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Cap. 34
Promuove Alfonso la divozione nelle Claustrali; abusi
vecchi estirpati, e suo zelo per impedirne i nuovi.
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Con ugual zelo
Monsignor Liguori, che si adoprò per li Ministri dedicati al culto Divino, adoperossi
ancora per la santificazione delle Monache Claustrali, come persone anch'esse
consacrate a Gesù - Cristo. - 171 -
Se rimetter non poteva, come desiderava, le Comunità Religiose nella pristina
osservanza, cercò per lo meno infervorarle nella pietà, e non vederle decadute
dallo stato, in cui si trovavano. "Se facciamo questo, ei diceva, non è
poco". Così spiegavasi; ma non lasciò togliere quegli abusi, che poteva,
ed impedirne de' nuovi.
Subito, che pose piede
in Diocesi, avendo chiamati il P. Villani, ed anche altri Missionarj da Napoli,
fe dare gli santi Esercizj ne' rispettivi Monasteri. Questi fece
indispensabilmente perplicare ogn'anno dai nostri, e da altri, e non essendoci
Missioni, servivasi dei PP. Cappuccini, Samuele, e Cipriano, o da altri
riguardevoli Religiosi.
Stimava Alfonso gli
santi Esercizj il mezzo de' mezzi, anzi l'unico per santificarsi le Anime.
"In questo fuoco così vivo,
qualunque ferro, diceva, irruginito
che sia, rendesi molle, e purificato. Ritrovandosi in Arienzo, e non
volendo aggravare di spesa qualche comunità, complimentava esso in Palazzo, e
teneva presso di se il Predicatore. Questa cultura mancava nei Monisteri, o se
avevasi, non era che di rado, e passagiera.
Grande fu il frutto,
che ritraevasi; e se erbaccia allignar vedevasi in questi giardini di S.
Chiesa, con questo mezzo inaridiva, e sbarbicavasi.
Spesso spesso cogliendo
l'occasione, portavasi di persona ora in uno, ed ora in un altro Monistero, e
per tre, o quattro giorni rilevava alla grata le comuni obbligazioni. Facevalo
con a fianco un'immagine di Maria Santissima, animando le Monache all'amore di
Gesù - Cristo, e ad una speciale confidenza verso la Vergine.
Soprattutto
invogliavale alla frequente Comunione, facendo vedere i tanti beni, che si ricavano
da questo Divin Sacramento. Questo è un
fuoco, ei diceva, che consuma in noi
ogni lordura. Con questo mezzo si viddero anime innamorate dell'Orazione, e
dell'annegazione di se stesse, e da una vita ordinaria, elevate a vita più
perfetta.
Un giorno in Airola,
avendo caricata la mano sopra certa materia, li fu detto, essersi lagnate le
Monache, che erasi spiegato di soperchio. Ne sorise Monsignore; "e che
doveva dirle, rispose, che erano sante? quando si predica, si predica a tutte,
e si deve sopporre quello che non v'è".
Considerando le
Claustrali come porzione la più cara di tutto il suo gregge, non solo non
trascurava mezzo, per vederle santificate, ma invigilava, come buon pastore,
che i lupi ne stassero lontani. Le grate per esso erano tante spine, che li
trafiggevano il cuore. Grata chiusa, e
non frequentata, ripeteva, Monistero
santificato; grata aperta, e frequentata, Monistero dissipato, e Dio non voglia
di peggio. Inculcava, che le Badesse, e molto più i Vicarj vi avessero
invigilato.
Qualunque
inconveniente, benché menomo, voleva saperlo, e davaci subito il riparo. Fuori
de' parenti in secondo grado, non voleva frequanza di altre persone.
Soprattutto era egli ritenuto per gli Ecclesiastici, e molto più - 172 -
se Religiosi. Posto in salva la grata, ei diceva, poco ci resta da fare colle Monache.
Se guardigno, e
sommamente cautelato era in permettere a chiunque l'accesso a Monisteri,
maggiormente lo era coi suoi. Per tutti era delitto l'accostarvi, qualunque ne
fusse il pretesto. Solo col Vicario non ci era restrizione.
