina protezione per viver
bene.
3.
All'incontro sono immensi i danni che nascono dal soverchio parlare.
Primieramente siccome col silenzio si conserva la divozione, così col molto
parlare si perde. Siasi stata l'anima quanto si voglia raccolta nell'orazione,
se dopo quella si diffonde in parlare, subito si troverà distratta e dissipata
come non avesse fatta orazione. Quando s'apre la bocca del forno che arde,
presto ne svapora il calore. Cave a
multiloquio, avvertiva S. Doroteo, hoc
enim sanctas cogitationes exstinguit (Serm. 20):6 Guardati dalla
soverchia loquela, perché
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questa fa svanir dalla mente i santi
pensieri e il raccoglimento con Dio. Diceva il B. Giuseppe Calasanzio, parlando
di que' religiosi che non possono contenersi di andar sempre domandando quanto
succede nel mondo: Il religioso curioso
dà segno che si è scordato di sé.7 È regola certa che quella
persona che parla assai cogli uomini, poco parla con Dio; e Dio all'incontro
poco parlerà con lei, mentr'egli dice: Ducam
eam in solitudinem et loquar ad cor eius (Osee II, 14). Se l'anima dunque
vuole che Dio le parli, è necessario che cerchi la solitudine; ma questa
solitudine non mai si troverà dalle religiose, che non amano il silenzio: Se
taceremo, troveremo solitudine, dicea la Ven. Margherita della Croce.8
E come mai il Signore vuol degnarsi di parlare a quella religiosa che, cercando
la conversazione delle creature, fa vedere che la conversazione divina non
basta a tenerla contenta?
4.
Ma in oltre ci avverte lo Spirito Santo che nel parlare assai non mancherà mai
d'esservi qualche colpa: In multiloquio
non deerit peccatum (Prov. X, 19). Sembrerà a colei, mentre parla e tira
quel discorso a lungo senza necessità, di non commettervi alcun difetto; ma se
poi ben si esamina, ben vi troverà qualche difetto o di mormorazione o
d'immodestia o di curiosità o almeno di parole superflue. Dicea S. Maria
Maddalena de' Pazzi: La religiosa non dee
parlare che per necessità.9 Poiché le religiose son tenute
specialmente a dar conto delle parole oziose, delle quali per altro tutti han
da dar conto, secondo ci avvertì il nostro Salvatore: Dico autem vobis quoniam omne verbum otiosum quod locuti fuerint
homines, reddent rationem de eo in die iudicii (Matth. XII, 36).
Ma
che dico, qualche difetto? Quando
parliamo assai, per lo più ci troveremo aver commessi mille difetti. Da S.
Giacomo
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vien chiamata la lingua male universale, universitas iniquitatis (Iac. III, 6). Perché, come riflette un
dotto autore, la maggior parte de' peccati nasce dal parlare o sentir
parlare.10 Oimè, quante monache vedremo nel giorno del giudizio essersi
perdute per non aver fatto conto del silenzio! E 'l peggio si è che la
religiosa, la quale si dissipa nel trattar colle creature e nel parlare assai,
non saprà neppur vedere i suoi difetti, e cosi anderà da male in peggio. Vir linguosus non dirigetur in terra
(Ps. CXXXIX, 12): L'uomo che parla assai, camminerà senza guida; onde farà
mille errori, senza neppure speranza che se ne ravveda. Alcuna monaca par che
non sappia vivere senza parlar sempre dalla mattina sino alla sera; ella vuol
sapere quanto succede dentro e fuori del monastero; si va pigliando i pensieri
di tutte l'altre, e poi dice: Ma che male fo io? Vi rispondo: Sorella mia,
togliete le ciarle, procurate di raccogliervi un poco, e poi vedrete quanti difetti
avete commessi col soverchio parlare.
5.
Diceva il B. Giuseppe Calasanzio: Un
religioso dissipato è l'allegrezza del demonio.11 E con ragione,
perché un tal religioso o sia religiosa col suo dissipamento non solo non fa
bene per lei, ma col girar per le celle e per le officine, cercando con chi
ciarlare, e col parlare a voce alta in ogni luogo, non portando rispetto
neppure al coro e sagrestia della chiesa, impedisce anche il bene dell'altre.
Narra S. Ambrogio (Lib. 3, de virgin.) che un certo sacerdote, stando in
orazione, veniva disturbato dal gridar che faceano molte rane, onde impose loro
che tacessero, e quelle prontamente ubbidirono. Quindi prese occasion di dire
il santo dottore: Silebunt igitur
paludes, homines non silebunt?12 Taceranno dunque le bestie
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per riverenza dell'orazione, e non taceranno gli uomini? E non
taceranno, io soggiungo, le religiose venute al monastero per farsi sante, per
osservar la regola e per mantenere il santo raccoglimento; ma faranno l'officio
del demonio, col disturbare l'altre che vogliono orare e star raccolte con Dio?
Ha ragione un autore di chiamar queste monache parlatrici demoni familiari de' monasteri,13 che fanno gran danno.
6.
S. Ignazio di Loiola, per conoscere se in un monastero v'era spirito o no, dava
per segno il vedere se in quello v'era o non v'era silenzio.14 Un
monastero dove sempre si parla, e figura dell'inferno; poiché non essendovi
colà silenzio, vi saranno sempre continue contese, mormorazioni, lamenti,
amicizie particolari, fazioni e tumulti. All'incontro un monastero nel quale
s'ama il silenzio e figura del paradiso, e muove a divozione non solo chi
v'abita, ma ancora chi vi sta da fuori. Narrasi del P. Perez carmelitano scalzo
che, essendo ancor secolare, ed entrando un giorno in un convento di quella
riforma, restò sì edificato e mosso a divozione dal silenzio che si osservava
in quella casa, che lasciò il mondo ed ivi si rimase.15 Dicea pertanto
il P. Natale della Compagnia di Gesù
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che per riformare una casa
religiosa bastava piantarvi l'osservanza del silenzio; mentre, dicea, che così
ognuno sarebbe stato raccolto, ed avrebbe atteso al suo profitto.16 E
perciò ancora dice il Gersone che i santi fondatori con tanta premura hanno
imposto e raccomandato a' loro religiosi il silenzio, perché sapeano quanto
importava l'osservarlo per conservare lo spirito.17 S. Basilio, tra gli
articoli che stese nelle sue regole per le religiose, non uno, ma molti ne
scrisse, tutti sopra il silenzio.18 S. Benedetto ordino a' suoi monaci
che procurassero di far continuo silenzio: Omni
tempore debent silentio studere monachi: così dicesi nelle sue regole al
capo 42.19
7.
E ben la sperienza fa vedere che in quel monastero ove
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si guarda il
silenzio, ivi si mantiene in vigore l'osservanza delle regole; ed all'incontro
dove poco il silenzio si osserva, poco spirito vi regna. E questa è anche la
ragione che poche religiose si ritrovano sante, perché poche son quelle che
amano il silenzio. In molti monasteri ben si ritrova tra le regole, scritta e
molto raccomandata la regola del silenzio; ma tra le religiose poi par che
neppure sappiasi che cosa sia silenzio; e perciò le misere vivono dissipate,
senza spirito e sempre inquiete.
