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S. Alfonso Maria de Liguori La vera Sposa di Gesù Cristo IntraText CT - Lettura del testo |
CAPO XX - Della preghiera
1. Di questo punto della preghiera io più volte ne ho trattato a lungo nell'altre mie Opere spirituali, come nella Visita al SS. Sagramento, in un trattatello posto ivi in fine; nell'Apparecchio alla morte, e specialmente di questa materia ne ho fatto un libro a parte, intitolato Il gran mezzo della preghiera, dove nella prima parte ho parlato dell'importanza che abbiamo tutti di pregare per salvarci.1 Onde qui solamente raccolgo certe riflessioni più principali circa questo punto, Vedremo in primo luogo quanto è necessaria la preghiera; in secondo luogo quant'ella è efficace appresso a Dio e valevole ad ottenerci ogni grazia; in terzo luogo tratteremo del modo come si ha da pregare.
2. E per prima, in quanto alla necessità della preghiera, bisogna intendere che noi non possiamo far niente di bene senza le grazie attuali di Dio; ma il Signore si protesta che queste grazie egli le concede solamente a coloro che ce le domandano: Petite et dabitur vobis (Matth. VII, 7): Cercate e riceverete. Sicché, dicea S. Teresa, chi non cerca non riceve.2
La preghiera pertanto agli adulti non solo è necessaria di necessità di precetto, secondo parlano le Scritture: Oportet semper orare (Luc. XVIII, 1). Orate, ut non intretis in tentationem (Marc. XIV, 38). Petite et accipietis (Io. XVI, 24). Le quali parole oportet, orate, petite, come dicono comunemente i Dottori con S. Tommaso, importano rigoroso precetto, che obbliga ciascuno sotto colpa grave. Ad orationem, dice l'Angelico, quilibet homo tenetur ex hoc ipso quod tenetur ad bona spiritualia procuranda; quae procurari non possunt, nisi petantur (In 4. Sent., dist. 15, a. 1, qu. 3).3 Specialmente in tre casi l'uomo è obbligato a pregare: 1. quando si trova in peccato: 2. quando sta in pericolo di morte: 3. quando e assalito da qualche grave tentazione di peccare. Ed ordinariamente poi insegnano i Teologi che chi per un mese o al più due non pregasse (Vedi Lessio, De iust. et iure, lib. 2, c. 37, n. 9), non può essere scusato da peccato mortale.4
Ma non solo, come dissi, il pregare a noi è di necessità di precetto, ma come insegnano S. Basilio, S. Agostino, S. Gio. Grisostomo, Clemente Alessandrino ed altri, è ancora di necessità di mezzo:5 viene a dire che senza pregare è a noi assolutamente impossibile il conservarci in grazia e salvarci, come chiaramente scrisse il Grisostomo: Simpliciter impossibile est, absque deprecationis praesidio, cum virtute degere (Lib. 1, De orando Deum).6 E ciò conclude il mentovato Lessio doversi tenere
come punto di fede: Fide tenendum est orationem adultis ad salutem esse necessariam, ut colligitur ex Scripturis (Loc. cit.).7
3. Lo stesso bastantemente dichiara più a lungo il Maestro Angelico (3. p. q. 39, a. 5), dove scrive così: Post baptismum autem necessaria est homini iugis oratio ad hoc quod caelum introeat.8 Poiché soggiunge che sebbene col battesimo si cancellano i peccati, nondimeno ci resta da vincer le tentazioni, le quali non avremo noi forza di superare senza la preghiera; onde dice in altro luogo (1. 2. q. 109, a. 10): Postquam aliquis est iustificatus per gratiam, necesse habet a Deo perseverantiae donum, ut scilicet custodiatur a malo usque ad finem vitae.9
Per intendere la ragione di ciò, bisogna sapere per 1. che senza l'aiuto speciale di Dio noi non possiamo star lungo tempo in grazia, senza cadere in qualche colpa mortale; perché sono tanti i nemici che continuamente ci combattono, e noi all'incontro siamo così deboli, che, se Dio non ci soccorre con aiuti speciali, oltre i comuni che da a tutti, non abbiamo forza di resistere. E questa è anche dottrina di fede, dichiarataci dal sagro Concilio di Trento (Sess. VI, de iustif. can. 22), dove dicesi: Si quis dixerit iustificatum vel sine speciali auxilio Dei in accepta iustitia perseverare posse, vel cum eo non
posse, anathema sit.10 Deve sapersi per 2. che questo aiuto speciale a perseverare in grazia il Signore, almeno ordinariamente parlando, non lo concede se non a chi lo domanda. Constat, dice S. Agostino, alia Deum dare etiam non orantibus, sicut initium fidei; alia nonnisi orantibus praeparasse, sicut in finem perseverantiam (De dono persev., cap. 16).11 Dice in somma il santo dottore, che, eccettuate le prime grazie, come sono le chiamate alla fede o alla penitenza, tutte l'altre, e specialmente la perseveranza, Iddio non le dona se non a chi prega.