Avvisato, e non
essendosi emendato un suo Secretario, che di soppiatto ci andava, ancorché caro
li fusse, anzi necessario, solo per questo motivo se ne sbrigò. Godette di un
altro inviatoli da Monsignor Borgia. Anche questi scappar soleva in un
Monistero di volta in volta. Non tanto il seppe Alfonso, che intimolli di
partire. Vedendosi licenziato, se li butta ai piedi, pianse, promise, ma non vi
fu pietà. Avendo interposto la mediazione dei medici D. Salvatore di Mauro, e
D. Nicolò Ferraro, l'uno e l'altro ebbero la negativa.
Le Monache medesime anche avanzarono supplica, ma fu questo per esse il massimo
delitto. Se la legge non tiene, disse
Alfonso, per li familiari del Vescovo,
non tiene neppure per chiunque.
Compiacque Alfonso,
avendolo pregato un Gentiluomo in Napoli suo divoto, voler ammettere tra proprj
familiari un di lui figlio, per così averlo esente da qualunque inciampo.
Perché attento il giovine, e costumato, amavalo Monsignore, e compiacevasene.
Standosi in Arienzo, s'arbitrò frequentare un Monistero. Corretto, e non
emendato, qualunque fossero le riproteste del giovine, e l'amorevolezza, che
Monsignore avesse per il Padre; sul punto che seppe, ed erano, nel mese di
Luglio le quattro della notte, non mancò incalessarlo, e rimandarlo in Napoli.
Cautelato, e sommamente
cautelato era in destinarvi i Confessori. Se Monsignor Liguori fosse stato
Papa, meno difficoltà avrebbe incontrato in presceglier un Vescovo, che
destinare un Prete, o Frate per Ordinario alle Monache. Esame non vi era, che
bastasse. Contrapesavane i gesti, le parole, e potendo anche i sensi interni.
Terminato il triennio,
dovevano questi cambiarli; e se talvolta, mancando i Soggetti, riconfirmar
doveva taluno, nol faceva, che con ritegno, e con sua somma pena. Avendo chi
sostituirvi, qualunque fossero le premure delle Monache, mai non condiscese per
la conferma.
Aveva a sacrilegio
veder frequentata la grata da taluno di questi. Iddio parla nel Confessionale, ei diceva, non già nelle grata. In certi giorni segnalati soffriva per questi
qualche discreta attenzione; ma detestava, e non accordava frequenza di regali,
e questi dalla comunità, e non in nome delle particolari.
Godeva quando sentiva,
che qualche giovinetta educanda consecrar volevasi a Gesù-Cristo. Volava, e
lasciava tutto, per esser pronto a quella funzione. Vi predicava con piacere; e
siccome encomiava i pregi della verginità, ed il gran bene che seco porta lo
stato religioso, così - 173 -
rilevava
il gran conto, che una religiosa dar deve a Dio, non corrispondendo ai doveri
della propria professione.
Per queste funzioni non
vi era eccezione di persona. Tante volte anche invitato per la professione di
qualche conversa, non negò portarvisi. In senso suo tutte erano spose consacrate
a Gesù - Cristo. In queste occasioni non è che esatto avesse qualunque danaro
per l'accesso, o permesso usarseli qualche attenzione, ancorché picciola. Il Vescovo, diceva, se ha la congrua, l'ha pel suo mantenimento, e per disimpegnare il
proprio ministero.
Invitato per la
vestizione delle due germane di D.Gio: Manco, Sacerdote, e Gentiluomo di
Airola, rispose, che accettava l'invito, sì per corrispondere alla di lui
cordialità, che per adempiere al proprio dovere; Appartiene a me, disse, ed è
mia obbligazione come Vescovo il consacrare a Dio queste vittime di amore.
Un altro solletico per
lo spirito ei diede alle sacre Vergini, e fu introdurre nelle loro Chiese
alcune sacre funzioni, che vie più eccitar potevano all'amore di Gesù Cristo. In
Arienzo nel Monistero dell'Annunciata, introdusse ogni Sabbato, come dissi,
l'esposizione del Venerabile, ed il sermone in onore di Maria Santissima:
mancandoci esso, supplivasi la predica dai due Padri Cappuccini, Samuele, e
Cipriano. Così in quello di S. Filippo il sermone in tutte le Domeniche di
Quaresima con l'Esposizione.
Voleva, che per la
coscienza avessero avuto le Monache tutta la libertà. Ancorché non se li
richiedesse, non mancava dar loro ogni quattro mesi lo Straordinario; ed
essendo questo di altro Casale, o terra, mentre stiede in Arienzo, con suo
piacere tenevalo a tavola.