Ma
l'inosservanza delle altre, non pensate, sorella benedetta, che scusi voi e vi
esenti dalla regola che vi è del silenzio. Che però dicea la B. Chiara di
Montefalco: In tempo di silenzio
difficilmente si parla senza difetto.20 - Alcuna si scusa con dire
che le bisogna talvolta parlare per non vedersi oppressa dalla malinconia; ma
come mai il difetto di rompere il silenzio può sollevare una religiosa dalla
malinconia? Persuadiamoci che quando stiamo afflitti, tutte le creature della
terra e del cielo non possono consolarci. Solo Dio consola; ma come vuol
consolarci Iddio in quello stesso tempo in cui l'offendiamo? Almeno quando
occorre qualche necessità di parlare in tempo di silenzio, procuratevi la
licenza. - Alcun'altra poi non va già a cercar le occasioni, ma, sempre che
quelle si presentano, lasciasi trasportare dalle altre sorelle, che vogliono
parlare, a violare il silenzio. Ma questa condiscendenza non la scuserà certamente
dal difetto. Bisogna allora farsi
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forza e partirsi di là o tacere, e
talvolta far segno ch'è ora di silenzio, mettendo il dito alla bocca.
8.
Ed anche fuor del tempo del silenzio procurate d'osservarlo quanto si può, se volete
mantenervi raccolta con Dio e lontana dalle imperfezioni; mentre non v'è
peccato più facile a commettersi che col parlare. Qui custodit os suum, custodit animam suam, dice il Savio (Prov.
XIII, 3). E S. Giacomo scrisse che chi non pecca colla lingua, è uomo perfetto:
Si quis in verbo non offendit, hic
perfectus est vir (Iac. III, 2). Sicché sarà lo stesso essere una religiosa
taciturna che santa religiosa; poiché, osservando ella il silenzio, sarà
puntuale alle sue regole, sarà affezionata all'orazione, alla lettura,
all'assistenza al divin Sacramento. Oh come si rende cara a Dio una religiosa
che ama il silenzio! specialmente se si mortificherà col tacere anche in certe
occasioni straordinarie, per esempio quando si sente molto annoiata da una
lunga solitudine, o quando le accadesse qualche avvenimento molto avverso o
molto felice, onde si sentisse molto spinta a parlare per manifestarlo.
All'incontro
la religiosa che si diffonderà in parlare, per lo più starà dissipata, lascerà
facilmente le sue orazioni e gli altri esercizi divoti, e così perderà a poco a
poco il gusto di Dio. Dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi: La religiosa che non ama il silenzio, è impossibile che trovi gusto
nelle cose divine.21 E posto ciò, la misera finalmente si abbandonerà
a' divertimenti di terra, e così non le resterà altro che 'l nome e l'abito di
religiosa.
9.
Bisogna non però avvertire che ne' monasteri la virtù del silenzio non consiste
già nel sempre tacere, ma nel tacere quando non vi è bisogno di parlare. Perciò
dice Salomone che v'è il tempo di tacere e 'l tempo di parlare: Tempus tacendi et tempus loquendi (Eccl.
III, 7). Ma nota S. Gregorio Nisseno che prima ivi si mette il tempo di tacere
e poi quello di parlare, per ragione, come soggiunge il santo, che col silenzio
s'impara a ben parlare: Per silentium
disci, quod postea proferatur:22
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Tacendo s'impara a ben
considerare tutto ciò che poi s'ha da dire.
Ma
per una religiosa che vuol farsi santa, qual'è il tempo in cui ha da parlare?
Il tempo di tacere è tutto quello nel quale non v'è bisogno di parlare. Il
tempo poi di parlare è quando a ciò l'obbliga o la necessità o la carità. Ecco
la bella regola che dà S. Giov. Grisostomo: Tunc
solum loquendum est, quando loqui plus proficit quam silentium: Allora
solamente dee parlarsi, quando il parlare giova più che il tacere. Quindi
consiglia: Aut tace aut dic meliora
silentio:23 O taci o dì cose che sieno più profittevoli del
silenzio. Oh chi potesse dire in punto di morte ciò che dicea quel monaco
chiamato Pambo, riferito dal P. Rodriguez (Part. II, tract. 2, c. 8), che non
si ricordava di aver proferita parola che gli dispiacesse poi di averla
detta!24 Mentre all'incontro dicea S. Arsenio che spesso egli
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s'era pentito di aver parlato, ma non mai di aver taciuto: Me saepe poenituit dixisse, numquam tacuisse.25 S. Efrem
dava pertanto questo documento a' religiosi: Cum Deo multis, cum hominibus paucis loquere:26 Parla molto
con Dio, e poco cogli uomini. Lo stesso dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi: La vera serva di Gesù Cristo sopporta tutto,
fatica molto, e poco parla.27
10.
Da tutto ciò che si è detto, avverta ogni religiosa, che vuole stare unita con
Dio, quanto dee fuggire il parlatorio. Siccome l'aria che si respira nel coro e
nella cella è la più salutifera per le monache, così l'aria più pestifera per
esse è quella delle grate. E che altro luogo è quello del parlatorio, se non
luogo di distrazioni, d'inquietudini e di
tentazioni? come dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi.28 Un giorno la
Ven. Suor
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Maria Villani obbligò il demonio da parte di Dio a palesare
in qual luogo del monastero guadagnava più. Rispose il tentatore: Io guadagno nel coro, nel refettorio e nel
dormitorio; in questi luoghi nonperò parte guadagno e parte perdo; ma nel
parlatorio guadagno tutto, perché quello è luogo tutto mio.29
Aveva
ragione dunque la Ven. Suora Filippa Cervina di chiamare il parlatorio luogo appestato, ove facilmente si
contrae la peste del peccato.30 Narra S. Bernardino da Siena che una
monaca, per aver intesa nel parlatorio una parola indecente, cadde miseramente
in una colpa grave.31 Ben all'incontro fu felice la vergine S. Febronia
- la quale poi diede la vita per la fede in età di 19 anni; - ella non volle
farsi mai vedere alle grate del monastero da niuna persona secolare, né uomo né
donna.32 Santa Teresa dopo sua morte comparve ad una sua
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figlia, e le disse che quella
religiosa che vuol esser molto amica di Dio, bisogna che sia nemica delle grate.33
Almeno
volesse Dio che in tutti i monasteri di monache vi fossero le grate di ferro
bucato, come stanno in alcuni monasteri osservanti! Al qual proposito narra un
autore che in un monastero, avendo la superiora fatta lavorare una grata
stretta, il demonio, per rabbia, prima la storse e poi la mandò rotolando per
la casa; ma quella buona superiora tanto più la fe' collocare nel parlatorio,
così distorta come era, acciocché le monache intendessero che, siccome quella
grata dispiaceva all'inferno, così all'incontro piaceva a Dio.34 Oh il
gran conto che per contrario daranno a Dio quelle badesse che introducono le
grate larghe o pure che trascurano l'assistenza delle ascoltatrici! Scrisse S.
Teresa in una sua lettera (P. I, lett. 26) queste gran parole: Le grate son porte del cielo quando stan
chiuse, e son quelle del pericolo (per non dir dell'inferno) quando stanno aperte.35
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E
soggiungeva: Un monastero di donne, dove
ci è libertà, serve più presto per condurle all'inferno che per rimediare alla
loro debolezza.36
11.
Oh che grande avanzo farebbe nel divino amore quella religiosa che risolvesse
di non calare più alle grate, secondo quel che già ne dicemmo al capo X, § 1,
n. 5, nel primo Tomo. Almeno voi,
sorella benedetta, quando andate al parlatorio, state attenta a portarvi da
religiosa. Trattando co' secolari, non solo dovete con molta cura guardarvi dalle
parole affettuose, ma di più dovete esser molto seria e ritenuta nel parlare.
