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Cap.31
Qualità che Alfonso ricercava ne' Parrochi, sua
rettitudine, e suo rigore per la residenza.
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Se per tutto era
sollecito Monsignor Liguori, e zelava l'onore di Dio, e la salvezza delle
Anime, maggiormente vedevasi in affanno, trattandosi far scelta di ottimi
Parrochi. Siccome un Parroco zelante, e
costumato santifica, ei diceva,
un'intera popolazione: così un altro, se non discolo, indifferente almeno,
attrasse quanto c'è di buono, e rovina mezzo mondo.
Non ricercava Alfonso
ne' Parrochi un alto sapere, ma una sufficiente scienza. Voleva, che versati
fossero specialmente nelle dottrine morali, e capaci a poter istruire il
Popolo. Avendoli tali, egli ne viveva soddisfatto; ma se mancava la scienza,
qualunque merito avessero avuto, non faceva per chiunque l'impiego di Parroco.
Assistendo un giorno
alla Congregazione de' casi morali, vedendo che un vecchio Parroco non sapeva
che si dire, non davasi pace. Avendo saputo di vantaggio, che anche distese se
li erano le risposte, e che avendo quelle nel cappello, neppure ci aveva colto,
maggiormente si vide in angustia. Stimò subito toglierlo dalla Parrocchia.
Volendo bensì risparmiar il male, che risultava ne' Figliani, e non offendere
il decoro del Parroco, perché uomo dabbene, lo passò nelle prima vacanza a
Canonico.
I concorsi per le
Parrocchie facevansi tutti, esso presente, e ne voleva l'esame a tutto rigore.
Vi fu cosa speciosa in uno di questi concorsi. Tra gli altri si presentò un
Sacerdote, anziano, e Confessore. Questi diceva, che per giustizia la
Parrocchia spettava a lui, e non ad altri. Esaminando Alfonso i respettivi
atti, rilevò in questo tale e tanta ignoranza, che non solo non ebbe la
Parrocchia, ma, con suo scorno, restò sospeso ancora dall'esercizio di
confessare.
Vi fu volta bensì, che
troppo afflitto restò per un concorso di Parrocchia. Uno de' candidati, oltre
la proprietà delle risposte ai quesiti di uno degli Esaminatori, additò le
pagine, non che i capitoli, e i paragrafi della sua morale; ma non così rispose
ai quesiti degli altri. Entrò in dubbio Monsignore, che i casi se gli fossero
comunicati. Non potendo venirne in chiaro, non davasi - 157 -
pace, e conferir gli dovette la Parrocchia, non
senza suo grave rammarico. Risentissi bensì, generalmente parlando, con gli
Esaminatori, facendoli carichi della propria obbligazione. Rilevò quale e
quanta reità contraggasi innanzi a Dio, se taluno, per loro colpa, prescelto si
vedesse Parroco, benché immeritevole.
Siccome voleva rigoroso
l'esame, così non soffriva la menoma ingiustizia. Vacata la Parrocchia di S.
Gio: Battista di Bucciano, tra gli altri eravi concorso il Sacerdote D.
Pasquale Diodato. Avvalendosi questi di Autori opposti al sistema morale di
Monsignore, gli Esaminatori lo puntarono.
Leggendo egli il concorso, meravigliossi
della condanna. Gli Autori, che seguita,
disse agli Esaminatori, sono classici, ed approvati; e
ripigliando questi, che le risposte non erano conformi alla sua Teologia
Morale: Io non sono uomo, che fo legge, disse
Monsignore; ed in materia di opinione,
quendo la Chiesa non le ha condannate, ogn'uno è padrone di sostenere la
propria. Prese le parti del Diodato, e n'ebbe il magis colla provista della
Parrocchia.
Essendo vacata la
Parrocchia di S. Angelo in Mungulariis, oltre tanti Sacerdoti, vi concorse
anche il Diacono D. Angelo Stasi. Questi si portò meglio di tutti. Se ne
compiacque Monsignore. Considerando però l'anzianità, ed altro merito in un
Sacerdote, che eravi concorso, pregò il Diacono a voler pazientare per quella
volta; e lo fece con tal sommessione, che restò confuso quel giovanetto, e più
confusi gli Esaminatori.
Ma se la carità lo spinse a preferir il Prete, giustizia volle che non si
attrassasse il Diacono. Ritrovandosi vacante nel tempo istesso la Parrocchia
della Cattedrale di nomina del Capitolo, Monsignore scrisse subito con impegno
all'Arcidiacono Rainone, e chiese in grazia al Capitolo, che a suo riguardo si
fosse data la Parrocchia al Diacono Stasi. Come pregò, così ottenne.
Anteponeva bensì alla
dottrina il costume. Avendolo pregato il Principe della Riccia, voler ammettere
al concorso di una Parrocchia un Sacerdote suo vassallo, benché dotto, n'ebbe
la negativa.