Era suo sentimento, che
quante volte richiesto avesse la Religiosa un Confessore, altrettante se le
dovesse dare. "Quando la Monaca cerca lo Straordinario, diceva Alfonso,
segno è, che non ha confidenza coll'Ordinario; e se la coscienza le rimorde,
può fare mille sacrilegj". Non davasi pace, avendo inteso, che un Vescovo
era ritenuto in questo, e che in un Monistero vi erano Monache, che per mesi e
mesi, ed anche per anni attrassavano la
Confessione.
Attestava egli
medesimo, che stando moribonda in un Monistero una Religiosa, e persistendo il
Vescovo in negarle un Sacerdote, che quella desiderava, disse negli estremi, io
me ne muojo dannata, e che disperata se ne morì. Avevasi per regola in un altro
Monastero di non scrivere fuorchè all'Ordinario. Monsignore avendosi chiamato
la Superiora, volle che negato non si fosse, sempreché facevasi a Confessori
probi, e da essa conosciuti.
Ove potette, non mancò
con maggior profitto riordinare l'osservanza. In Airola, per le circostanze de'
tempi, e per la rigidezza della Regola, molte cose non erano in osservanza tra
le Monache Francescane. A che serve, disse Alfonso, tener scritto di una
maniera, - 174 -
ed
osservarlo in un'altra. Riformò la Regola, e diedela alle stampe. Vi tolse
tutta la rigidezza, così mi scrive Suor Maria Felice Lucca; e fecelo il Servo
di Dio per nostro maggior bene spirituale, e perché ora tutto si osserva,
quanto da esso fu stabilito.
Vedesi Alfonso, in questa Regola riformata, un altro S. Francesco di Sales.
Ammirasi specialmente la gran prudenza che possedeva, adattandosi ai bisogni
comuni, e non stirando la corda più, che non conviene. Recitar solevano la
mattina quelle Monache matutino con le Laudi, ed indi per un'ora attendevasi
alla meditazione.
Considerando Monsignore
il tedio, che seco porta una lunga applicazione, e che le Converse,
ritrovandosi incaminate nelle proprie faccende, restavano per lo più senza il
beneficio della meditazione, stabilir voleva di sera la recita dell'Officio,
per ritrovarsi la mattina Monache e Converse all'Orazione comune. La novità
dispiacque; e suddivise si videro le Monache in opposti sentimenti. Non
volendole contristare, condiscese, che per lo meno recitato si fosse di sera
dai 4. di Ottobre, fino a tutto Aprile. "Fo come volete, lor disse, ma ve
ne pentirete"; e sento che di fatti se ne siano pentite.
Gemevano queste Monache
Francescane sotto un giogo, che col corpo opprimeva lo spirito.
L'amministrazione delle rendite, e la compra de' generi non stava presso le
Monache, ma presso i Governatori, che loro si davano. Questi provveder
dovevanle di quanto bisognava. Sciagurate erano le provviste, e per lagrima di
Somma computavasi l'aceto. Alfonso, fattosi carico dell'inconveniente, e tale
che talune pentivansi di essersi monacate, implorando il braccio del Principe
della Riccia, tolse i Governatori, e pose l'amministrazione in mano della
Badessa. Respirarono le Monache; comune fu il compiacimento, e maggiore in
Alfonso vedendole contente.
Avrebbe voluto il
piacere veder stabilita in qualche Monistero la vita comune. Riflettendo, che
in uno di quelli sistemar si potesse, credeva effettuarlo. Ardua impresa!
Essendosi dichiarato, si opposero le Monache con grave risentimento. Non volle
obbligarle, vedendo, che risultava più male, che bene: Quietatevi, lor disse; avealo
detto per vostro bene; non stimandolo, non sia per detto. Avea per massima,
che ove tutto concordemente non convengono, una ch'è scontenta, col tempo fa
partito, disordini vi nascono, e con questo va in ruina ogni altro bene. Non si
offese per il risentimento; ed il dì susseguente con maggior placidezza fu di
nuovo in Monistero.
Col bene, che
sforzavasi promuovere, impegnato vedevasi in togliere gli abusi, che vi
regnavano. Costumavasi tra le Francescane in Airola, che vestendosi, o
professando una figlia, quella riceveva il giorno, sedendosi alla porta, i
complimenti de' parenti, ed amici.
