Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Deposizione Bosatta
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Deposizione sulla serva di Dio suor Chiara Bosatta (1912)

‹Vita religiosa›

Sessione V - 9 agosto 1912

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Sessione V - 9 agosto 1912
XX. (In prosecutione interrogatorii)[104v]Dopo questo interrogatorio il pretore dichiarò tantosto il non luogo a procedere, e le due accusate tornarono prosciolte e contente al loro ospizio. Cammin facendo si incontrarono collo stesso sacerdote Rizzola il quale le richiese: « Dove siete state? ».
« Dal pretore ».
« A che fare? ».
« Ma ci ha chiamate per l’accusa [105r] fattaci di infliggere dolori e piaghe alle nostre orfanelle ».
« Ma chi sarà mai stato a dire queste cose? ».
« Ma ci ha detto il signor pretore che è stato lei ». Il sacerdote arrossì e se ne andò. Un anno preciso dopo e all’istessa ora il prevosto Rizzola, dalla chiesa rincasando dopo aver celebrato la santa Messa, veniva colto da paralisi che trascinò per alcuni anni fino a morirne fuori di diocesi, cappellano al parco - 652 -reale di Monza. Ma posso accertare che in tutto questo frattempo, anche allora che veniva il discorso sull’increscioso incidente, ella che aveva accettato la prova con la più perfetta uniformità al volere di Dio, e pur essendo di carattere sanguigno, non fu mai che dicesse sillaba di recriminazione, limitandosi a pregare e compatire.
Parimenti so che per parole di suo fratello Tranquillo e di altri avversari della pietà nel paese le consorelle dell’ospizio venivano frequenti volte ingiuriate e dileggiate, come tutte le persone che praticavano gli esercizii di pietà cristiana. Aggiungo che io stesso ho ricevuto, sempre in proposito [105v] della favorita pietà in parrocchia, parecchie lettere minatorie, si suppone dal predetto fratello della Serva di Dio (che poi finì poco bene in America). Accadde inoltre che si facessero degli sfregi verso il venerando sacerdote Coppini, sempre per l’avversione marcata alla pietà in paese, fino al punto che certo Mazzucchi, segretario comunale e zio della Serva di Dio, si permise di andare in chiesa e strappare dal confessionale il sacerdote stesso, non tralasciando di inviare anche alla regia prefettura reclami contro questa così detta da loro « bigotteria da beghine ». Per colmo di maltrattamenti verso l’anzidetto sacerdote, alcuni mal intenzionati a sera inoltrata si appostarono e con dei sacchetti di sabbia percossero malamente sullo stomaco il medesimo, così che dopo qualche anno ne ebbe, come si ritiene in conseguenza, a morire. Accuse e reclami ostili, sia dinanzi al pretore come dinanzi all’autorità prefettizia, ne ebbi a subire parecchi ancor io con qualche chiamata dinnanzi al prefetto della città, signor Guala, e per il cosidetto mio intransigentismo, [106r] per le prediche, per l’oratorio festivo e simili. Ben inteso che tutte queste malversazioni erano sentite di contraccolpo con vero dolore dalle pie ricoverate in genere e dalle consorelle, dalla serva di Dio Dina soprattutto, e non pertanto essa non si lamentò mai; in questa vece raddoppiò di intensità le sue preghiere e i suoi intimi sacrifizi in piena uniformità al volere di Dio per ottenere la conversione dei peccatori.
XXI.
a) So che la Serva di Dio, come ultima nata di 11 figli e gracile per costituzione, soventi volte andava soggetta a delle - 653 -infermità più o meno gravi; ebbe in particolare a soffrir molto per una cosiddetta granulosa o congiuntivite agli occhi, della quale infermità non per sé, ma per il pericolo di contagio alle sue compagne si rammaricava, soffrendo però essa con tutta rassegnazione i dolori. A questo proposito aggiungo che almeno due volte la accompagnai da uno specialista chirurgo a Menaggio, ove assistendo io pure alle operazioni del medico che le rovesciava le palpebre e le tagliuzzava [106v] le pustole sgorgandole copioso sangue, ella più che asciugarsi col fazzoletto il volto non faceva, e mai emise lamenti né fece contrazioni di sorta sotto gli stessi atti operativi. E volendo io condurla a riposarsi alquanto, essa mi pregava di lasciarla subito ritornare al suo Pianello dicendo che ella si sentiva bene, e giunta all’ospizio neppure faceva alcun cenno delle operazioni dolorose subite, per quanto il medico che l’aveva operata, vedendola soffrire senza alcun lamento avesse dichiarato: « Ma questa è un’agnella che ha una forza di leone ».
Di pene interne, agitazioni, scrupoli, timori, eccetera, so che ne ebbe a soffrire così tante e a lungo da sentirsene morire, così che io stesso assistendola in varie circostanze, specialmente di malattia e dell’ultima in particolare, non sapevo rendermi ragione come tanto si potesse soffrire e senza un minimo lagno da lei che sapevo creatura innocente, mentre cotali pene avrebbero fatto disperare una persona che non [107r] avesse avuto la sua grande virtù. Aggiungo che ciò che mi impressionava ancora più profondamente in tali circostanze era di vederla in tanta tranquillità e pace invariabile. Le sue pene di spirito venivano poi da lei tollerate senza che ne facesse mai parola con chicchessia, per quanto le persone che l’avvicinavano facilmente se ne avvedessero.

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