"Il detto Sacerdote fin'ora, scrisse al Principe, è stato uomo inquieto, e
di poca edificazione. Non voglio riferirli le particolarità, per non tediarla.
Anch'egli è venuto a pregarmi, e ripregarmi; ma per ora che abbia pazienza, non
stimandolo a proposito per esser Parroco. Avanzato che si farà nell'età, ed
avendo dato esperienza di sua maggioratezza, non mancherò promuoverlo".
Faceva più conto
Alfonso, ed aveva per ottimo Parroco un Sacerdote, se vi concorreva colla
mediocrità del talento, un vivere molto esemplare. "I grandi talenti,
soleva dire, non se la fanno coi vivi, ma coi morti. Tutte sono erudizioni, e
speculazioni. Se predicano non si fanno capire; ed avendo a sdegno ad
dottrinare i figliuoli, non consegnano questi, che a qualche Chiericastro. - 158 -
Io voglio, che si
fabbrichi il Parroco in faccia ad un moribondo, e che si spassi con un rozzo,
imboccandoli il Pater Noster".
Così posponeva i
pretensori audaci a gli umili, e sottomessi. Guadagnavasi il cuore di
Monsignore, ed era preferito a tutti, chi non pretendeva, e vedevasi sedere tra
gli altri nell'ultimo dello scanno. Vacò la Parrocchia dell'Annunciata, o sia
la Vicariale, come dissi, da esso stabilita, e concorso vi era di varj
Soggetti.
Tra i tanti si presentò per ultimo, ma freddamente, e senza farci premura, il
Sacerdote D. Francesco Ratta. Monsignore considerandolo meritevole più di
tutti, pospose ognuno, e diede a questi la Parrocchia. Singolarmente dignus, disse, et dignior, quia non petiit.
In Airola, essendo
Parrocchiale la Chiesa de' Padri Olivetani, se li presentò per Parroco
dall'Abbate Caracciolo un Sacerdote, avendone Egli il jus di presentarlo. Meravigliossi
Monsignore, vedendosi proposto soggetto tale, che sapevasi altiero, e rissoso,
e che sopratutto aveva indoverosamente inquietato, e litigato col propio padre.
Se ha malmentato il Padre, disse
all'Abbate, come posso darlo per padre ai
poveri Figliani.
Volendo l'Abbate
sostener il prete, e non restarci di sotto, procurò attestai da mezzo mondo.
Insistette, e non lasciò mezzo per ottenere l'intento; ma Monsignore si rese
inflessibile, e presentar dovette altro soggetto. Inimico, e troppo formalizzato
restò l'Abbate, ma Monsignore, sicuro della propria coscienza, non si diede per
inteso.
Non solo badava
Monsignore al costume, ed alla dottrina, ma esaminava benanche l'attitudine,
per disimpegnarsi. Troppo prevaleva in lui il discernimento, e la prudenza. Un
uomo santo, ma freddo, o tanto santo, che solo badasse a se, e non curasse gli
altri, non avevalo Alfonso per un buon Parroco.
Essendo vacata la
Parrocchia di S. Tommaso, gli fu proposto il Mansionario D. Mattia Conegno,
soggetto avanzato di età, molto capace, e di costumi illibati. Ognuno già
l'aveva per Parroco; ma non fu così. Conoscendolo Monsignore uomo di poco
spirito, come lo era, ed essendo i Figliani di quella Parrocchia gente altiera,
e quasi selvatica, stimando, che volentieri l'avrebbero resistito, attrassò
questo, e fe scelta del Mansionario D. Giovanni Fusaro, ancorché giovanetto, ed
asceso di fresco al Sacerdozio. Scelse questo, perché di maggior petto, coi
Figliani, e più valido per resistere alla fatica.
Come previde, così fu. Indefesso fu il Fusaro nell'oprare, si faceva stimare da
tutti, e riuscì un ottimo Parroco, con soddisfazione del pubblico, e con
compiacimento di Monsignore.
Ebbe in mira fin dal
principio, per aver buoni Parrochi, mettere in su le Parrocchie. Questa condotta
tenne in Napoli l'Eminentissimo Spinelli, passando i Parrochi a Vescovi: questa
istessa tenne Alfonso, passando i Parrochi
a Canonici. Tempo innanzi, si può dire che non - 159 -
concorrevano per le Parrocchie, che gli ultimi del
Clero, e per lo più dozzinali e di niun ranco. Con questo suo fare, facendo
vedere, che le Parrocchie erano scalini per il Canonicato, vedevansi i primi
Gentiluomini abilitarsi, e presentarsi ai concorsi. Così disimpegnate vedevansi
le cure con zelo, e con profitto delle Anime.
Essendo vacato un
Canonicato spettante al Papa, Monsignore si determinò per due Parrochi. Restò
malcontento il Cancelliere, non vedendosi considerato.