Considerando Alfonso il dissipamento, non meno della nuova Religiosa, che
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delle altre, e volendo,
che quella, come giorno di grazie perché di sponsalizio, stasse raccolta e non
dissipata, ordinò, che non si aprissero dopo pranzo né le grate, né la porta; e
volle, che in tal tempo si esponesse in Chiesa il Venerabile, affinché stassero
tutte raccolte, e la sposa, con modo speciale, atteso avesse a meritarsi delle
nuove benedizioni.
Non era meno un altro
inconveniente. Professando, o vestendosi Novizia una giovanetta, era in costume
darsi pranzo nel parlatorio a' parenti, ed amici. Tutto era taverna. Avendo
professato un giorno due figlie di D. Caterina Lucca, Gentildonna di S. Agata,
Alfonso preintendendo l'apparato fatto in porteria, inorridì, e sul punto
strettamente lo proibì. Ripregato da D. Caterina e dalla Badessa, non fu per
condiscendere. Fattoseli presente la grave angustia in cui vedevasi la
Gentildonna, ritrovandosi fatto l'invito a parenti, ed amici di diversi luoghi,
e non avendo casa propria, non aveva come ripararci. Condiscese, a patto bensì,
che ferrate si fossero le grate, e la porta, e che le chiavi si conservassero
dalla Badessa. Permiselo per questa volta; nè ci fu mai più esempio in
contrario.
Dice il Rituale delle
Monache Rocchettine in Arienzo, che professando la Novizia, proferir deve la
formola de' voti nelle mani del proprio Vescovo. Scioccamente intendendosi,
costumansi nell'atto della professione mettersi le mani della giovanetta in
mezzo a quelle del Vescovo; come se i voti Religiosi effettuar si dovessero con
tatto fisico delle mani, e non col cuore, e colla bocca.
Professando una Novizia; ed essendo quella per profferir la formola de' voti,
il Maestro di cerimonie suggeriva a Monsignore, che posto avesse le mani nel
comunichino. Non sapendo il mistero, non capiva, nè sapeva che si fare.
Insistendo il Canonico, e dicendoli che la Novizia proferendo i Voti, tener
doveva le proprie mani nel mezzo delle sue, spaventato non finiva ripetere:
Gesù, Gesù: che ha che far questo, ei
disse, colla professione: Essa si tenga
le sue mani, che io mi tengo le mie. Avendo richiesto, se sempre così erasi
fatto, o dettosegli esser antico il costume, e che così erasi inteso il Rituale
dai Vescovi predecessori, non finiva ammirare una tanta stravaganza. Spiegò il
senso del Rituale, e proibì in seguito sì fatta cerimonia.
Il canto figurato
interdetto ne' Monasteri con tanti decreti di Roma, era in voga più che non si
crede in una della Diocesi. Proibillo Alfonso così in questo, che negli altri,
e che fatto si fosse uso del Gregoriano. La
Chiesa non è teatro, disse, nè le
Monache sono cantatrici da scena. Con maggior vigore nelle festività proibì
i mottetti, e potendosi qualche cosa cantare da più, che non si facesse con una
voce. Permise bensì le lezioni della Settimana Maggiore. Ciò non ostante
qualche - 176 -
intercetto
non vi mancava.
Una sera cantandosi in
Chiesa le Litanie della Vergine a canto figurato da una Religiosa, capitò
Monsignore. Avvedutasi la Monaca del suo arrivo, voltò subito a Gregoriano. La
finse; ed essendo andato alla grata, scherzando disse: "già mi voleva
gabbare; cantava figurato, e subito l'ha voltato a canto fermo. Non va bene; io
l'ho proibito, perchè non conviene". Meglio spiegandosi, soggiunse:
"il canto figurato è un richiamo di persone libertine, non per divozione,
ma per la Monaca, che canta: e chi non vede, che si dà causa a tanti difetti, e
peccati".
Intorno al canto
abbiamo due profezie. A capo di tempo chiese di essere ammessa per Conversa in
questo Monistero, una giovanetta figlia di un Maestro di Cappella. Lo gradirono
le Monache, perchè maestra nel canto figurato. Esposero bensì a Monsignore che
volevanla, per ammaestrarsi nel canto fermo le Novizie, e le giovanette
educande. Ve l'accordo, disse, ma non vi dura. Di fatto tra poco
tempo se ne uscì. Avendo fatta istanza per un'altra anche addottrinata nel
figurato, né anche questa ci persiste,
sorridendo disse Monsignore; ed a capo di pochi mesi fe ritorno a casa. Entrate
in se le Monache, si vede, dissero, che né Iddio, né Monsignore benedicono la
nostra doppiezza. Così fecesi un fermo proposito di non pensarsi mai più al
canto figurato.