4. Quindi raccogliamo da tutto ciò che si è detto, quanto ci è necessario il pregare per conseguire la salute eterna. Tutti i dannati si son dannati per non pregare; se pregavano, non si sarebbero perduti: e tutti i santi si son fatti santi col pregare; se non pregavano, non si sarebbero salvati. Diceva S. Gio. Grisostomo: Persuasum habeamus quod animae mors sit non provolvi ad Dei genua (Lib. I, De or. Deum).12 Bisogna che viviamo persuasi esser lo stesso il non pregare che 'l perdere la vita dell'anima, ch'è la grazia di Dio. - I Padri antichi fecero una conferenza tra di loro per determinare quale fosse l'esercizio più necessario ad un cristiano per salvarsi, e conchiusero essere il continuamente replicar la preghiera di Davide: Deus, in adiutorium meum intende; Domine, ad adiuvandum me festina.13 Signore, aiutatemi, ed aiutatemi
presto; perché se tardate a donarmi il vostro aiuto, io caderò e perderò la vostra grazia. Se faremo così, certamente ci salveremo; se non faremo così, certamente ci perderemo.
5. In secondo luogo bisogna considerare l'efficacia della preghiera. Dice Teodoreto che la preghiera è una, ma ella può ottenere tutti i beni: Oratio, cum sit una, omnia potest.14 Chi prega, ottiene quanto vuole. Ed in ciò io rifletto che Iddio ci fa conoscere l'amore immenso che ha di farci bene. Qual maggior amore può dimostrare taluno ad un suo amico che dirgli: Amico, cercami quel che vuoi, e te lo darò? Or questo appunto dice il Signore ad ognuno di noi: Petite et dabitur vobis (Luc. XI, 10).15 E non vi mette riserba: Quodcumque volueritis, petetis, et fiet vobis (Io. XV, 7). Dice: Qualunque cosa bramerete, chiedetemela e vi sarà data. Scrive S. Ilario che la preghiera può tanto con Dio che quasi lo costringe a donarci tutte le grazie che noi gli domandiamo: Oratio pie Deo vim infert.16
Noi tutti siam poveri e mendici, come dicea Davide: Ego autem mendicus sum et pauper (Psal. XXXIX, 18). Ma se vogliamo
esser ricchi, a noi sta: cerchiamo a Dio le grazie e ci saran date: cerchiamo assai e ci sarà dato assai. Davide specialmente benedicea il Signore per questa di lui bontà, che univa sempre la sua misericordia alle nostre preghiere: Benedictus Deus qui non amovit orationem meam et misericordiam suam a me (Psal. LXV, 20). Chiosa questo passo S. Agostino e dice: Cum videris non a te amotam deprecationem tuam, securus esto quia non est a te amota misericordia Dei.17 Quando vedi che tu preghi, sta certo che la divina misericordia non mancherà di soccorrerti. E S. Gio. Grisostomo dice che quando noi preghiamo, il Signore, prima che terminiamo di esporgli le nostre domande, egli già n'esaudisce: Semper obtinetur, etiam dum adhuc oramus.18 Anzi di ciò ne abbiamo la promessa di Dio medesimo: Adhuc illis loquentibus, ego audiam (Is. LXV, 24).