Monsignore avendoselo chiamato, li cercò scusa, se non dimostravasi impegnato
per lui, "Io vi voglio bene, gli disse, conosco ed ho in mira le vostre
fatiche; ma questa volta, per giusti riflessi, mi ho dovuto sbilancire per i
Parrochi, affinché questi maggiormente si animino affaticare: pazientate, che
non mancherò situarvi".
Restò deluso Monsignore; ed il fatto fu, che il Cancelliere si ajutò in Roma,
ed ebbe il Canonicato. Non ne provò dispiacere Alfonso, che anzi n'ebbe
compiacimento: E' stata la Madonna, disse, che vi ha conolato. Così è: Voi siete
poveretto, ed avete grossa famiglia.
I Sostituti ancora, per
esser tali, dovevano anch'essi avere, quasi che i Parrochi, le medesime
qualità, cioè dottrine e costume. Sostituto,
viene a dire, ei diceva, che supplir
deve le veci del Parroco. Questi girano per gl'infermi, e per le case; se non
si sanno disimpegnare, e non sono moriggerati, non sono di ajuto, ma di peso.
Avendo egli obbligato il Parroco della Chiesa
di S. Felice, perché vecchio, e pieno di acciacchi, a mettersi un sostituto, si
riserbò, e facevalo con tutti, la scelta da farsi. Varj soggetti li venivan
proposti, e chi prese un impegno, e chi un altro. L'economo, disse Alfonso, è
fatto, e me l'ho cresciuto in Seminario. Essendosi spiegato, era un ottimo
giovane, di fresco ordinato Sacerdote. Se
non l'incappo mò, disse, questo
dandosi all'ozio, e a divertirsi, si dissiperà, con perdita di quanto ha fatto
in Seminario, ne più piegherà il collo al gioco di faticare per le anime, e per
la Chiesa.
Siccome Monsignore fu
sollecito per la congrua ai Parrochi, così poi era rigoroso per la Residenza.
Non poteva soffrire, come già dissi, veder un Parroco lontano dalla Parrocchia,
e permettersi dai Vescovi, che anche escano per i Quaresimali, quando nella
Quaresima bisognano piucché mai nella propria cura.
Ritrovandosi un Parroco
compromesso per il Quaresimale nella Terra di Biccari, ed essendo andato per la
licenza da Monsignore, rotondamente ce la negò. Quando volevate fare il Quaresimalista, li disse, non dovevate concorrere per la Parrocchia.
Pregò, ed invano rappresentò lasciarci ottimo sostituto. Non vi vogliono Sostituti, disse Alfonso, il Parroco è il Pastore, e non deve mai appartarsi dalla Parrocchia,
molto meno nella Quaresima. Per quanto il Parroco avesse insistito, e
pregato, non si smosse Monsignore dalla negativa.
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Facendo premura le
Monache in Arienzo, per avere un Parroco da Straordinario, per lo stesso motivo
anche lo negò. Entrato poi in altro scrupolo, lo diede con suo dispiacere. Non sò, disse, che bisogno ci può essere.
Volendo cambiata in
meglio la prebenda, che aveva il Canonico D. Tommaso de Curtis; ed avendo
portato per proprio merito l'esser stato per l'addietro, con suo grave
incomodo, Parroco, e Maestro nel Seminario: "Non è questo merito per Voi,
ma demerito", li disse Alfonso. Parroco, e Maestro in Seminario! come
potevate assistere ai Figliani. Lo compiacque, ma per altri meriti, che aveva,
non per quelli, che vantava, e che credeva i massimi.
Avendo eletto il
Capitolo per Parroco della Cattedrale il Sacerdote D. Domenico Russo, che in
atto era Maestro delle pubbliche scuole, se ne consolò Alfonso, perché troppo
degno; ma seguitando il Russo l'impiego delle scuole, avendoselo chiamato, fe
sentirli, non esser competente l'impiego di Maestro con quello di Parroco. Il Parroco, li disse, deve esser sbrigato da tutto, per esser
pronto a qualunque richiesta de' Figliani.
Fu questo nel mese di
Novembre, e ritrovandosi convenuto il Russo col pubblico, pregò volerseli
permettere la scuola fino ad Agosto. Non si piegò Monsignore; anzi risoluto li disse: Se non vi sbrigate voi coll'Università, vi
obbligherò io a farlo.
Se spesso vedevasi in
Città un qualche Parroco de' Casali, non era lento Alfonso a chiamarlo; e tanto
era informarsi, come passava la cura, e raccomandarli la residenza, che farli
capire non gradirlo lontano. Avanzavasi a riprensioni, e rimproveri, se senza
causa vedevalo continuare: molto più se sapeva esservi persone inferme, e
travagliate a letto, o qualche scandalo non ancora estirpato.
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