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Baldassarre Castiglione
Il libro del cortegiano

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LI.

 

Induce ancor molto a ridere, che pur si contiene sotto la narrazione, il recitar con bona grazia alcuni diffetti d'altri, mediocri però e non degni di maggior supplicio, come le sciocchezze talor simplici, talor accompagnate da un poco di pazzia pronta e mordace; medesimamente certe affettazioni estreme; talor una grande e ben composta bugia. Come narrò pochi dí sono messer Cesare nostro una bella sciocchezza, che fu, che ritrovandosi alla presenzia del podestà di questa terra, vide venire un contadino a dolersi che gli era stato rubato un asino; il qual, poi che ebbe detto della povertà sua e dell'inganno fattogli da quel ladro, per far piú grave la perdita sua, disse: “Messere, se voi aveste veduto il mio asino, ancor piú conoscereste quanto io ho ragion di dolermi; ché quando aveva il suo basto addosso, parea propriamente un Tullio”. Ed un de' nostri, incontrandosi in una mattà di capre, innanzi alle quali era un gran becco, si fermò e con un volto maraviglioso disse: “Guardate bel becco! pare un san Paulo”. Un altro dice il signor Gasparo aver conosciuto, il qual, per essere antico servitore del duca Ercole di Ferrara, gli avea offerto dui suoi piccoli figlioli per paggi; e questi, prima che potessero venirlo a servire, erano tutti dui morti; la qual cosa intendendo il signore, amorevolmente si dolse col padre, dicendo che gli pesava molto perché in avergli veduti una sol volta gli eran parsi molto belli e discreti figlioli. E padre gli rispose: “Signor mio, voi non avete veduto nulla; ché da pochi giorni in qua erano riusciti molto piú belli e virtuosi ch'io non arei mai potuto credere e già cantavano insieme come dui sparvieri”. E stando a questi dí un dottor de' nostri a vedere uno, che per giustizia era frustato intorno alla piazza, ed avendone compassione, perché 'l meschino, benché le spalle fieramente gli sanguinassero, andava cosí lentamente come se avesse passeggiato a piacere per passar tempo, gli disse: “Camina, poveretto, ed esci presto di questo affanno”. Allor il bon omo rivolto, guardandolo quasi con maraviglia, stette un poco senza parlare, poi disse: “Quando sarai frustato tu, anderai a modo tuo; ch'io adesso voglio andar al mio”. Dovete ancora ricordarvi quella sciocchezza, che poco fa raccontò il signor Duca di quell'abbate; il quale, essendo presente un dí che 'l duca Federico ragionava di ciò che si dovesse far di cosí gran quantità di terreno, come s'era cavata per far i fondamenti di questo palazzo, che tuttavia si lavorava  , disse: “Signor mio, io ho pensato benissimo dove e' s'abbia a mettere. Ordinate che si faccia una grandissima fossa e quivi reponere si potrà, senza altro impedimento”. Rispose il duca Federico, non senza risa: “E dove metteremo noi quel terreno che si caverà di questa fossa?” Suggiunse l'abbate: “Fatela far tanto grande, che l'uno e l'altro vi stia”. Cosí, benché il Duca piú volte replicasse, che quanto la fossa si facea maggiore, tanto piú terren si cavava, mai non gli poté caper nel cervello ch'ella non si potesse far tanto grande, che l'uno e l'altro metter non vi si potesse, né mai rispose altro se non: “Fatela tanto maggiore”. Or vedete che bona estimativa avea questo abbate -.

 

 




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