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Coloro che suppongono che per
fare lo scroccone di alto bordo basti essere impostori, interroghino la Humbert, la maliarda degli
imbroglioni. Per indurre la gente a svaligiarsi e a impoverirsi con le proprie
mani bisogna avere qualità speciali, una faccia grassottella e piena di
mansuetudine, un'occhio dolce, un sorriso mite, una parola calda di convinzione
che sappia andare fino in fondo al cuore di chi ascolta. È tutta una genialità
personale. È la bontà che slaccia le borse dei danarosi che lascierebbero morire
di fame il genere umano piuttosto che metter fuori un centesimo.
— E anche la criminalità,
aggiunse Adolfo Bizet, accendendo una delle mie sigarette. Credete voi che la
tribù che ha nutrito i processi del pretendente al nome e alla fortuna di sir
Roger Tichborne non fosse composta di persone rapaci che credevano di impiegare
i loro capitali al duecento per cento? L'interesse è in fondo a tutte le azioni
umane.
Stamane voi verrete con me alla
lussuosa abitazione del più grande e del più audace scroccone del periodo
dell'agitazione Steinheil e lui stesso vi dimostrerà che il truffato non è
migliore del truffatore. Certo voi avete ragione, quando dite che per farla a
uno dei filibustieri moderni dei mercati finanziari e industriali ci vuole più
ingegno di quello della Humbert. Direi di più. Direi che è indispensabile
un'altra intelligenza. Le buone maniere e le amabilità non adescono gli uomini
di affari.
Lesseps ci ha fatto da maestro.
Per far uscire dai nascondigli le ricchezze private della borghesia francese ha
dovuto trascinare nelle sue speculazioni ladre il governo, anzi il Parlamento,
corrompendo ministri, deputati e senatori.
Non si può negarlo. È stato il
capolavoro di colui che venne venerato come il grande francese. Ritorno al mio
chiodo. Chi è stato più delinquente: lui, i corrotti che si sono prestati alle
sue operazioni delittuose o i sottoscrittori affamati di grossi e inauditi
dividendi? Ai tempi della catastrofe, continuava a dirmi Bizet, mentre eravamo
avviati al celebre palazzo di Scribe, il pioniere dell'industrialismo teatrale,
ai tempi della catastrofe si è urlato contro il Lesseps per la povera gente
rimasta senza i risparmi. Siamo giusti. Il loro caso era più pietoso, ma la
loro delinquenza non era minore di quella degli altri. Senza la bandiera della
ricchezza a ufo, fatta su senza fatica, non avrebbero concorso a far impazzire
artitrizzato il Lesseps.
Ecco, mi disse allo svolto della
nostra vettura, col dito puntato verso la torre Eiffel che torreggia su tutti
gli edifici cittadini, ecco: è il monumento della imbecillità francese al tempo
dei panamisti. Tutta quella insolenza spinta sul cielo è il riassunto bestiale
della Franca panamizzata. Quell'altura è il simbolo del nostro fango. Con la
sua elevazione è caduta una società intera. Il denaro, la gola per il denaro,
la frenesia per le ricchezze, l'isterismo per il lusso e l'ansietà di giungere
prima alla gozzoviglia, sono passate sul paese come una pestilenza, come un
morbo, come una malattia contagiosa, come un colera.
La torre Eiffel, uscita dal
cervello di uno dei più svergognati panamisti, è il monumento dei nomi dei
caduti, nell'arena degli arrivisti. I fondi segreti della compagnia hanno
gualcito, tutti, inghiottite le più belle riputazioni politiche,
giornalistiche, bancarie. Tutti scrocconi. Ferdinando Lesseps, Eiffel, Reinach,
Baïhaut, Freycinet, Floquet, e tanti altri immortali sulla lista di Arton, sono
precipitati in frantumi.
Torre Eiffel che hai truffato da
sola trentatre milioni di franchi, che tu sia maledetta! Tu rappresenti la
nostra sventura, la decadenza di un popolo, l'ingordigia monetaria di tutta una
nazione uscita dalle viscere della più grande e gloriosa rivoluzione che ha
creduto, colla tagliateste, di togliere dalla società, i bricconi. No, c'è la
eredità che pensa alla loro riproduzione, C'erano, ci sono, ci resteranno.
Questa è la ragione della immortalità delle polizie. Il sangue sociale è
impurificabile.
— Voi volete dire fino a quando
la terapeutica sociale non avrà trovato il rimedio curativo.
— Senza quest'ultima speranza
noi non avremo più che la disperazione per compagna.