6. In terzo luogo vediamo le condizioni con cui si ha da pregare, che è quello che più importa.
Bisogna per 1. pregare con umiltà. Dice S. Giacomo: Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam (Iac. IV, 6). Iddio resiste alle preghiere de' superbi, e non dà loro udienza; la di loro superbia è un gran muro che impedisce il Signore dal sentire le loro domande. All'incontro dice l'Ecclesiastico:
Oratio humiliantis se nubes penetrabit... et non discedet, donec Altissimus aspiciat (Eccli. XXXV, 21). La preghiera di un'anima umile, che stimasi indegna d'esser esaudita, penetra i cieli e si presenta al trono divino, e non si parte finché Iddio non la guarda e l'esaudisce. - Quando dunque cerchiamo le grazie al Signore, bisogna che prima diamo un'occhiata alla nostra indegnità, e specialmente a' tradimenti che gli abbiamo fatti dopo tanti propositi e promesse, per aver troppo confidato alle nostre forze; e così poi, tutti disperati di noi, dobbiam pregare ed implorare dalla sua misericordia l'aiuto che desideriamo.
7. Per 2. bisogna che preghiamo con confidenza. Dice l'Ecclesiastico che non mai s'è dato il caso che alcuno abbia confidato in Dio e sia restato confuso, cioè non esaudito: Nullus speravit in Domino, et confusus est (Eccli. II, 11). Dobbiam pertanto pregare, come dice S. Giacomo, con confidenza sicura, senza punto dubitare di non esser esauditi: Postulet autem in fide nihil haesitans (Iac. I, 6). E poi soggiunge il medesimo apostolo: Qui enim haesitat, similis est fluctui maris qui a vento movetur... Non ergo aestimet homo ille quod accipiat aliquid a Domino (Loc. cit., v. 7). Dice che chi prega dubitando di essere esaudito, agitato come un'onda del mare, sicché un pensiero lo rincora, un altro lo disanima, costui niente riceverà dal Signore. È necessario dunque che confidiamo nella divina misericordia, e crediamo che certamente, pregando, riceveremo la grazia; ed allora certamente la grazia ci sarà fatta, siccome ce ne assicura il nostro medesimo Salvatore: Omnia quaecumque orantes petitis, credite quia accipietis et evenient vobis (Marc. XI, 24). Ma, dice S. Agostino, come possiam temere, pregando, di non essere esauditi, mentre Iddio che è la stessa verità, ha promesso di esaudir chi lo prega? Quis falli metuat, dum promisit Veritas? (Lib. 22, De civ. Dei, c. 8).19 Dice in altro luogo il santo: Essendo vero che Dio tante volte nella Scrittura ci esorta a domandare, come poi può succedere che abbia a negarci quello che domandiamo?
Hortatur ut petas, negabit quod petis?20 No, questo non è possibile, soggiunge il S. Dottore, mentre il Signore col promettere egli s'è obbligato a concedere le grazie che noi gli domandiamo: Promittendo debitorem se fecit (S. Aug., de verb. Dom., serm. 2).21
8. Ma io, direte voi, son peccatrice, merito castighi, non grazie; e perciò temo, perché sono indegna d'essere esaudita. Ma a ciò vi risponde S. Tommaso che la preghiera in impetrar le grazie non si appoggia a' meriti nostri, ma solo alla misericordia di Dio: Oratio in impetrando non innititur nostris meritis, sed soli divinae misericordiae (2. 2. q. 178, a. II, ad 1).22 Perciò disse Gesù Cristo: Petite et dabitur vobis... Omnis enim qui petit accipit (Luc. XI, 9 et 10). Commenta l'autor dell'Opera imperfetta: Omnis, sive iustus sive peccator sit (Hom. 18).23 Il Signore ha promesso di esaudir le preghiere d'ognun che lo prega, non solo del giusto, ma anche del peccatore: basta che preghi. Ma il nostro amoroso Redentore, per toglierci ogni timore quando preghiamo, ci disse in altro luogo: Amen, amen
dico vobis, si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis (Io. XVI, 23). Peccatori, come dicesse, voi non avete meriti appresso mio Padre per essere esauditi: onde fate così: cercategli le grazie in nome mio, cioè per li meriti miei ed io vi prometto ch'egli vi darà quanto voi domandate. Quanto sono belle le parole che a tal proposito scrisse S. Giacomo! Si quis... indiget sapientia, postulet a Deo, qui dat omnibus affluenter, nec improperat (Iac. L 5). Se alcuno di voi dice l'Apostolo, ha bisogno della sapienza, s'intende dell'amor divino, che ha da fare? la chieda a Dio, il quale suol dispensar le grazie a mano larga, cioè maggiori di quelle che gli domandiamo. E soggiunge. Nec improperat; viene a dire che quando cerchiamo a Dio i suoi doni, egli non ci ributta col rimproverarci i disgusti che gli abbiam dati, ma allora par che si dimentichi di tutte le nostre ingratitudini, e ci accoglie e ci esaudisce.