S. Maria Maddalena de' Pazzi volea che le sue monache fossero selvatiche come i cervi;37
queste erano le sue proprie parole. E la Ven. Suor Giacinta Marescotti dicea: La cortesia delle monache è l'essere
scortesi, con troncare nel parlatorio ogni discorso ch'è lungo.38 E
ciò va detto, ordinariamente
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parlando, anche per quei discorsi lunghi
che tiransi con persone spirituali. Dicea la Madre Suor Anna di Gesù
carmelitana scalza: Più spirito si
acquista nel coro o nella cella, che nel parlatorio, per quanto lunghe sieno le
conferenze.39 A' confessori e direttori usate tutto il rispetto, ma
non dovete trattarci che per necessità, ed allora speditevi con poche parole.
Se
mai vi occorre poi nel parlatorio di sentir dire a caso da alcuna persona
qualche parola indecente, fuggite, o almeno calate gli occhi a terra e mutate
discorso, o almeno non ci rispondete. In un monastero della Ven. Suor Serafina da
Capri, stando ivi due donne a parlare d'un certo matrimonio, la rotaia intese
la voce di Suor Serafina, già prima defunta, che disse: Cacciate, cacciate presto queste donne.40 E sempre che
potete, procurate di distogliere quei discorsi che sanno di mondo. Santa
Francesca Romana un giorno ebbe uno schiaffo dall'angelo, perché trovandosi a
discorrere alcune dame di vanità mondane, ella non avea distolto il
discorso.41
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Più
attenta poi dovete essere nel tenere silenzio dentro del monastero colle vostre
sorelle, perché ivi l'occasione di rompere il silenzio è più continua e più
facile. Perciò bisogna che mortificate la curiosità. Diceva l'abbate Giovanni: Chi vuol frenar la lingua, chiuda le
orecchie col mortificar la curiosità di sentir novelle.42 In oltre
bisogna che fuggite la conversazione di quelle monache che sempre parlano. Di
più è bene che vi prefiggete qualche tempo della giornata da osservar silenzio,
standovi per allora ritirata nella cella o in altro luogo solitario, per non
aver occasione di parlare.
12.
Quando poi si ha da parlare, procurate sempre di esaminare ciò che volete dire,
secondo l'avviso dello Spirito Santo che dice: Verbis tuis facito stateram (Eccli. XXI, 28):43 Fatti una
bilancia alle tue parole, affinché le pesi prima di proferirle. Perciò dicea S.
Bernardo: Bis ad limam veniant verba,
quam semel ad linguam (In 8 punct. perfect.):44 Prima che le parole
vengano alla lingua, passino due volte per la lima dell'esame, acciocché si
taccia quel che non giova dire. Ciò spiegava con altri termini S. Francesco di
Sales, dicendo che per parlare senza difetto bisognerebbe che ciascuno tenesse
una bottoniera alla bocca, affinché, in doverla aprire per parlare, pensasse
bene a ciò che vuol dire.45
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Quando
dunque dovete parlare, considerate per 1. La cosa che volete dire; se mai ella
può offendere la carità o la modestia o l'osservanza. - Per 2. Il fine per cui
parlate, attesoché alcuni talvolta dicono cose buone, ma con fine non buono, o
di comparire spirituali o di spacciarsi per persone di bell'ingegno. - Per 3. A
chi si parla; se alle maggiori o alle compagne o suddite; se in presenza di
secolari o delle educande, che possono forse scandalizzarsi di quel che si
dice. - Per 4. Il tempo in cui si parla; se nell'ore di silenzio o di riposo. -
Per 5. Il luogo dove si parla; se nel coro, nella sagrestia, ne' corridori o
nella porta o parlatorio.
Per
6. Avvertasi a parlare con semplicità,
schivando certe maniere affettate: con umiltà,
evitando ogni parola di superbia o vanagloria: con dolcezza, che non si dica niente che sappia d'impazienza o di
discredito del prossimo: con moderazione,
non facendovi la prima a rispondere in qualche cosa che si propone,
specialmente se voi siete più giovane dell'altre: con modestia, non interrompendo la sorella, mentr'ella parla; di più
astenendovi da ogni parola che sa di mondo; di più senza gesti indecenti o risa
smoderate; di più parlando con voce bassa, poiché dice S. Bonaventura che ad
una religiosa il parlar con voce alta è gran difetto, specialmente in tempo di
notte.46 E se mai siete superiora e dovete riprender alcuna, guardatevi
dal riprenderla con alzar la voce; altrimenti la suddita apprenderà che voi
parlate per impazienza, ed allora poco gioverà la riprensione.
13.
Nelle ricreazioni poi, nelle quali è ben tempo di sollevarsi, parlate quando le
altre tacciono, ma allora procurate,
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sempre che potete, di mettere in
campo qualche cosa di Dio. Loquamur
Dominum Iesum, diceva S. Ambrogio, ipsum
semper loquamur (In Psal. 31):47 Parliamo di Gesù Cristo, e sempre
di lui parliamo. E di che altro più dee godere una religiosa che di parlare del
suo amabilissimo Sposo? Chi ama assai una persona, par che non sappia d'altro
parlare che di colei. Chi poco parla di Gesù Cristo, dà segno che poco l'ama.
All'incontro spesso accade che le buone religiose, parlando del divino amore,
escono più infervorate da quel discorso, che se uscissero dall'orazione. Dicea
S. Teresa: A' ragionamenti de' servi di
Dio sempre ritrovasi Gesù Cristo presente.48 Di ciò appunto ne
riferisce un memorabile esempio il P. Gisolfo, pio operario, nella Vita del
Ven. P. D. Antonio de Colellis (al cap. 31), ove dicesi che il P. D. Costantino
Rossi, maestro de' novizi, vide un giorno parlar insieme due suoi giovani -
ch'erano il P. D. Antonio Torres e il P. D. Filippo Orilia - ed in mezzo di
loro assistervi un giovane di bellissimo aspetto. Si ammirò il maestro come
que' suoi novizi, tenuti da lui per esemplari, parlassero con quel forestiere
senza licenza, onde dimandò loro dapoi chi fosse stato quel giovine da lui
veduto a discorrer con essi. Quelli si scusarono, dicendo che non v'era stato
alcuno. Ma intendendo poi il maestro ch'essi stavano allora parlando di Gesù
- 134 -
sù Cristo, comprese ch'esso divin Salvatore era quegli che tra loro
si fece vedere.49
14.
Del resto, fuori del tempo di ricreazione e fuori di certe occasioni
straordinarie, come di assistere a qualche inferma o di sollevare qualche
sorella tribulata, il meglio è tacere. Diceva una religiosa teresiana, come sta
scritto nelle loro Croniche: Meglio è
parlare con Dio che parlare di Dio.50 Ma quando poi vi obbligasse
l'ubbidienza o la carità, come di sovra si è detto, ad occuparvi in parlare e
trattar colle creature, bisogna che sempre procuriate di trovare i vostri
intervalli, per riparare almeno le perdite causate dalle distrazioni contratte
in quelle esterne occupazioni, rubando almeno i minuzzoli di tempo che potete
avere, per raccogliervi con Dio, secondo l'avviso dello Spirito Santo: Particula boni doni non te praetereat
(Eccli. XIV, 14). Non lasciate passar quella particella di tempo per darla a
Dio, s'altra non potete averne in
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quel giorno. Ma, sempreché potete
all'incontro abbreviare il discorso, abbreviatelo con qualche buon pretesto. La
buona religiosa non cerca pretesti, come fanno alcune, per allungar la
conversazione, ma li cerca per accorciarla. Pensiamo che il tempo non ci è dato
per perderlo in vano, ma affin di impiegarlo per Dio e d'acquistarci meriti per
la vita eterna. Dicea S. Bernardino da Siena che tanto vale un momento di
tempo, quanto vale Dio, perché in ogni momento possiamo acquistarci la sua amicizia
o pure più gradi di grazia.51
Preghiera.
