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Pietro Metastasio
Lettere

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XXXV

 

A FRANCESCO ALGAROTTI - BERLINO

 

Joslowitz 16 settembre 1747.

 

Incomincio quest'anno con ottimi auspici il mio autunnale ritiro; poiché la prima lettera che viene in esso a trovarmi è quella scritta da Berlino il 18 dello scorso mese dall'incomparabile mio signor conte Algarotti. Benché sommamente laconica ha essa appresso di me tutto il merito di qualunque più diffusa potesse egli mai scriverne, poiché non mi fugge la giusta riflessione del cortissimo ozio che costì gli concede il ben collocato amore d'un mio troppo grande e troppo venerabile rivale.

Il marchese Mansi, ancora caldo de' favori da voi ricevuti, me ne ha reso esattissimo conto: egli è tornato tutto vostro e Prussiano, ed ha pagato una rigorosissima usura della lettera che per lui vi scrissi, rispondendo con pazienza esemplare alle minute mie numerose e replicate interrogazioni. Io vi rendo grazie del credito in cui andate ponendo appresso gli amici il mio potere su l'animo vostro, e vorrei pure offerendovi in contraccambio, siccome faccio, tutto ciò che poss'io, non offrirvi sì poco. Se lo scioperato tenore della vita viennese non fosse in gran parte per me impiegato nell'ingrata occupazione che mio mal grado mi danno ancora, benché ormai meno indiscrete, le ineguaglianze di mia salute, intraprenderei certamente qualche lavoro, onde far uso e del poco che si è raccolto e della facoltà che mi resta: ma son io così mal sicuro di me medesimo, e son in guisa confusi gl'intervalli con le sorprese, che non ardisco ordir tela che possa troppo risentirsi dello svantaggio degl'interrompimenti. Non è però che il signor conte di Canale ed io abbiam rinunziato al consorzio delle Muse. Nel solito a voi noto recesso dell'angusta sua libreria, se molto non si è fatto quest'anno, si è voluto almeno far molto. Abbiamo in primo luogo assai confidentemente conversato con que' buoni vecchi, a' quali dedit ore rotundo Musa loqui, ora raccogliendo qualche gemma sfuggita a' cisposi espositori, riducendo ora al suo giusto valore alcun tratto soverchiamente esaltato dalla servile temerità de' pedanti, e facendo in somma tal uso d'una modesta libertà di giudizio, che tanto ci allontanasse dalla stupida idolatria quanto dall'impertinente licenza del Pulfenio di Persio: qui centum Graecos curto centusse licetur. La Minerva ateniese non ci ha per altro alienati affatto dall'Apollo Palatino. Siamo andati in tal modo alternamente temperando l'artificiosa fluidità greca con la grandezza romana, vicenda di frutto corrispondente al diletto che abbiamo con la vicina comparazione più vivamente sentito, e come la prima soavemente seduca e come la seconda imperiosamente rapisca. Si è travestita in terza rima la bellissima satira d'Orazio Hoc erat in votis, per compiacere al mio conte di Canale, non così avverso a cotesta ingratissima specie di lavoro. Quel pensar con la mente altrui, dir tutto, non dir di più, e dirlo in rima è per me schiavitù non tollerabile, se non se a prezzo del gradimento d'un sì degno amico e sì caro. Pure in questa traduzione un eccellente artefice, come voi siete, troverebbe per avventura di che appagarsi; poiché voi conoscereste esattamente quanto possa aver costato una certa franca e originale leggerezza, con la quale essa porta e non istrascina i suoi ceppi. L'occasione di tradurre la lettera Ad Pisones mi fece già sovvenire alcune mie riflessioni non del tutto le più comuni, che la lunga pratica del poetico mestiere mi ha di quando in quando suggerite. Ho incominciato a scriverle come non affatto inutili a' candidati di Parnaso, ma questa mia scomposta macchinetta interrompendone il filo, me ne ha estremamente intiepidita la voglia, onde non so quando o se mai porrò mano al lavoro. Il trattato di Plutarco dell'educazione de' fanciulli, ad istanza pure del mio conte di Canale che procura di rendere utili gli studi suoi ai doveri di padre e di cittadino, è stato nella fucina medesima già in buona parte volgarizzato: ma l'opera, più florida a dir vero che succosa, non ha stimolato abbastanza la nostra avarizia per affrettarci a terminarla. La traduzione della Poetica di Aristotile abbiam creduto che avrebbe fatta assai utile e decente compagnia a quella d'Orazio, già alcun tempo fa terminata, quando evitando con ugual cura e la licenza francese e la superstizione italiana si fosse da noi potuto accoppiare in guisa la chiarezza alla fedeltà, che né su l'orme dell'erudito Dacier si fosse costretto Aristotile a dire ciò che a noi fosse paruto bene ch'ei dicesse; né su quelle per l'opposto del dottissimo Castelvetro si fosse presentata al pubblico una esposizione più tenebrosa del testo. Ma... non vi raccapricciate, caro amico, al nome di Aristotile, non mi dichiarate così subito il signor Simplicio del Galileo né crediate ch'io creda, siccome il vostro Malebranches suppone di chiunque non calpesta lo Stagirita, che bastando all'Onnipotente la sola cura di creare gli uomini con due gambe, abbia poi commesso ad Aristotile tutta quella di renderli ragionevoli. Io non mi sento inclinato, difetto forse di coraggio, ad opinioni così vivaci, ma vi confesserò candidamente che in mezzo agl'ingiuriosi clamori delle nostre moderne scuole, la sola autorità di tanti secoli che per lui hanno professato rispetto ha fatto sempre nella mia mente sufficiente contrappeso a quello di chi avrebbe pur voluto inspirarmene compassione. Anzi subito che, non già per fiducia nel proprio vigore, ma per mancanza pur troppo intempestiva di condottiere, mi sono trovato in necessità di camminar senza appoggio, non ho trascurato di applicarmi con la più esatta cura che allor per me si potesse all'esame dei giudicii per autorità e per imitazione più che per proprio discernimento da me sino a quel tempo formati. E dirovvi che, a dispetto delle belle notizie fisiche delle quali mancava il nostro filosofo a' giorni suoi e noi presentemente abbondiamo; a dispetto di quel misterioso genio che, trapiantato forse dall'Egitto, e nel terren greco più del bisogno felicemente allignando, se non in favole e in caratteri arcani, nelle dubbie almeno e nodose voci degli scritti suoi frequentemente si manifesta; a dispetto di quell'eccesso di metodo, in grazia di cui egli opprime talvolta l'altrui discorso con la copia stessa degli stromenti che somministra per sollevarlo, a dispetto dico, e di tutto questo e del molto di più che si voglia, la stupenda vastità della sua mente, di tante e di sì preziose merci capace, l'impareggiabile perspicacità con la quale penetra egli e ricerca i più riposti nascondigli della natura, l'ordine inalterabile che regna in tutto ciò ch'egli pensa e di cui pure è figlio quello che oggidì s'impiega contro esso da' suoi contraddittori medesimi, m'inspirano per lui l'ammirazione e la riverenza a quei rari talenti dovuta, che di tanto agli altri sovrastano, che onoran tanto l'umanità e che riducono i Danti Alighieri a dir di lui:

 

Questi è il maestro di color che sanno.

 

Non trovai maggiori inciampi nelle sue categorie che nelle idee di Platone, nella trepidazione degli atomi d'Epicuro, ne' numeri di Pitagora, nella materia sottile di Renato e nell'attrazione di Newton. Né mi parve più che bastasse per pronunziar decisivamente contro Aristotile l'aver trascorsa l'arte di pensare d'Arnoldo, i principii, le meditazioni di Cartesio, l'aver a memoria il primus Graius homo di Lucrezio, il sapersi scagliare anche fuor di proposito contro i Gesuiti e contro la bolla Unigenitus, e l'esser provveduto delle Lettere provinciali, d'un Petrarca, d'un Casa, e d'un paio d'occhiali; inventario del grande arredo che ostentava nel tempo della mia adolescenza tutta la giovane illuminata letteratura. Ma dove siamo trascorsi? Vedete, amico, ch'io vado invecchiando, poiché comincio a compiacermi del cicaleccio. Or ritorniamo in istrada. Si è dunque e immaginata e fervidamente intrapresa la traduzione della Poetica d'Aristotile: ma sul bel principio dell'opera ci siamo trovati intricati in un ginepraio da non uscirne sì di leggieri. Fra i luoghi dell'autore stesso, almen per noi, non limpidamente prodotti; fra quelli che la malignità degli anni e l'imperizia de' copisti ha mal conci e sfigurati; e i molti ne' quali, per se stessi chiarissimi, l'acuta vanità de' commentatori ha introdotte contraddizioni, ci siamo ad un tratto arrestati, quasi disperando di poter mai supplire a tante mancanze e accordar pifferi così dissonanti; ciononostante io mi sento ancora inclinato a tentar di bel nuovo il guado, forse nel prossimo inverno.

Ho condotto meco in campagna il mio Attilio Regolo, i due primi atti del quale hanno ancor bisogno della lima, e il resto dell'ascia. Non vorrei più lungo tempo trascurarlo per rispetto almeno alla vostra approvazione. Ma in questa deliziosissima nostra segregazione da tutt'i malanni cittadini non siamo mai disoccupati; onde temo ch'ei ritorni a Vienna così scarmigliato come ne venne. Ed eccovi resa ragione degli studi nostri, della strana varietà de' quali voi direte, e direte benissimo, che fastidientis stomachi est plura degustare, e che nuova cosa vi sembra che, richiesto di ciò ch'io faccia, io vi metta in conto tutto quello che far vorrei. Ma vi par egli forse più commendabile codesto disfar vostro di questo inutile far mio? non finirete dunque mai di cancellare? Deh non vi studiate tanto ad iscemare con l'arte l'aurea fecondità di cui vi ha fatto dono la benigna natura. Codesta eccedente delicatezza potrebbe degenerare in istiticheria, siccome la soverchia parsimonia in gioventù suol farsi avarizia in vecchiaia.

La generosa ospite nostra, oltre le molte espressioni di gradimento per la gentil memoria che conservate di lei, mi commette di dirvi ch'ella si compiace della vostra propensione a passar con esso noi qualche tempo in queste sue ridenti campagne; ma che per le circostanze in cui siete ella non lo spera se non quanto basta a desiderarlo.

Sono certo che il conte di Canale donerà a noi tutti quei momenti de' quali potrà defraudare onestamente il suo ministero: onde scorgerà egli stesso originalmente nella vostra lettera l'invidiabil luogo ch'egli occupa nell'animo vostro. Amatemi voi intanto quanto io veracemente v'amo: donate all'inestinguibile sete di ragionar con voi la poca discreta estensione di questa lettera; conservatevi e credetemi.

 

 




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