9. Per 3. bisogna che preghiamo con perseveranza. Dice S. Ilario che l'ottener le grazie sta nel fermarci a pregare: Obtinere in sola precum mora est (Cap. 6, in Matth.).24 Il Signore vuol esaudire alcuni alla prima volta che lo pregano, altri alla seconda, altri alla terza; e perciò, non sapendo noi quante volte Dio vuole che replichiamo le suppliche, per esaudirci, bisogna che sempre seguitiamo a cercare la grazia che domandiamo.
E parlando specialmente della perseveranza finale, questa è una grazia, come insegna il Concilio di Trento (Sess. VI, c. 13), che da noi non può meritarsi,25 nulladimeno dice S. Agostino che in qualche modo ella si merita col pregare; cioè pregando certamente si ottiene: Hoc ergo Dei donum (perseverantiae) suppliciter emereri potest, id est supplicando
impetrari (De dono persev., c. 6).26 Ma per ottenerla e salvarsi, avverte S. Tommaso, è necessario a ciascuno che continuamente la domandi a Dio: Necessaria est homini iugis oratio ad hoc quod caelum introeat (3. p. q. 39, a. 5).27 E prima lo disse il medesimo nostro Salvatore: Oportet semper orare et non deficere (Luc. XVIII, 1). Lo disse ancora l'Apostolo: Sine intermissione orate (I Thess. V, 17). Non basta dunque, scrisse il Bellarmino, cercar la perseveranza una o poche volte, bisogna - cercarla ogni giorno, per ottenerla ogni giorno: Quotidie petenda est, ut quotidie obtineatur.28 In quel giorno in cui non la chiederemo, caderemo in peccato, e la perderemo.
10. Dice S. Gregorio che Dio vuol darci la perseveranza, ma per darcela vuol essere importunato e quasi costretto dalle nostre preghiere: Vult Deus rogari, vult cogi, vult quodam modo importunitate vinci (S. Greg., in psal. 6 poenit.).29 E ciò significano quelle premure che ci fa il Signore: Petite et accipietis:
pulsate et aperietur vobis (Luc. XI, 9):30 Domandate, cercate, bussate; particolarmente così bisogna fare in tempo di tentazioni gravi, per non cadere; bisogna pregare e tornare a pregare, sin tanto che ci vediamo liberi da quelle. Replichiamo allora sempre: Gesù mio, misericordia; Signore, aiutatemi; non permettete ch'io m'abbia a separare da voi.
E con ciò bisogna insieme cercar sempre a Dio lo spirito della preghiera, ch'è la grazia di continuamente pregare, promessa dal Signore alla famiglia di Davide: Et effundam super domum David et super habitatores Ierusalem spiritum gratiae et precum (Zach. XII, 10). Notate: gratiae et precum, perché la preghiera va sempre unita colla grazia che desideriamo. Chi fa così, sarà sempre sicuro di non esser preso da' lacci de' nostri nemici. Frustra... iacitur rete ante oculos pennatorum (Prov. I, 17): Indarno si gitta la rete, dice il Savio, avanti gli occhi degli uccelli, perché quelli subito volano e scampano d'esser presi. Così chi prega scampa da tutte le tentazioni, perché colla preghiera subito se ne vola a Dio, e Dio ne lo libera.