Sia
sempre benedetta, o mio Dio, la pazienza con cui mi avete sopportata. Voi
m'avete dato il tempo per amarvi, ed io l'ho speso in offendervi e darvi disgusti.
Se ora mi toccasse di morire, con quanta pena al cuore io finirei la vita,
pensando d'essere stata tanti anni al mondo e non aver fatto niente!
Signore,
vi ringrazio che ancora mi date tempo di rimediare alla mia negligenza ed a tanti
anni perduti. Deh aiutatemi voi, Gesù mio, per li meriti della vostra Passione,
ch'io non voglio viver più a me, ma solo a voi ed al vostro amore. Io non so
quanto mi resta di vita, se poco o molto; ma se fossero cento e mille anni,
tutti voglio spenderli in amarvi e darvi gusto.
V'amo,
mio sommo bene, e spero d'amarvi in eterno. Non voglio esservi più ingrata. Non
voglio più resistere al vostro amore, che da tanto tempo mi chiama ad esser
tutta vostra. E che voglio aspettare? che proprio mi abbandoniate e non mi
chiamiate più?
- 136 -
Maria,
madre mia, soccorretemi voi, pregate per me, ed ottenetemi l'esser perseverante
in questa mia risoluzione, e fedele a Dio.
3 «Iuge quippe silentium, et ab omni strepitu
saecularium perpetua quies, cogit caelestia meditari.» S.
BERNARDUS, Epistola, 78, ad Sugerium,
Abbatem Sancti Dionysii, n. 4. ML 182-193.- Vedi sopra, pag. 98, nota 1.
4
«De hoc abbate Theodosio solitario narravit nobis abbas Cyriacus eius
discipulus, quod XXXV annos egerit in solitudine, semper post biduum comedens,
et iugiter silentium servans, neque ad aliquem loquens; ceterum si loqui
voluisset, signo potius quam verbo utebatur. Hoc et ego vidi: mansi enim in
eodem Aeliotarum monasterio annis X.» IOANNES MOSHUS, Pratum spirituale, seu De vitis Patrum, lib. 10, cap. 67. ML
74-150; MG 87-2918.
5
CYRILLUS monachus, testis in pluribus oculatus: Vita S. Ioannis Silentiarii, ex episcopo Coloniensi in Armenia
monachi Laurae S. Sabae in Palaestina, cap. 3, n. 28 (inter Acta SS. Bollandiana, die 13 maii): «In
cella sedens, in qua silet usque in hodiernum diem, implevit Dei gratia
quadraginta septem annos.» Mentre scriveva Cirillo (a. 557), viveva tuttora
Giovanni, e correva l' anno centesimo quarto della sua età. Sembra che sia
morto l' anno seguente, 558. (Cf. cap. 3, «Annotata», lettera f.) Contava
Cirillo 47 anni compiti di silenzio, dal tempo in cui Giovanni era stato da S.
Saba richiamato alla grande «Laura» e rinchiuso nella sua cella. Aggiungendo l'
anno che sopravvisse, i tre anni (cap. 1, n. 7) e poi i quattro (cap. 1, n. 10)
che era vissuto nella Laura «inclusus in cella et silens», i nove anni che
passò dopo nel deserto, «in deserto Rubae»: la somma totale degli anni di silenzio
di S. Giovanni, meritatamente chiamato il Silenziario, è di 64.
6 «A multiloquio abstine: hoc enim
exstinguit cordi advenientes cogitationes rationabiles et caelestes.» S.
DOROTHEUS, Doctrina 24. MG 88-1838.
7 «Religiosus curiosus, oblivio sui.» TALENTI, Vita, Roma, 1753, lib. 7, cap. 9, III,
n. 12.
8
«Queste erano le sue parole: «Desideriamo di viver solitarie? Troveremo ogni
ritiratezza, se taceremo col santo silenzio. Oh! quanto è vero che abbiamo
vicino appresso di noi una gioia tanto preziosa, la quale si va cercando tanto
da lontano!» F. GIOVANNI DE PALMA,
suo confessore, Vita, Roma, 1680,
lib. 5, cap. 24.
9
«La Religiosa non parlerà mai che umilmente, modestamente, e di rado, e per
sola necessità, giacchè uno de' capi, de' quali s' ha a render conto rigoroso a
Dio, sono le parole oziose ed inutili.» Detti
e sentenze, § 5, n. 49: PUCCINI, Vita,
Venezia, 1671, in fine.
10
Probabilmente l' autore (P. Paolo DU
SAULT) degli Avvisi e riflessioni sopra
le obbligazioni dello stato religioso, opera composta da un Monaco
Benedettino della Cong. di S. Mauro, tradotta dal francese.- Cap. 13, n. 8:
«(La lingua) è lo strumento fatale della maggior parte dei peccati che
commettiamo, e il canale più ordinario per cui scorre nei cuori il veleno che
spargiamo, o che respiriamo nelle conversazioni inutili.»
11 «Religiosus negligens, laetitia
daemonis.» TALENTI,
Vita, lib. 7, cap. 9, III, n. 30.
12
«Frequens sermo est, cum plurima ranarum murmura religiosae auribus plebis
obstreperent, sacerdotem Dei praecepisse ut conticescerent, ac reverentiam
sacrae deferrent orationi; tum subito circumfusos strepitus quievisse. Silent igitur paludes, humines non silebunt? Et irrationabile animal per
reverentiam recognoscit, quod per naturam ignorat: hominum tanta est
immodestia, ut plerique deferre nesciant mentium religioni, quod deferunt
aurium voluptati?» S. AMBROSIUS, De
Virginibus, lib. 3, cap. 3, n. 14. ML. 16-223, 224.
13
Non ci è riuscito sapere chi sia questo autore.
14
«Commendata habebat valde, et commendata esse filiis, praesertim superioribus,
volebat tria, quae ad disciplinam externam et ad decorem religiosum valde
pertinent: nimirum munditiem domus universae ac vestium, silentium, et denique
clausuram: quae indicia esse dicebat, in domo religiosa, quod in ea vigeret
bona disciplina... Silentium ita colebat, ut, extra horam quietis
seu recreationis post cibum sumptum, non pateretur colloquia haberi. Strepitum
vocis sive sermonem altiorem si exaudiebat, aut strepitum, maiorem aequo,
vehementius ambulantis vel de gradibus descendentis, statim aperto ostio
vocabat delinquentem et officii monebat. Hinc frequens erat poenitentia a Ministro iniuncta,
quod non usi essemus voce bassa seu depressa, aut quod immoderatius per
ambulacra ambulassemus aut ianua cubiculorum clausissemus.» Oliverii MANAREI, ad P. Nicolaum
Lancicium, Responsio ad quaedam postulata
de B. P. N. Ignatii virtutibus et documentis, pars 2: inter Acta Sanctorum Bollandiana, de S.
Ignatio Loyola (die 31 iulii) Commentarius
praevius, § 86, n. 896.