Non avevo mai udito Bizet
sboccare le sue turbolenze mentali con tanta acredine. Pareva vi avesse perduto
il suo capitale. Nei mangeurs della Panama, rappresentati dalla odiosa
Eiffel, egli vedeva il crollo morale di tutta la nazione.
— Questa è la ragione, riprese
il direttore dell'agenzia dei detectives, perchè io non ho mai rifiutato il mio
auto ai giocolieri della finanza. Il barone Reinach, l'uomo cresciuto alla
scuola dei grandi banchieri, è divenuto il modello di tutti gli affaristi. Voi
avete udito, senza dubbio, parlare di Enrico Lemoine.
— Il fabbricatore di brillanti
artificiali?
— Per l'appunto. Voi mi
aiuterete a farlo fuggire. Egli è indegno del carcere, e di questa opinione è
lo stesso giudice Poittevin che lo ha rimesso al largo con la miserabile
cauzione di quindici mila lire, sette delle quali sono state trattenute per le
spese d'istruttoria. Che caro giudice! Non si può essere più ingenuo! Egli era
ed è forse ancora un suo ammiratore. Durante la sua detenzione non c'è stato
giorno ch'egli non lo abbia fatto chiamare nel suo gabinetto per dargli modo di
prendere una boccata d'aria e di passare qualche mezz'ora a consolarsi con la
moglie. Sono riguardi che non toccano a tutti i signori del mondo criminale.
— Stop! gridò al chauffeur,
mettendo fuori il bastoncino di bambù, come se fossimo stati in un cab della
perfida Albione.
— Monsieur Lemoine, disse Bizet,
passando dalla portineria.
— Non c'è, non c'è! Signori,
signori! disse ella correndoci dietro, il signor Lemoine non riceve più
giornalisti. Li supplica di non disturbarlo. Egli non ha più nulla da
raccontare.
— Noi non siamo giornalisti.
Siamo aspettati, rispose con voce che non ammetteva discussione.
Entrammo. Eravamo nel tempio del
comfort. Siamo stati ammessi da un servitore in livrea azzurra dai grandi
bottoni d'argento che ci tolse dalle mani le tube e i bastoncini, dicendoci che
il signore era nel salotto ad attenderci. Ho sentito subito di essere in casa
di un grand'uomo o di un uomo che non assomiglia a tutti gli altri. C'era
troppa sapienza nell'addobbo per non considerarlo un superuomo della vita. I
colori del mobiglio, dei tappeti, dei vetri, delle pareti di ogni stanza che passavamo
per giungere al salotto di ricevimento erano la fusione di un artista.
Si alzò dalla poltrona in cui
stava forse leggendo la moltitudine dei giornali sul tappeto aranciato, tese la
destra a Bizet e mi salutò con un cenno della testa.
— You will pardon me, my lord
(mi perdonate, non è vero, mio lord?) disse Lemoine al signore seduto.
— Certainly, rispose
alzandosi e scomparendo dietro le portine vetrate con un inchino.
— Lord Armstrong, I suppose...
(Lord Armstrong, suppongo...), disse con bonarietà Bizet,
— Lord Armstrong.
Non è che più tardi che ho saputo la ragione della
intimità dello scroccone di alto bordo con il più potente fabbricatore di
cannoni per le stragi umane. Io, seduto sul puff, ascoltavo il dialogo e
studiavo il principe dei puffisti. Alto, alto, direi 1 metro e 84, spalle
larghe, dorso leggermente inclinato, ampie orecchie, fronte fuggente, naso
arcuato, a base orizzontale, grande sporgenza, capelli castani, barba di un
rosso scuro, porro dietro la narice destra, altro piccolo porro più in sù,
rasente il naso, in linea retta verso l'occhio.
— Voi non avete più che due ore
per truccarvi, caro Lemoine, se desiderate prendere il volo. Rimanendo, fra due
giorni voi dovreste consegnare al giudice Poittevin la prova che voi sapete fabbricare
diamanti artificiali identici a quelli che estrae dalle miniere la compagnia di
Beers. Se voi guardate il calendario oggi siamo al 15 giugno.
Lemoine, accendendo un avana e
offrendone la cassetta a noi per servircene, pareva in cerca di una
determinazione. Vado? Non vado? Le abitudini alle dolcezze della vita gli
facevano respingere con orrore l'esilio seminato di tribolazioni. E poi? Che
risata convulsionaria susciterebbe la sua fuga, dopo aver proclamato in faccia
all'Europa che il 17 giugno, alle cinque del pomeriggio, egli si sarebbe presentato
nel gabinetto dell'ottimo Poittevin con il diamante di sua fabbricazione,
identico al diamante delle viscere della terra della compagnia Beers!