E qui intendiamo che non v'è mai scusa per un peccatore che dice di esser caduto per essergli mancata la forza di resistere; poiché diceva il Concilio di Trento: Deus impossibilia non iubet, sed iubendo monet et facere quod possis, et petere quod non possis, et adiuvat ut possis (Sess. 11).31 Iddio non comanda cose impossibili, ma nel darci i precetti ci ammonisce a fare quel che possiamo colla grazia ordinaria, che dona a tutti; e per quel che poi con quella sola grazia non possiamo fare, ci ammonisce a chiedere l'aiuto maggiore che ci bisogna; e chiedendolo noi, egli è pronto a donarcelo.
11. Il Signore dunque ben esaudisce chi lo prega, perché l'ha promesso: ma bisogna intendere che tal promessa non va fatta per le grazie temporali, come della sanità del corpo, di acquistar beni di fortuna, di ottener quell'onore e simili;
mentre Iddio molte volte giustamente queste grazie le nega, perché vede che quelle ci nocerebbero alla salute dell'anima. Quid infirmo sit utile, dice S. Agostino, magis novit medicus quam aegrotus (Tom. III, c. 212):32 Che cosa giovi all'infermo, non lo conosce egli, ma il medico che lo cura. Pertanto queste grazie temporali, se vogliono cercarsi, debbono cercarsi con rassegnazione e colla condizione se sono spedienti alla nostra salute eterna; altrimenti, se le domandiamo senza questa rassegnazione, il Signore non ci darà neppure udienza.
Ma quando poi son grazie spirituali, non vi vogliono condizioni; bisogna chiederle assolutamente e con sicura speranza di ottenerle. Si ergo vos, cum sitis mali - ecco come il nostro Salvatore ci animò a domandar queste grazie, - nostis bona data dare filiis vestris, quanto magis Pater vester... dabit spiritum bonum petentibus se? (Luc. XI, 13). Se voi, dice il Signore, che siete così cattivi e pieni d'amor proprio, non sapete negare ciò che vi chiedono i vostri figli, quanto più il vostro Padre celeste, che v'ama più d'ogni padre, vi concederà lo spirito buono, cioè quelle grazie che giovano allo spirito, sempre che gliele domandate?
12. Oh Dio, che molte volte le preghiere di certe persone tutte si riducono a grazie temporali! Ma no, dice S. Teresa: Non è tempo questo di trattar con Dio negozi di poca importanza.33 Cerchiamo le virtù, la luce divina per eseguire la divina volontà; cerchiamo la mansuetudine, la pazienza nelle cose contrarie, la perseveranza, l'amor divino, ch'è quel bene, come dice S. Francesco di Sales, che contiene tutti gli altri beni;34 cerchiamo la grazia di sempre pregare e raccomandarci a Dio. - Quas tuorum preces exaudis, dice S. Agostino, si has non exaudis? (De civit. Dei cap. 8):35 Signor mio, quali preghiere voi esaudite, se non esaudite queste, che son di tanto vostro compiacimento? Eh che Dio ha troppo desiderio di arricchirci
dei suoi doni, perché è bontà infinita; tanto che dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi che, quando noi gli cerchiamo le grazie, egli in certo modo ci resta obbligato e ci ringrazia, perché allora quasi gli apriamo la via di contentare al suo desiderio che ha di farci bene.36 Se manca, manca per noi, perché non lo preghiamo. Non merita dunque compassione chi resta povero; egli è povero perché non vuol domandare a Dio le grazie che gli bisognano. Perciò dicea S. Teresa ch'ella avrebbe voluto salire su d'un monte, da cui avesse potuto farsi sentire da tutti gli uomini, e di là non avrebbe voluto far altro che gridare: Uomini, pregate, pregate, pregate.37
13. Io non mi dilungo più su questa materia, perché, come dissi da principio, ne ho scritto a lungo in più luoghi e specialmente nell'Operetta che ho fatta della preghiera - libro di poca spesa che già va per le mani di molti; - e perciò non voglio recar tedio ad alcuno, che già l'ha letta, in ripeter le stesse cose. Del resto, io non farei altro che scrivere e parlar sempre di questo gran mezzo della preghiera; mentre da una parte osservo che le sante Scritture così del vecchio come del nuovo Testamento ci ripetono tante volte che preghiamo, cerchiamo e gridiamo, se vogliamo le grazie: Clama ad me, et exaudiam te (Iob, XXXIII, 3).38 Invoca me, et eruam te (Psal. XLIX, 15).39 Petite, et dabitur vobis (Matth. VII, 7). Omnia quaecumque orantes petitis, credite quia accipietis, et evenient vobis (Marc. XI, 24). Quodcumque volueritis, petetis, et fiet vobis (Io. XV, 7). Si quid petieritis me in nomine meo, hoc faciam (Io. XIV, 14). E vi sono mille altri passi simili. Io non so come più il Signore avea da spiegare il desiderio ch'egli ha di donarci le sue grazie, e la necessità che abbiam noi di cercarle, se le vogliamo. I santi Padri parimente non fanno altro che esortarci a pregare.