15
Di religiosi di questo nome, che abbiano avuto, nell' Ordine Carmelitano, fama
di speciale santità e dottrina, due ne conosciamo: nè all' uno nè all' altro
appartiene quello che qui riferisce S. Alfonso. Il primo (+1618) è il P. Fra
Diego della Concezione, già Dottore Perez, il quale entrò nell' Ordine, essendo
già sacerdote, ma per tutt' altra via. Divenuto cappellano e confessore delle Carmelitane
di Caravacca, queste, per la grande stima che avevano delle sue virtù, chiesero
per lui al Signore la vocazione religiosa. Suor Giovanna di S. Girolamo ne
ottenne la promessa, e una conversa l' adempimento nell' atto della sua
professione. La notte seguente infatti, mentre egli cantava la Messa, Maria SS:
gli apparve e lo vestì dell' abito della sua Religione Carmelitana; ed egli,
vinta ogni ripugnanza, si accinse a ricevere quanto prima quell' abito
canonicamente. L' altro Perez - Timoteo Perez de Vargas y Sarmiento- d' origine
spagnuola, nato a Palermo nel 1595, entrò giovanissimo nell' Ordine: fece
professione nel 1612, a Trapani. Insegnò teologia, fu Priore, Provinciale, e
finalmente Vescovo; morì nel 1651.
16 «Vir quidam admodum spiritualis et
eruditus (in nota: P. Hier. Nat.), de
silentio rem dicebat.... in primis notabilem.... «ad totam domum, imo et
religionem reformandam aliud non requiri, quam quoad silentium illam reformare;
nimirum (aiebat) si silentium domi sit, iam illam pro reformata, me iudice,
habeto.».... Ratio est, quia vigente domi silentio, quisque rei, ob quam ad
religionem venit, spiritualis inquam profectus sui promotioni, intendit.»
RODERICIUS, Exercitium perfectionis, pars
2, tract. 2,
cap. 6, n. 1.- Il P. Girolamo Natale (+1580)
fu uno dei primi e più cari figli di S. Ignazio.
17
«Hinc etiam est quod Religionum fundatores, considerantes multiplex in linguae
vitio pendere animae periculum, sanxerunt providissime pro summo remedio iuge
pro loco et tempore suis sequacibus silentium, certas poenas in robur
sanctionum suarum contra transgressores adiicientes. Et
clarum est, experientia docente, quod ubi censura haec silentii servatur
arctius, ibi Religio viget laudabilius et perfectius.» IO. GERSON, Opera, Basileae, 1518, fol. 34, col. 7,
litt. G: Quaestiones quaedam cum suis
responsionibus, quaestio prima, conclusio 3.
18
Le Regole di S. Basilio sono state stese da lui, non solo per gli uomini, ma
anche per le donne, delle quali fanno più volte menzione espressa; e molti
sono, in quelle Regole, gli articoli che spettano al silenzio. Regulae fusius tractae, (MG 31-889
seq.): Interrogationes 6, 13, 17, 33.- Regulae
brevius tractatatae (MG 31-1051) seq.): interrogationes 23, 24, 25, 26, 27,
28, 98, 99, 173, 208, 220.- Poenae in
monachos delinquentes (MG 31-1305 seq.): nn. 5, 15, 19, 26, 28, 32, 44, 45, 47,
50.- Epitimia in canonicas (poenae in
moniales, MG 31-1313 seq.): nn. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 13, 17, 19.- Constitutiones monasticae seu asceticae, (MG
31-1321 seq.): cap. 3, 6, 8, 11, 12, 20, 33.- Sermo asceticus, n. 4. MG 31-878. Etc.
19 S. BENEDICTUS, Regula, cap. 42. ML 66-670.
20
Forse alla B. Chiara di Montefalco, deve
sostituirsi S. MARIA MADDALENA DE' PAZZI, la quale dice espressamente: «O
quanto dovrebbe esattamente osservarsi il tempo del silenzio, perchè a pena ciò
che dicesi allora può andar esenti di colpa e di pecato.» PUCCINI, Vita, 1671, in fine: Detti e sentenze, § 5, n. 53.- Della B. CHIARA
DI MONTEFALCO, si legge: «Diceva....: «Le bugie, le parole vane ed oziose, il
riso sconcio, disdicono troppo in bocca di persone religiose: sono peccati
ancora questi, sebbene veniali, e dispiacciono a Dio.» PIERGILI, Vita, Foligno, 1640, parte 2, cap. 16,
pag. 140.- Nell' entrare nel Reclusorio, «fece con se stessa alcuni patti...
specialmente gli infrascritti....: Osservare il silenzio comandato dalla
Rettrice, e con molta esattezza..... Fu Chiara così amatrice del silenzio,
specialmente nel tempo stabilito dalla Rettrice, che per qualsivoglia
occasione, volontariamente non l' avrebbe rotto.» La stessa Vita, parte 1, cap. 6, pag. 11, 12, 15.-
«A quotidianis semonibus tantum abhorruit, ut semel fregisse modo silentium in
vita constet... Quo quidem veluto gravissimo scelere gravissime doluit.» Ioannes MOSCONIUS, Vita, cap. 1, n. 8: inter Acta
Sanctorum Bollandiana, die 18 augusti.
21
«Diceva sovente non poter mai gustar le cose del cielo quell' anima religiosa
che non gusta ancora il dolce silenzio.» PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 1, cap. 60; Vita, Venezia, 1671, cap. 107.
22 «Priori loco collocatum est tempus
tacendi, et post silentium dedit tempus loquendi.» S. GREGORIUS NYSSENUS, In Ecclesiasten, hom. 7. MG 44-727. -
Aggiunge il Nisseno: «Quando ergo et de quibusnam est melius tacere? Dixerit
quispiam ex iis qui ad mores aspiciunt, saepe silentium esse decentius
sermone.» Parla poi a lungo dell' opportunità di tacere o di parlare, e più si
ferma su questo motivo di silenzio, «quando venerit ratio et oratio ad ea quae
rationem superant, nec verbis possunt explicari.... Ineffabilis illius naturae
(divinae) inexplicabilitas habet miraculum in arcano conscientiae, apud eum qui
scit quod etiam viri magni de Dei operibus, et non de Deo loquebantur.» Ibid., col. 731.- In quanto al motivo
riferito da S. Alfonso, non è espressamente del Nisseno, ma del NAZIANZENO, il
quale così spiega e scusa il proprio silenzio: «Silentio tacemus, ut quod loqui
opus sit discamus.» Epistola 108, ad
Cledonium. MG 37-207.
23 «Tunc demum enim solum loquendum est,
quando quae dicuntur plus prosunt quam silentium.» S. IO. CHRYSOSTOMUS, Expositio in Ps. CXL, n. 5,
MG 55-434.- Si
estende largamente il Grisostomo sull' argomento, mostrando con esempi la colpa
di chi parla quando dovrebbe tacere, e di chi tace quando dovrebbe parlare.
Quanto alla sentenza: «Aut tace, aut dic meliora silentio,» riassume
egregiamente tutto il detto dal Grisostomo; però non è sua, ma assai più
antica.- IO. STOBAEUS, Sententiae ex
thesauris Graecorum delectae, Sermo 33, De
tempestiva oratione, (Tiguri, 1559, pag. 215, a principio: «Aut dic aliquid
silentio melius, aut sile. Euripidis
fragmenta, Incertae fabulae, XXIX, Parisiis, Firmin-Didot, 1878, pag. 830:
«Gesn. (Gesnerus) marg. (in margine Stobaei): Euripidis, al. Dionysii. Euripidi
tribuit etiam Trinc., Grotius incerto.»