— Farò ridere alle mie spalle,
caro Bizet, aggiunse Enrico Lemoine, battendo il pugno della sua larga e lunga
mano sulla coscia.
— E alle cinque pomeridiane del
17 giugno non riderà lo stesso l'Europa quando saprà che avete portato al
giudice le solite chiacchere? La scusa c'è anche per voi. Se voi avete levato
di tasca qualche milione a sir Giulio Wernher, direttore della compagnia di
Beers, con la promessa che avreste prodotto il diamante artificiale, un trucco
che dura da secoli, potete dichiarare che lui pure, sir Giulio, era preparato a
levarne di più dalle tasche dei compratori imbrogliandoli con una falsa dichiarazione,
dando loro un minerale falso per vero. Gli scrupoli sono inutili. Voi l'avete
fatta a lui e lui l'avrebbe fatta al pubblico. L'uno è di fronte all'altro
sullo stesso livello. Wernher è uccello di bosco, imitatelo. La vostra morale
non è al disotto della sua. Che ne dite, Baragiola? — mi domandò volgendosi un
po' dalla mia parte.
— Che avete ragione. Se è vero,
come ha detto il signor Lemoine, che la compagnia diamantistica fra due o tre
anni sarà a secco di diamanti e che sir Giulio Wernher, coll'allodola del diamante
artificiale ha potuto far salire le azioni e vendere le sue con punti di
guadagno, lo speculatore inglese ha fatto una operazione che io chiamerei
chirurgica, come la vostra dissi volto a Lemoine. Come tutti i direttori di istituti
bancarî e industriali egli ha fatto distribuire dividendi fittizî che fanno
andare in giubilo i gogos e poi?
— Ha dichiarato che io l'ho
ingannato.
— Diciamo la verità tutta
intera. Wernher non vi avrebbe denunciato se i gogos e gli azionisti non
fossero troppo tempestosi. Guai a dar loro delle disillusioni. Mi ricordo del
giorno in cui sono andato alla banca Macè e C. 12, via Cadet. Era un istituto
benedetto da sua santità Leone XIII. Si trattava di un krak di venti milioni.
Non c'è stata religione che abbia potuto ammansare i gogos.
Era una banca che aveva nel suo paretaio il modo di
arricchire rapidamente i depositanti senza rischio alcuno. In mezzo agli usceri
io mi sono permesso di dire a tutti gli sbracioni che bisognava essere ingenui
a portare il proprio denaro a una banca che offriva il dodici per cento di interesse.
Mi volevano mangiare. Se non fossi stato un funzionario pubblico avrei gridato
che erano più filibustieri di Macè in fuga. Tutti scappano, mio caro. Se
Lesseps se la fosse data a gambe, nè lui nè i suoi complici che hanno subìta la
vergogna di un processo non sarebbero ora nel disgustoso edificio delle piovre
nazionali.
— E allora, disse Lemoine,
buttando il mozzicone del sigaro sul piattello d'argento, non ho più che la
fuga. Sia! aggiunse alzandosi e sottoponendosi alla truccatura. Si dirà....
— Lasciate dire! rispose Bizet,
aprendo la valigia che racchiudeva il necessario per la mia e per la sua
truccatura. La barba bisogna sacrificarla. Di fuori ci sono già gli agenti che
il signor Hamard vi ha messo alle calcagna. Se si dirà che siete un attore, un
attore di genio. Non si tiene testa agli uragani della opinione pubblica senza
avere una certa genialità a propria disposizione.
Rasata la faccia gli appiccicò
due favoriti biondi da farlo scambiare per il giudice istruttore che lo aveva
lasciato fuori dalla gabbia credendolo addomesticato. Con la tintura Loubec gli
biondeggiò i capelli e i peli al disopra del foro ottico, macchiettandogli di
un rosso carne le guance e il mento in un modo che non rimaneva più nulla di
Enrico Lemoine.
— Indossate questi abiti, disse
Bizet. Vi si scambierà per il direttore di un grande albergo.
— Vi avrei trasformato in un
pitoccone se non fosse un personaggio troppo pericoloso. Gli agenti non hanno
paura di interrogare e di frugare un vagabondo e un povero diavolo che va per
la sua strada. Non è adatto alla vostra funzione. Il cappello a cilindro e le
scarpe che scricchiolano faranno buona impressione dovunque giungerete. Il
passaporto non è più necessario, ma io ve l'ho preparato se mai vi capitasse
l'infortunio di imbattervi in un commissario ai confini o alle dogane troppo
zelante. Guardatevi nello specchio e poi ditemi se voi siete capace di
riconoscervi. So bene, voi avreste preferito che io vi avessi camuffato da
prete. Errore. L'abito ecclesiastico è divenuto comune fra i delinquenti e le
persone cercate nel mondo finanziario. È frusto. Ha servito per tutti i dorsi.
