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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE PRIMA                       CONDIZIONI ATTUALI
      • Capitolo II.   ZONA INTERNA E MERIDIONALE
        • § 16. — Terreni prossimi alle città.
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§ 16. — Terreni prossimi alle città.

Qui si lasciano i latifondi e si entra nella zona della proprietà media e piccola, meglio coltivata, e in buona parte, e secondo i luoghi, piantata a olivi, mandorli, viti, aranci, limoni, fichi d’India, nocciuoli, peri, fichi, pistacchi, sommacchi, ecc. — L’origine storica di queste proprietà più piccole varia da luogo a luogo. Qua sono antiche proprietà allodiali scampate lungo il corso dei secoli, dalle usurpazioni dei baroni, dello Stato, o della chiesa; là invece sono censi di terre baronali, concessi dai feudatari per attirare gente sul suolo sottoposto alla loro giurisdizione, e ciò per accrescere col numero dei loro sudditi la loro potenza, e il provento delle imposte dirette e indirette che percepivano.

 

Censi.

Questi censi sono stati in parte affrancati; ma generalmente non lo sono ancora, perchè i capitali si sono più volentieri impiegati all’acquisto di nuove proprietà dell’asse ecclesiastico o demaniali, anzichè all’affrancazione delle vecchie. La maggior parte di questi censi è posseduta da gente civile, proprietari o professionisti; ma in molti luoghi della Sicilia troviamo tuttora molte terre sottoposte a censo, che suddivise e sminuzzate, per successioni o per vendite, in piccoli appezzamenti di circa 5 a 20 are, sono possedute da contadini e braccianti, e costituiscono per numerose famiglie di questa classe un prezioso peculio, che fornisce loro lavoro quando ne manca in piazza, e qualche prodotto da aggiungere agl’incerti guadagni giornalieri: un tale appezzamento serve inoltre per il contadino come una cauzione o garanzia ch’egli possa esibire per ottenere in affitto qualche altro terreno maggiore.

Le proprietà medie e piccole che si ritrovano presso le città si chiamano comunemente in Sicilia fondi, in contrapposizione ai feudi o ex-feudi, di cui ci siamo occupati finora; ed è in questo senso che noi adopereremo la parola fondo.

 

I fondi.

I fondi si possono suddividere secondo le colture che vi si praticano, in terreni a seminerio (seminativi), cioè coltivati a cereali e privi di alberi o arbusti, e in terreni alberati. I primi si trovano talvolta designati tecnicamente come chiuse, e i secondi come luoghi; ma queste parole si adoperano diversamente in siti diversi, e per evitare confusione non ce ne serviremo, bastandoci le espressioni di fondi seminativi e fondi alberati. I primi formano spesso, com’è facile il presupporre, la zona di transizione tra i latifondi, e i terreni alberati che stringono più da vicino la città o borgata; onde uscendo da questa si cammina generalmente per un certo tratto in mezzo alle colture alberate, a cui succedono i campi seminativi divisi a proprietà piccole e medie, e in ultimo si entra nelle sterminate solitudini dei latifondi colle loro immense estensioni a grano, a pascolo, o a maggese. Tutte queste distinzioni però non debbono naturalmente essere accolte dal lettore come rigorosamente esatte, e spesso si troveranno intercalati i terreni alberati coi fondi seminativi.

 

I fondi seminativi.

La coltura del fondo seminativo è in qualche modo più intensiva che quella del latifondo, e, ad eccezione del Siracusano dove s’alternano anche nei piccoli fondi i cereali col pascolo naturale con rotazione biennale, generalmente vi si esclude l’anno del pascolo, e si avvicendano le fave sul maggese, col grano e coll’orzo: nel Trapanese si mette il lino sul maggese in luogo delle fave, e altrove il grano marzuolo o tumilìa; oppure la tumilìa si sostituisce all’orzo. La maggiore facilità di ottenere il concime esclude qui i maggesi di sole. Non si creda però che almeno qui si sappiano tenere in debito conto i concimi.

 

I concimi.

È un fatto deplorevole per l’agricoltura siciliana quel grande sperpero che si fa del concime. Accosto alle città si vedono sul pendìo di qualche collina tanti piccoli scompartimenti divisi da un orlo di terra, in ciascuno dei quali ogni contadino ripone tutto il concime che possiede. Tutti gli scoli vanno interamente perduti; in alcuni luoghi poi si arriva al punto di dar fuoco in estate a tutti questi depositi per evitarne gli effluvi malsani. Qua e là si comincia, è vero, ad apprezzare un poco più il valore di quest’indispensabile elemento di ogni agricoltura razionale; ma l’assoluta mancanza di stalle nei feudi e nelle masserìe, e l’ignoranza e l’accidia generale, non ci dan luogo a sperare che si cessi per molto tempo ancora dal deplorevole sistema di sfruttare il suolo, col togliergli continuamente tutte quelle sostanze minerali che il solo maggese e l’azione atmosferica non bastano a restituire. Finchè non si arrivi in Sicilia ad adoperare più razionalmente e in quantità maggiori i concimi sia naturali, sia artificiali, non si può quasi considerare che come una benedizione del cielo e come una provvidenza per le generazioni avvenire, l’uso attuale di quell’aratro primitivo che non smuove che una leggerissima crosta del suolo arabile.

 

 




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