All'incontro, dico la verità, io mi lamento de' predicatori, de' confessori e degli scrittori, perché vedo che né i predicatori né i confessori ne i libri parlano quanto dovrebbero di questo gran mezzo della preghiera. Si leggano specialmente tanti Quaresimali stampati che vi sono; dove si trova una predica della preghiera? appena se ne ritroverà qualche parola scappata: ed io perciò ne ho scritto a lungo in tante mie Operette, e quando predico, non fo altro che dire e replicare: Pregate, pregate, se volete salvarvi e farvi santi.
È vero che per farci santi ci bisognano tutte le virtù, la mortificazione, l'umiltà, l'ubbidienza e principalmente la santa carità; e per acquistare queste virtù, bisogna usare anche gli altri mezzi, oltre la preghiera, come la meditazione, la comunione, le sante risoluzioni: ma se non preghiamo, con tutte le meditazioni, con tutte le comunioni e risoluzioni, non saremo né mortificati né umili né ubbidienti, non ameremo Dio, non resisteremo alle tentazioni, in somma non faremo mai niente di bene. Perciò S. Paolo, dopo aver numerate molte virtù necessarie al cristiano, dice: Orationi instantes (Rom. XII, 12); per significarci come avverte S. Tommaso in detto luogo, che per l'acquisto delle virtù che ci son necessarie, bisogna che attendiamo a continuamente pregare, perché senza pregare non avremo l'aiuto divino, che ci bisogna per esercitar le virtù.40
14. Concludiamo. Sorella benedetta del Signore, se volete dunque salvarvi e farvi santa, raccomandatevi sempre a Gesù Cristo, alla sua divina Madre, all'Angelo Custode ed a' santi Avvocati. Tenete continuamente aperta la bocca e vigilante il cuore a dire: Dio mio, aiutami: Dio mio, aiutami; Maria santissima, aiutami; Angelo mio Custode, santi miei Avvocati, aiutatemi.
- Diceva il gran Servo di Dio e gran missionario - defunto da pochi anni in Roma in concetto di santo - P. fra Leonardo da Porto Maurizio che noi non dobbiamo lasciar passare momento senza replicare colla bocca o colla mente: Gesù mio, misericordia: Gesù mio, misericordia. Queste parole, dicea, contengono insieme l'atto di dolore e la preghiera per più non peccare. E narra nella sua bellissima operetta Manuale sagro per le monache di aver egli conosciuto un uomo divoto che sempre replicava queste parole: Gesù mio, misericordia: e così spesso che talvolta in un quarto d'ora giungeva a ripeterle trecento volte.41 E lo stesso io consiglio a voi: procurate di praticare ancor voi questa preghiera, sempre che ve ne ricordate: quando vi svegliate, quando state all'orazione, quando vi siete comunicata, quando lavorate, quando passeggiate, quando state a mensa, quando state alla grata, replicate sempre: Gesù mio, misericordia; Gesù mio, misericordia. Ed allora intendete di dire: Gesù mio, io per li peccati miei meriterei l'inferno, ma fidata alla vostra misericordia, spero il perdono e la grazia di sempre amarvi. Gesù mio, aiutatemi.
E non vi scordate di raccomandarvi sempre alla divina Madre, che si chiama la tesoriera e la dispensiera delle divine grazie; che perciò esorta S. Bernardo: Quaeramus gratiam et per Mariam quaeramus; quia quod quaerit, invenit, et frustrari non potest (Serm. de Aquaeductu).42
«Si quis dixerit, Dei praecepta, homini etiam iustificato et sub gratia constituto, esse ad observandum impossibilia: anathema sit.» Ibid., Canon 18.