L'ultimo della vostra classe è stato Cuciniello, un banchiere italiano che è
andato a nascondersi negli indumenti del curato in casa di una sua amante.
Sapete che sono a Parigi gli amministratori della De Beers con Wernher?
Finito Beragiola di truccarsi,
Lemoine domandò la utilità della truccatura del signor Baragiola.
— Senza che vi rappresenti, i
limiers vi starebbero alle calcagna e al confine vi arresterebbero con il
mandato in saccoccia. Io e il vostro secondo o il falso Lemoine se vi piace,
staremo sulla porta a tenere a bada gli agenti segreti che crederanno di avervi
nelle mani e voi ve ne andrete per i fatti vostri, dando un addio alla Francia
fino a tempi migliori.
La fuga di Enrico Lemoine è
costata al povero Le Poittevin il posto di giudice istruttore. Non era neanche
supponibile che un magistrato, sia pure buono e giovine come il Le Poittevin, potesse
credere alle fandonie di uno scroccone che ha dei precedenti di corte d'assise
che si prolungano sino ai quattro anni di prigione. Tuttavia, mi diceva Bizet,
dopo che il suo cliente era al sicuro, non si può negare che il colpo di Lemoine
è di quelli che si chiamano colpi da maestro. Cavare dalla cassaforte di
speculatori matricolati come i signori della De Beer 1,580,725 franchi con un
semplice specifico chiuso in una busta depositata all'Union Bank di Londra è
cosa che passa la fantasia.
È una busta che rammenta la più
stupida ghermellina giuocata ai semplicioni della vita, avidi di guadagni non
guadagnati. Non si sa se sia più bestia il truffato o il truffatore. La busta
chiusa conteneva una ricetta che avrebbe fatto scorpacciare dalle risa tutti i
chimici. Udite. Per fabbricare il diamante diceva il nostro scroccone di alto
bordo, basta prendere il carbone di zuccaro, metterlo in un grogiuolo, coprirlo
e passare il recipiente in un forno elettrico avviato ad una temperatura di 1600
gradi con una corrente da 15 a
1800 amphères, sotto una tensione di 110 volts. Raggiunta tale temperatura
bisogna fare pressione, poggiando forte sul coperchio del crogiuolo. Fatto
tutto questo i diamanti sono fatti e bisogna toglierli.
— È un piatto servito caldo alla
tavola di Wernher!
— Costoso, un po' caro, ma che
non impedirà a Enrico Lemoine di trovare sul suo cammino altri idioti
volonterosi di sottomettersi alla operazione chirurgica subita dal direttore
della Beer. È inutile, gli scrocconi di alto bordo hanno fortuna in monarchia e
in repubblica. I fripons, i bricconi celebri, sono sovente ammirati o
presentati alla ammirazione pubblica. Luigi Filippo non è stato in forse quando
si è trattato di stringere la mano al vecchio Vidocq, nel salone della
esposizione, in un momento in cui il ladrone di fama universale si era fatto
industriale e vendeva ai cittadini le chiavi di sicurezza. Come il presidente
della Repubblica è stato lieto di rivedere all'Eliseo quell'altro grande
briccone esotico che si chiamava Cornelio Herz. Lemoine non è l'amico intimo di
lord Armstrong e lord Armstrong ha forse paura di frequentare la sua casa di
via Pigalle, mentre tutta la
Francia lo chiamava avventuriero e uno scroccone di alto
bordo o della haute pègre?
— Vedete, mi diceva Bizet, come va via svelto e come gli
agenti segreti hanno gli occhi chiusi su lui? A me, Lemoine, non l'avrebbe
fatta. La vostra presenza mi sarebbe bastata per pensare al trucco. Datemi una
sigaretta. Egli se ne va per migliorare la sua ricetta diamantifera e
giustificare davanti al pubblico la sua frode,
— Quanto ingegno sprecato!