Abuso v'era in qualche Monistero,
per non dire tra tutti, d'introdursi i bambini, e qualche fanciullo avanzato in
età. Oltre del Concilio di Trento, che strettamente lo vieta, Alfonso anche ci
fe peso con la sua proibizione, rilevando a voce alle rispettive Superiore i
gravi inconvenienti. Avendo voluto le Monache della Annunciata in Arienzo
Alfonsino suo nipote, volle che dalla grata, e non dalla porta si fosse
presentato, avvertendo all'Ajo non fare il contrario.
Non tutte le cose però
li venivano così prospere, com'egli se le pensava. Visitando una Clausura,
sputò che due finestroni del belvedere mal convenivano, perché in faccia ad una
casa secolare. Odorarono subito le Monache ciò che dir voleva; e non fu parola
detta che si viddero sossopra. Una tra le altre, omettendo ogni riguardo, non
ebbe ribbrezzo resisterli e dirli in faccia: Monsignore non ci vogliono tante
chiacchiere: noi armiamo la Croce, e ci portiamo ai piedi del Re. A questo
inaspettato complimento, Alfonso temendo di peggio, "quietatevi lor disse,
siate benedette, non vi inquietate, che non sono per darvi disgusto". Mutò
parola, e con tutta placidezza ripigliò altro discorso.
Se cercava estirpare i
vecchi abusi, maggiormente stava guardingo, che non s'introducessero de' nuovi.
D. Caterina Lucca avendo una figlia nel Monistero di Airola confinata in letto,
ottenuto avea dal Papa potervi entrare una volta l'anno, e trattenervisi a
piacere dalla mattina - 177 -
fino
a sera. Avendo mandato il Breve a Monsignore, per farcelo osservare, prima di
spedirlo in Napoli per il Regio assenso, leggendoci Alfonso la clausola arbritrio Ordinarj, e considerando, che
altri, con disordine della Clausura, avrebbero preteso lo stesso, disse
all'inviato: "Dite a D. Caterina, che sospenda per ora, e poi faccia ciò
che vuole se io muojo, o rinuncio. Vedendosi insistito, non posso, disse,
perché ci ho scrupolo. Il Papa, se voleva, poteva accordarlo liberamente; ma
rimettendosi a me, non posso, né voglio, perché ci prevedo inconvenienti".
Erano nell'impegno
alcune Religiose voler aprire altre gelosie, che sporgevano nella strada.
Monsignore essendone richiesto, rotondamente fu negativo. Persone di autorità
già incominciavano a frapporsi. Vedendosi accerchiato fe sentire alle Monache,
se non volean darli grave disgusto, che desistito avessero da un tale impegno,
perché
non era per permettere ciò, che non conveniva.
Acchetaronsi e si diedero in dietro le Monache, vedendolo inflessibile, e
risoluto.
Volendo godere le
Monache Rocchettine di Arienzo maggior aria, erano risolute di fare un piccolo
belvedere sopra la porta anteriore della Chiesa. Supplicato Monsignore e
volendo informarsi, se conveniva, o no, vi destinò il Vicario, i due soliti
Architetti Napoletani, che ritrovavansi con lui, i Governadori, ed il
Confessore. In sentire, che il belvedere incontravasi colle finestre de' PP.
Agostiniani, diede subito la negativa. Avendo anch'esse le Monache conosciuto
l'inconveniente; anzi per far vedere, che non restavano amareggiate, essendosi
sottoscritte in un foglio, si professarono ubbidientissime a tutti i suoi
voleri.
In quei tempi
facilmente permettevasi dal Papa qualche uscita alle claustrali. Talune in
Diocesi, non riflettendo le triste conseguenze, già disponevansi per un tale
permesso. Avendolo subodorato Alfonso, spiegossi, che ne facessero a meno.
"Rimettendosi il Papa all'Ordinario, io non farò mai, disse, per
accordarlo. So io quanto puzzano queste uscite, e per lo meno evitar non si può
una somma dissipazione".
Aveva Alfonso alla mano una provvista di negative, per
quello non conveniva. Essendosi lagnate alcune Monache, che niente permetteva
di quanto chiedevano, e già ottenute avevano tre susseguite negative, "Che
dimandino, disse, cose giuste, e di decoro, che non farò per negarle; ma se
tante dimande mi si faranno di cose non proprie, altrettante volte farò per
negarle".
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