24 RODERICIUS, Exercitium perfectionis, pars 2, tractatus 2, cap. 8, n. 11.-
PALLADIUS, Historia Lausiaca (De Vitis
Patrum, lib. 8), cap. 10: ML 73-1103: «Hic Pambo cum esset moriturus, in
ipsa hora excessus, cum circumstantibus Origeni (al. Macario; apud Heraclidem,
Paulo; fortasse Isidoro)
presbytero ac oeconomo, et Ammonio viris inclitis, et reliquis fratribus,
dicitur hoc dixisse: «Ex quo veni in hunc locum solitudinis, et meam aedificavi
cellam, et hic habitavi, nullus fuit dies quo non aliquid operis fecerim meis
manibus: nec memini me ab aliquo panem gratis datum comedisse; nec me in hanc
horam poenitet alicuius sermonis quem dixerim; et sic ad Deum recedo, ut qui
nec pius quidem ac religiosus esse coeperim.»- Cf.
HERACLIDES, Paradisus (Appendix ad Vitas Patrum), cap. 2, ML 74-261.
25 «Dicebat etiam illud: «Poenituit
enimvero me saepius locutum esse; tacuisse vero numquam.» S. THEODORUS STUDITA, Vita, cap. 3, n. 22: inter Acta Sanctorum Bollandiana, die 19
iulii.
26 «Cum Deo multis, cum hominibus paucis
loquere. Et si manum operi admoveris, os psallat et mens oret.» S. EPHRAEM, Sermo de psalmo. Operum omnium, tom. 6, Operum graece et
latine, tom. 3, Romae, 1746, pag. 18.
27
Sembra S. Alfonso aver messo insieme più sentenze della Santa.- a) Sopporta tutto. «O qual vergogna
solazzare fra le rose, mentre Cristo cammina fra le spine!» (Detti e sentenze, § 5, n. 22: PUCCINI, Vita (1671), in fine.)- «Le carezze e le
delizie dello Sposo celeste sono gli affronti, le croci, e i tormenti.» (Ivi, n. 23.)- «La pazienza senza la
sofferenza è una leggier tintura.» (Ivi, n.
18.)- «Ogni più eccessiva sofferenza riesce gloriosa e gustosa, quando si
rimira Gesù in croce.» (Ivi, n. 25.)-
b) Lavora molto. «Nè vostri impieghi
esteriori, non fate maggior stima del vostro corpo che di una scopa, o straccio
da cucina, facendovi vedere per tutto indefessa, umile, e rassegnata in tutte l'
ubbidienze della Superiora.» (Ivi, §
1, n. 19.)- c) Parla poco. «La
Religiosa non parlerà mai che umilmente, modestamente, e di rado, e per la sola
necessità.» (Ivi, § 5, n. 49.)-
«Bisogna chiudere le labbra alle cose della terra, se si ha a ricevere la
rugiada del cielo, come le madreperle.» (Ivi.
n. 52.)- «O quanto dovrebbe esattamente osservarsi il tempo del silenzio;
perchè a pena ciò che dicesi allora può andar esente di colpa e di peccato.» (Ivi, n. 53.)
28
«Ricordatevi (diceva alle sorelle) che siete consacrate a Dio, e non mai si
partirà alcuna sorella delle grate, che non ispenda poi molto tempo per
ritornare in quella pace interna che prima sentiva.».....Quando in tutte le
sorelle scorgeva tale aborrimento, prendendone sommo contento, riconosceva
questo come frutto particolare del Santissimo Sacramento». PUCCINI, Vita, (1611), parte 1, cap. 63.- «Disse
più volte che quel tempo che stava in parlatorio, sarebbe stata più volentieri
nel fuoco del purgatorio... perchè stimava che il parlatorio fosse... una
grande occasione di distrazione; e diceva che quivi le monache non ne traevano
altro, se non inquietudini, disturbi, svagamenti, tentazioni e pericoli... il
che non può esser nel purgatorio.» PUCCINI, Vita,
(1671), cap. 121.- Vedi Tomo I (vol. XIV9, cap. 10, § 1, nota 15 (pag. 349).
29
MARCHESE, O. P., Vita, lib. 2, cap.
12 (fine), Napoli, 1674, p. 378, 379.- Vedi Tomo I (vol. XIV), cap. 10, § 1,
nota 14.- Nella Vita di S. Domenico
s' incontra un fatto quasi del tutto simile: non è da maravigliarsi che la
Venerabile, dandosi l' occasione, si sia ispirata all' esempio del suo Santo
Patriarca, il che viene notato accortamente dal Marchese.
30
Può argomentarsi che questa «Filippa Cervina» altra non sia che la Madre Suor
«Filippa Govina», domenicana (+1574), di cui scrive il MARCHESE, nel suo Sagro Diario Domenicano, 9 febbraio: «Fu
la vita di questa Serva di Dio tale nella penitenza e solitudine, che a ragione
si può comparare a qualsivoglia più penitente e rigorosa anacoreta della
Tebaide o dell' Egitto: così amica del silenzio, che non fu mai veduta in
conversazioni nelle grate con secolari o parenti, anzi nemmeno colle stesse
suore del suo monastero.» Non è forse questo tener il parlatorio per «luogo
appestato»?
31
«Vidi ego virginem unam iam triginta octo annorum in virginitate permansisse
propter Christum, et ex uno verbo dehonesto audito corruisse ita terribiliter,
quod vix diabolus, si carnem haberet, taliter corruisset.» S. BERNARDINUS
SENENSIS, Sermones extraordinarii (cioè
extra ordinem Sermonum Quadragesimalium, etc.) Sermo 13, De remediis
luxuriae, sextum remedium, fuga
occasionum. Opera III, Venetiis, 1745, pag. 367, col. 2.
32
«Sextis feriis (il venerdì era giorno feriato in quel monastero: Acta, n. 4.), cum in oratorium
convenissent Sorores, iubebat Bryene (zia di Febronia, e «Magna Domina», cioè
Badessa del Monastero, che contava 50 monache) ut illis Febronia legeret. (Non
sembra che si tratti di semplice lettura, ma di lettura non commentario: onde,
morta Febronia, le matrone secolari, ammesse ad ascoltar quella lettura nell'
oratorio, si lagnarono- Acta, n. 35 -
di esser ormai prive della loro «maestra».) Quoniam autem matronae nobiles tali
die ad oratorium idem confluebant spiritualis doctrinae gratia, iubebat Bryene
velum tendi (con questo velo, intendi quel che dovessero esser le «grate» in un
monastero di Sibapoli ossia Nisibi in Mesopotamia, verso l' anno 300), post
quod lectionem perageret illa: tantum aberat ut viri cuiuscumque vultum aliquando
intueri ipsam pateretur.» S. Febroniae
virginis vita et martyrium, auctore THOMAIDE, eius magistra (vicaria di
Briene, alla quale poi succedette), et
teste oculata (avendo assistito perfino, vestita da uomo, al martirio della
sua discepola: di quel che non vide, fu istruita dal giudice stesso Lisimaco,
fattosi, subito dopo il martirio di Febronia, cristiano e monaco), cap. 1, n.
6; cf. cap. 2, n. 15: inter Acta
Sanctorum Bollandiana, die 25 iunii.- Soffrì il martirio S. Febronia sotto
Diocleziano, probabilmente negli ultimi anni del suo regno.- In quanto all' età
di S. Febronia, si legge (Acta, n. 4)
che aveva 18 anni: ciò s' intende prima della persecuzione; a quanto pare, poco
prima.- Non fa maraviglia il suo ufficio di «lettrice»; giacchè Briene «diligenter
(eam) in ascetica erudiebt palaestra» (Acta,
n. 4); e, d' altronde (Acta, n.