— Fate anche voi la donnicciola
adesso! Per me lo scroccone è un furbo più che un uomo d'ingegno. Credete forse
che sia un ingegno? Neanche per sogno. Egli non ha che un diploma. Ha finto di
essere stato al Capo di Buona Speranza nelle giornate della guerra coi boeri, a
studiare il diamante. Sapete invece dove egli sia stato? In una soffitta, nella
soffitta degli eroi, a leggere, indovinate? la Stella del Sud
di July Verne. Ecco la sua miniera. È là che ha trovato il materiale che gli ha
fruttato una vera fortuna. Ci sono uomini che se si mettono a fare le scarpe la
gente nasce senza piedi, come ci sono uomini che se si dicessero capaci di far
volare le montagne con uno specifico sarebbero creduti. Lemoine appartiene a
quest'ultima categoria. La sua biografia è quella di un refrattario. È nato a
Trieste, è venuto in Francia a fare il soldato, riformato per una bronchite si
è dato alla ricerca di una carriera e ha finito coll'adattarsi, lui ingegnere!
in un posto comune, buono per tutti coloro che non hanno imparato nulla. Si è
messo a fare l'agente di pubblicità!
— Non sarebbe un delitto. I più
grandi uomini sanno passare per la via crucis di tutti i mestieri
disadatti ai loro studi, alle loro tendenze, alle loro aspirazioni. Cito
Balzac, cito Rochefort, cito Dumas, padre, cito Vallès.
— Gli ingegni tornano a galla,
riescono a farsi largo, finiscono per conquistare con la loro penna quella
bestia che si chiama pubblico. I Lemoine vanno in fondo e finiscono criminali.
Un romanzo ha potuto avviarlo allo scrocco. Egli non ha fatto che andare sulle
pedate del protagonista del libro del celebre scrittore, uno scienziato che ha
studiato la fabbricazione dei diamanti nell'America Latina. Sbaglio, egli era
già uno scroccone côlto dalla legge. Aveva già sulla coscienza tanti falsi per
25.000 lire e per i quali è stato condannato a 4 anni. È poca cosa, ma
abbastanza per rivelare il fondaccio criminoso che è in lui.
— Dite quello che volete, Bizet,
ma non è uno stupido colui che riesce a far credere agli specialisti del
diamante di saperli fabbricare.
— Trucco! trucco vecchio e
stravecchio! Egli aveva l'abilità del giocoliere. La sua esperienza davanti ai
truffati è stata nelle maniche. Egli vi nascondeva il diamante bianco che poi
lasciava sdrucciolare nel grogiuolo al momento in cui lo scopriva, raffreddato
nel secchio dell'acqua. Ormai è saputo da tutti dov'egli comperava i diamanti
crudi che gli sono serviti per le sue truffe. Me lo ha detto lui stesso. È vero
però che egli ha continuato a dirmi che il suo segreto era infallibile. Non aveva
bisogno che del tempo e delle condizioni speciali.
— Il torto mio, mi disse una
mattina, è quello di essermi contentato di fare il tentativo con una piccola
produzione di diamanti. I miei studii m'avevano dimostrato che aumentando la
durata del calore ed elevando la pressione, il diamante ingrossava e diventava
vendibile. M'occorreva un forno speciale e dovevo creare crogiuoli che
potessero resistere alla elevazione della temperatura e alla grande pressione
che mi era indispensabile senza correre il rischio di una esplosione.
Il mio forno è composto di un
cilindro in terra refrattaria compressa. Nel cilindro si introducono due
elettroidi in modo da chiuderlo con la terra refrattaria. Aggiungo che i miei
elettroidi, per essere assolutamente chiusi devono essere avvolti in una foglia
di rame, la cui fusione chiude ermeticamente il cilindro, avvolto anch'esso nel
carbone chiuso a sua volta in un'armatura di ferro. Come vedete il mio
apparechio può resistere a qualsiasi pressione. Il crogiuolo è pure un cilindro
fuso, chiuso nelle foglie di piombo. È in esso che io introduco la limatura di
ferro, il carbone di zucchero e il mercurio. Fatto tutto questo, faccio il
resto, chiudo in modo da evitare che il diamante s'impiombi. Una volta che il
cilindro è nel forno, il piombo si liquefà, la dilatazione del mercurio dà la
pressione, riunendo così, pressione, temperatura e dissolventi, e io ottengo
senza fatica, dei cristalli. Sono i residui di questa preparazione che, sotto
forma di polvere nera, mi permettono di ottenere del diamante.
— Ciarlatano! gridai
mentalmente, quando mi raccomandava di non divulgare il suo segreto, se fosse
morto. Ciarlatano!
— Eppure quell'uomo ritornerà in
Francia.
— Ne sono sicuro. Egli ha posato
da eroe e preferirà la galera alla rinomanza di scroccone. E poi, mi disse
Bizet, prendendomi sotto braccio e avviandosi alla carrozza che passava,
quell'uomo è innamorato di sua moglie ricca che lo ha ripudiato e ne aspetta il
divorzio. Egli farà di tutto per riabilitarsi ai suoi occhi. Ma la prigione
sarà la sua tomba.
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