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S. Alfonso Maria de Liguori
Riflessioni Devote sopra diversi punti...

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§. 10. Chi ama Dio deve amare non abborrire la morte.

 

E come mai abborrirà la morte chi sta in grazia di Dio? Qui manet in charitate, in Deo manet et Deus in eo2. Chi dunque ama Dio è sicuro della sua grazia, e così morendo è sicuro di andarlo a godere per sempre nel regno de' beati; e costui dovrà temere la morte?

 

Disse bensì Davide: Et non intres in iudicium cum servo tuo, quia non iustificabitur in conspectu tuo omnis vivens3. Ma ciò s'intende, che niuno dee presumere di salvarsi per li meriti suoi, poiché niuno fuori di Gesù e di Maria può dir di essere stato in tutta la sua vita esente da' peccati: ma non dee temere la morte, con vero pentimento delle sue colpe, e confidando nei meriti di Gesù Cristo il quale


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è venuto in terra per salvare i peccatori: Venit enim Filius hominis salvare quod perierat1: ed in effetto è morto ed ha sparso tutto il suo sangue per salvare i peccatori. Il sangue di Gesù Cristo, dice l'apostolo, parla assai meglio a favore dei peccatori, che non parlava il sangue di Abele contra Caino che l'uccise: Sed accessistit ad... mediatorem Iesum, et sanguinis aspersionem melius loquentem, quam Abel2.

 

È vero che senza una rivelazione divina niuno può aver certezza infallibile della sua salute; ma ben può averne certezza morale chi si è dato di cuore a Dio e sta pronto a perder tutto, anche la vita, prima che perder la divina grazia. Questa certezza è ben fondata sulle promesse divine: niuno, dice la Scrittura, ha riposta la sua speranza in Dio e si è perduto: Nullus speravit in Domino et confusus est3. Iddio si protesta in tanti luoghi, che non vuol la morte del peccatore, ma che si converta e si salvi: Numquid voluntatis meae est mors impii, dicit Dominus Deus, et non ut convertatur a viis suis et vivat4? In altro luogo si afferma lo stesso, e si aggiunge il giuramento: Vivo ego, dicit Dominus Deus, nolo mortem impii, sed ut convertatur et vivat5. E nello stesso luogo Iddio si lamenta con que' peccatori ostinati, che per non lasciar il peccato si voglion perdere, dicendo: Et quare moriemini, domus Israel? Ed a quei che si pentono del male fatto promette di volersi scordare di tutte le loro colpe: Si autem impius egerit poenitentiam... vita vivet; omnium iniquitatum eius, quas operatus est, non recordabor6.

 

Segni poi ben certi del perdono già ricevuto sono per un peccatore l'odiare i peccati commessi. Dice un s. padre, che dee star certo di essere stato perdonato colui che dice con verità: Iniquitatem odio habui et abominatus sum7. Segno ancora certo di aver ricuperata la grazia è l'aver perseverato nella buona vita per molto tempo dopo il peccato. Gran segni sono ancora di star in grazia l'avere una ferma risoluzione di perder più presto la vita che la divina amicizia; come anche l'avere un gran desiderio di amarlo e vederlo amato dagli altri, e il sentir pena nel vederlo offeso.

 

Ma come va che alcuni gran santi dopo essersi dati tutti a Dio e dopo una vita mortificata e staccata dall'affetto di tutti i beni terreni, in morte poi hanno provati grandi spaventi, pensando d'aver a comparire davanti a Cristo giudice? Si risponde che rari sono i santi che morendo abbiano sofferti questi timori, volendo Dio che così purgassero qualche reliquia di peccato prima di entrare nell'eternità beata; ma comunemente parlando, tutti i santi sono morti con una gran pace e con gran desiderio di morire per andare a veder Dio. Del resto, parlando del timore della salute, questa è la differenza tra i peccatori e tra i santi che muoiono: i peccatori dal timore passano alla disperazione; i santi dal timore passano alla confidenza e così muoiono in pace.

 

Pertanto ognuno che ha segni di stare in grazia di Dio dee desiderare la morte, replicando la preghiera insegnataci da Gesù Cristo, Adveniat regnum tuum; e dee con allegrezza abbracciare la morte quando viene, così per liberarsi da' peccati lasciando questa terra, dove non si vive senza


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difetti, come per andare a veder Dio da faccia a faccia e ad amarlo con tutte le forze nel regno dell'amore.

 

Amato Gesù mio e giudice mio, quando mi avrete da giudicare, per pietà non mi mandate all'inferno. Nell'inferno io non vi potrei più amare, ma avrei da odiarvi per sempre; e come posso odiare voi che siete così amabile e che tanto mi avete amato? Questa grazia io non la merito per i miei peccati; ma se non la merito io, l'avete meritata voi per me col sangue che con tanto dolore avete sparso per me sopra la croce. In somma, Giudice mio, datemi ogni pena, ma non mi private di potervi amare. O Madre di Dio, vedete il pericolo in cui mi trovo di esser condannato a non poter più amare il vostro Figlio che merita un infinito amore; aiutatemi, abbiate compassione di me.

 




2 1. Io. 4. 16.



3 Ps. 142. 2.



1 Matth. 18. 11.



2 Hebr. 12. 22. ad 24.



3 Eccli. 2. 11.



4 Ez. 18. 23.



5 Ez. 33. 11.



6 Ez. 18. 21. et 22.



7 Ps. 118. 163.






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