5), «divinarum Litterarum lectioni sese tradebat,» anche di notte, per fuggir
le tentazioni del senso; e, «cum adolescentula esset admodum studiosa, facta
est etiam multiscia,» con grande ammirazione di Briene, sua principale maestra,
e poi delle maatrone, sue auditrici.- Il suo martirio fu volontario- avendo
essa rifiutato di darsi alla fuga con le altre- e fu dei più crudeli che si
leggano. Fruttò molte ed insigni conversioni.
33
Dove sia riferita questa apparizione di S. Teresa non ci è dato conoscere.
34
Non conosciamo l' anonimo autore a cui S. Alfonso si riferisce.
35
Scrisse la S. M. Teresa, al P. Girolamo Graciàn, da Valladolid, ottobre 1580 (Carta 335, Obras, VIII, 405): «No olvide Vuestra Reverencia dejar mandado lo
de los velos en todas partes, y declarado por què personas se ha de entender la
costituciòn, porque no parezca las aprieta màs; que yo temo màs que no pierdan
el gran contento con que Nuestro Señor las lleva, que esotras cosas, porque sè
lo que es una monja descontenta; y mientra ellas no dieren màs ocasiòn de la
que hasta ahora han dado, no hay po què las aprieten en màs de lo que
prometieron. - A los confesores no hay para què los ver sin velos jamàs, ni a
los frailes de ninguna Orden, y muy menos a nuestros Descalzos. Podriase
declarar como si tienen un tio, y no tienen padre, y aquèl tiene cuenta de
ellas, y personas de muy mucho deudo, que ello mesmo se lleva razòn; u si hay
duquesa, u condesa, persona principal. En fin, donde no pueda haber peligro,
sino provecho; y cuando no fuere de esta suerte, que no se abra. U si otra cosa
se ofreciere, que sea duda, que se comunique con el provincial, y se pida licencia;
y si no, que jamàs se haga. Mas yo he miedo no la dè el provincial con
facilidad. Para cosa de alma parece que se puede tratar sin abrir velo. Vuestra
Reverecia lo verà.» Su questo passo, Mgr.
Palafox (Lettere della S. M. Teresa, parte 1, Venezia, 1690, Lettera 26, Annotazione 3, pag. 132) fa
il seguente commentario: «Quando si scriveva questa lettera, stava già per
radunarsi in Alcalà di Henares il Capitolo della separazione de' Scalzi in
Provincia particolare, per il qual fine scrisse la Santa, a diversi Prelati,
diversi importanti avvisi, spetanti al governo delle sue Monache, alcuni de'
quali sono quelli che nella presente diede al Padre Fra Girolamo Graziano circa
le grate dei parlatorii, che sono le porte del cielo, quando sono chiuse, e quelle
del rischio, quando sono aperte.»
36
«Por est me parece a mi me hizo harto daño no estar en monesterio encerrado;
porque la libertad que las que eran buenas podian tener con bondad, porque no
debiam màs, para mi que soy ruin hubièrame cierto llevado a el infierno, si con
tantos remedios y medios, el Señor, con muy particulares mercedes suyas, no me
hubiera sacado de este peligro; y ansi me parece lo es grandisimo, monesterio
de mujeres con libertad, y que màs me parece es paso para caminar al infierno
las que quisieren ser ruines, que remedio para sus flaquezas.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 7. Obras, I, 43.
37
«Vide in questo molte anime che aveano la sembianza di cervi, e intese che così
debbono esser l' anime, e aver le proprietà del cervo; onde soggiunse (elevata
in estasi): «.... La proprietà del cervo è che molto è selvatico. Si compiace
Gesù che l' anime a lui consagrate sien salvatiche, e ritirate dal commercio e
trattenimento de' secolari, perchè, essendo quelle spose di Cristo, dovrebbon
solo per necessità trattar con quelli, procurando spedirsi, quanto più elle
possono, dalla conversazion loro.» PUCCINI, Vita,
Firenze 1611, parte 4, cap. 3.
38
«Ad una monaca giovanetta disse una volta: «Il far presenti a' secolari,
massime giovani, ancorchè di spirito, non è conforme alla via dello spirito; e
per fuggire dicerie de' medesimi, la cortesia della monaca sia l' essere con
essi scortese, nè giova punto con tali fermarsi molto a discorrere.» Girolamo VENTIMIGLIA, Vita, cap. 16. (Beata: 1726; santa:
1807.)
39
Questa parola della più illustre- dopo la S. M. Teresa- tra le Carmelitane
della Riforma, non l' abbiamo ritrovata nè nelle Croniche dell' Orazione, nè nella gran «Vida de la Ven. Madre Ana de Jesùs, Brussellas, 1632», scritta, ad
istanza dell' Arciduchessa Isabella, dal P. Angelo
Manrique, Generale dell' Ord. Cist.
40
«Questa vigilanza dimostrata in vita nel conservar pure le sue figlie, la
dimostrò ancora con meraviglioso modo dopo la morte, poichè riferisce una delle
sue prime religiose, come stando ella vicino alla porta del monastero in tempo
che la Rotara stava ascoltando un discorso che facevano due serventi del
monastero da fuori, sentì vicino a lei la presenza della Madre Serafina già morta
poco prima, e sentì colle sue orecchie sensibilmente la di lei voce, che
diceva: «Mandate via, mandate quelle due serve, che spropositamente
discorrono.» Tutta tremante questa religiosa, investigando di che si
discorresse, venne in cognizione del zelo che dimostrava la comune Madre,
contro quel discorso non confacevole alle orecchie delle sue figlie, per essere
di matrimonio che quelle stavano contraendo.»Nicola SGUILLANTE, e Tommaso PAGANO,
Vita, Napoli, 1723, lib. 3, cap. 23,
n. 28, pag. 638.
41
«Stava Francesca in compagnia di molte donne, e tra l' altre con sua suocera...
e con Vannozza sua cognata: si venne ad indurre un ragionamento alquanto vano.
Rincresceva alla Santa tal modo di ragionare, e si sentiva molto stimolare ad
interrompere quel discorso; ma per un certo vano timore e rispetto umano, non
ebbe ardire di farlo. Allora l' Angelo, per liberarla da maggior colpa, le
diede una guanciata sì forte che tutti gli astanti sentirono il colpo, ancorchè
non si potessero accorgere di chi l' avesse dato.» Vita, data nuovamente in luce dalla Madre Presidente e Oblate di
Torre de' Specchi, Roma, 1675, lib. 1, cap. 12.
42
S' incontrano, nelle Vite dei Padri, non
pochi «abbati» col nome di Giovanni: da Giovanni, fratello di S. Pacomio (Vita S. Pachomii, cap. 14 et seq.), fino
a Giovanni, soprannominato il Profeta, di cui parla S. Doroteo (Doctrina 21, MG 88-1811 et seq.) A
nessuno fra tanti viene attribuito il detto riferito.- LOHNER, Bibliotheca concionatoria, IV, v. Taciturnitas, § 10, n. 9: «Sic Ioannes
Abbas ex Cyti(co)? docuit dicens: «Qui continere vult linguam, obstruat aures,
ne multa audiat.» Nota marginale: «L. 1 de
perf. ord. Carhus. c. 24.» L' opera citata dal Lohner non pare sia altra
che quella ricordata e molto lodata dal Le
Counteulx, Annales Ord. Cartus., I, pag. XLVII, intitolata De origine et veritate perfectae Religionis,
ad defendendum Ordinem Cartusiensem (scritta verso l' anno 1240, o forse
prima). E quell' «Abbate Giovanni» potrebbe essere Giovanni, già Abbate di
Abbondanza, fattosi Certosino e discepolo di S. Artoldo, morto con fama d'
esimia virtù nel 1202. (Op. cit., III,
290, n. 8.)
43
Labia imprudentium stulta narrabunt:
verba autem prudentium statera ponderabuntur. Eccli. XXI, 28- Aurum tuum et argentum tuum confia, et
verbis tuis facito stateram. Eccli. XXVIII, 29.
44
Octo puncta perfectionis assequendae, n.
5, punctum 7. Inter Opera S. Bernardi, (opus
supposititium). ML 184-1185.
45
«Io vorrei avere una bottonatura alle labbra, acciocchè ogni volta che dovessi
parlare, fossi astretto a scioglierla; così avrei più tempo di considerare e
pesare le mie parole.» GALLIZIA, Viva, lib.
6. cap. 2, in fine: Massime e detti, II,
n. 3.
46 «Circa vocis sonum in locutione,
attendant ut... sit demissus pariter et suavis. Vitiosissimus plane Religioso modum loquendi,
si notabiliter suam in loquela communi vocem exaltat. Sufficiat
ei, quod proxime ei astantes possint loquentis intelligere verbum. Sapientis
est loqui suaviter et demisse. Nox autem amplioris vocis depressionem requirit.
Nox est tempus silentii et quietis. In nocte, maxime post Completorium, in
alta, ut prius, verba erumpere, silentii gravitate neglecta, saecularium est,
Religionis non curantium honestatem Proinde honesti Fratres, ubicumque fuerint,
religiose semper, in quibus poternut, ac si essent in Fratrum collegio, cum
silentii sui observatione conversentur.» BERNARDUS A BESSA, Ord. Min., Speculum disciplinae, pars 1, cap. 31, n. 5: inter Opera S. Bonaventurae, ad Claras Aquas,
VIII, 1898, pag. 613.- Fr. Bernardo, Segretario di S. Bonaventura, scrisse
questa opera per comando, sotto la direzione e coll' aiuto del Santo Dottore.
47
«Loquamur ergo Dominum Iesum: quia ipse est Sapientia, ipse est Verbum et
Verbum Dei.... Ipsum spirat, qui sermones eius resonat et verba
meditatur. Ipsum
semper loquamur. Cum de sapientia loquimur, ipse est; cum de
virtute loquimur, ipse est; cum de iustitia loquimur, ipse est; cum de pace
loquimur, ipse est; cum de veritate, et vita, et redemptione loquimur, ipse
est. Aperi os
tuum Dei verbo....: tu aperi, ille loquetur.» S. AMBROSIUS, In Ps. XXXVI Enarratio, n.
65. ML 14-1001.
48
Nel luogo che siamo per riferire, non parla già la Santa Madre Teresa, come han
creduto gli antichi biografi, del P. Vincenzo Barròn, O. P., ma di un altro
illustre Domenicano, «Fray Garcìa de Toledo» (Obras, I, 286, not. 2), dalla Santa stessa attirato ad esimia
santità con questa mirabile preghiera (Libro
de la Vida, cap. 34, 287): «Señor, no me habèis de negar esta merced; mirà
que es bueno este sujeto para nuestro amigo.» Dopo più anni, mentre parlavano
insieme delle cose dicine, «estando ya mi alma, dice la Santa Madre, que no
podia sufrir en si tanto gozo, saliò de si y perdiòse para màs ganar. Perdiò
las consideraciones, y de or aquella lengua divina, en quien parece hablaba el
Espiritu Santo, diòme un gran arrobamiento que me hizo casi perder el sentido,
aunque durò poco tiempo. Vi a Cristo con grandisima majestad y gloria, mostrando
gran contento de lo que alli pasaba: y ansi me lo dijo, y quiso viese claro que
a semejantes platicas siempre se hallaba presente, y lo mucho que se sirve en
que ansi se deleiten en hablar en El.» S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 34. Obras,
I, 291, 292.
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«(Il Padre D. Costantino Russo) fu Maestro de' novizi molti e molti anni...
Vide una volta due suoi novizi che insieme parlavano, ed in mezzo ad essi un
giovane di bello aspetto, diversamente vestito: onde di ciò ammiratosi, aspettò
che colui si partisse. Chiamati a sè i novizi, li dimandò chi fosse quel
giovane, col quale ragionavano. Stupiti essi a tal dimanda, risposero che soli
trattenevansi insieme. «Come, replicò egli, non ho io veduto uno, di tale e
tale fattezza, ragionar in mezzo a voi?» Negando essi sempre, si pose in gran
pensiero per esser quelli novizi molto obbedienti e fedeli. Onde sapendo poi
che parlavano di Dio, comprese quello essere Cristo Signor Nostro, che secondo
la sua promessa, in mezzo ad essi se ne stava: il che solea egli raccontare
come cosa successa ad altri, ma con un suo molto confidente palesò il tutto a
gloria di Dio.» Pietro GISOLFO, Vita del P. D. Antonio de Colellis, dei
Pii Operai, Napoli, 1663, cap. 31, § 2: Del
P. D. Costantino Russo, p. 359, 360.- Il Padre Don Lodovico SABBATINI d'
Anfora, nella Vita del P. D. Antonio de
Torres, Napoli, 1732, lib. 1, cap. 4, pag. 20, ci fa sapere che questi due
novizi erano lo stesso Torres e Filippo Orilia; che il loro discorso «aveva per
soggetto le bellezze di Gesù Cristo, amabile oggetto delle fiamme più pure di
un cristiano»; e che Nostro Signore «seguì lungamente a dimorar tra essi».
Conoscendo S. Alfonso le due Vite, prende
dal Sabbatini i particolari tralasciati dal Gisolfo, il quale aveva scritto
quando ancora erano vivi il Torres e l' Orilia.
50
D. Antonia de Molina- nella Religione Antonia della Croce- nata in Cordova,
affezionatissima alle vanità del mondo, disingannata poi colla morte del
fidanzato, vestì l' abito delle Carmelitane in Cabra; + 1633. Fin dal principio
della sua vita religiosa, fu assai fervente. «Dall' amore del silenzio le
nacque il desiderio della solitudine... Vedendo le altre i suoi fervori,
andavano a ricevere i di lei avvisi e documenti, chiedendo a quest' effetto il
permesso dalla Superiora... ella, che si ritrovava sì bene nell' umiltà,
perseverava nel suo silenzio, e.... rispondeva: «Màs vale hallar (leggi: hablar) con
Dios que de Dios: Giova più, sorelle, parlare con Dio che di Dio.»
FRANCESCO DELLA CROCE, Disinganni per viver
e morir bene, vol. 1, § 4, n. 4, pag. 152. Napoli, 1712.
51
«Tempus tantum valet quantum Deus; quia si diabolus haberet unum modicum
temporis in quo posset poenitere sicut nos, ipse salvaretur et acquireret Deum,
et per consequens tantum valet tempus quantum Deus.» S. BERNARDINUS SENENSIS, Quadragesimale nuncupatum «Seraphim», sermo
18, de amore amplexante, prima pars
principalis. Opera, III, Venetiis,
1745, pag. 200.- «Vide.... temporis pretiositatem, quia modico tempore potest
homo lucrari veniam, gratiam et gloriam.... Oh! si talis mercantia ad infernum
portaretur, solum tempus dimidiae horae ad poenitendum, emerent illud pro mille
mundis, si possent.» IDEM, Quadragesimale
de christiana religione, sermo 13, art 3. cap. 4. Opera, I, Venetiis, 1745, pag. 55.
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