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Modesta Pozzo de' Zorzi (alias Moderata Fonte)
Tredici canti del Floridoro

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CANTO QUARTO



Argomento


Mette in cor a Risardo il buon nocchiero

Del greco re la giostra e la figliuola,

Tal ch'ei si fa condur nel greco impero

Per mirar la beltà stupenda e sola;

V'abbatte l'uno e l'altro cavalliero

D'Odoria, e ella il cor gli accende e invola.

Lideo contra l'amata arso di sdegno

L'accusa d'omicidio e usurpa il regno.


Le donne in ogni età fur da natura

Di gran giudizio e d'animo dotate,

Né men atte a mostrar con studio e cura

Senno e valor degli uomini son nate;

E perché se comune è la figura,

Se non son le sostanze variate,

S'hanno simile un cibo e un parlar, denno

Diferente aver poi l'ardire e 'l senno?


Sempre s'è visto e vede (pur ch'alcuna

Donna v'abbia voluto il pensier porre)

nella milizia riuscir più d'una,

E 'l pregio e 'l grido a molti uomini torre;

E così nelle lettere e in ciascuna

Impresa, che l'uom pratica e discorre,

Le donne sì buon frutto han fatto e fanno,

Che gli uomini a invidiar punto non hanno.


E benché di sì degno e sì famoso

Grado di lor non sta numero molto,

Gli è perché ad atto eroico e virtuoso

Non hanno il cor per più rispetti volto.

L'oro che sta nelle minere ascoso,

Non manca d'esser or, benché sepolto,

E quando è tratto e se ne fa lavoro

E così ricco e bel come l'altro oro.


Se quando nasce una figliuola al padre,

La ponesse col figlio a un'opra eguale,

Non saria nelle imprese alte e leggiadre

Al frate inferior né disuguale,

O la ponesse in fra l'armate squadre

Seco o a imparar qualche arte liberale,

Ma perché in altri affar viene allevata,

Per l'educazion poco è stimata.


Se la milizia il mago a Risamante

Non proponea né disponeale il core,

Non avria di sua man condotto tante

Inclite imprese al fin col suo valore.

Dissi, che questa giovene prestante

Fu dal cortese e liberal signore

Condotta in una loggia a disarmarsi,

Ove dovea la cena apparecchiarsi.


Ma mentre di costei ragiono e canto

Il trace cavallier mi viene in mente,

Il qual com'io narrai nell'altro canto,

Cinto l'acciar s'avea terso e lucente,

E per gir in Egitto a trar di pianto

E di prigion la giovene innocente,

Tolto da suoi commiato, il patrio lido

Lascia, e si crede al mar noioso e infido.


Sciolto avea già tutto contento e lieto

Al fiato d'Aquilone il lino attorto,

Né vedea l'ora mai nel suo secreto

Che potesse veder l'Egizio porto.

Avea in nave un nochier saggio e discreto

E d'un ingegno assai vivo e accorto;

A cui piacea d'intender le novelle

Di ciò ch'occorre in queste parti e in quelle.


Costui, veggendo il vento al suo cammino

Esser propizio, e 'l ciel chiaro e giocondo,

E che per gire al porto alessandrino

Avea l'aer con l'aura e 'l mar fecondo,

Si pose in atto riverente e chino

Com'uom discreto e pratico del mondo

Tra quei signori, e giunto in lor presenza

Ottenne anch'ei di ragionar licenza.


E disse: – Esser vi dee, signor, palese

Quella sì cara e sì gradita nova

Che d'ogni region, d'ogni paese

Tutti i guerrier, in cui virtù si trova

Tragge in Atene all'onorate imprese,

Dove una giostra il re Cleardo approva,

Che 'l grido altier di sì lodevol opra

Già tutto 'l mondo ha posto sottosopra.


Corre ciascuno all'attica pendice,

E tanto più ch'egli ha una figlia sola

Che di bellezza al mondo è una fenice

E a tutte l'altre belle il pregio invola;

E ben si potrà dir colui felice

Che goderà così gentil figliuola,

Che presso la bellezza ond'ella è ornata

D'ogni virtù mirabile è dotata.


E oltre ciò sol a costei s'aspetta

La eredità di sì famoso regno,

Perché questa leggiadra giovanetta

È (com'io dissi) al padre unico pegno,

E questa è la cagion, cred'io, ch'alletta

A gir in Grecia ogni guerrier più degno,

Che speran che la faccia il re consorte

A quel di lor ch'è più gagliardo e forte. –


Mentre costui ragiona, il bel Risardo

Novi pensier per la sua mente gira,

L'ascolta attentamente, e 'l viso e 'l guardo

Tien in lui fermo e appena il fiato spira.

Segue il Nochiero: – Ogn'uom forte e gagliardo,

Che di mostrar la sua virtù desira

O mirar il bel viso di costei,

A gara or se conduce a' liti achei.


Grande è la fama che d'intorno spande

Del grido altier di questa alma fanciulla,

Ma l'altro dì ch'io giunsi in quelle bande

Trovai che 'l vero ogni credenza annulla.

E sua grazia e bellezza è così grande

Che si può dir che sia la fama nulla.

Io la vidi, signor, né agli occhi miei

A pena credo ancor quel, ch'io vedei.


Crespo oro il crine, avorio rassomiglia

La fronte più, ch 'l ciel serena e tersa,

Direste che son d'ebeno le ciglia,

Là donde Amor foco e dolcezza versa.

Sembra la guancia candida e vermiglia

Neve di grana o di cinabro aspersa,

Par che la bocca al minio il vanto invole,

Onde nascon soavi, alme parole.


Il sottil collo è d'alabastro eletto,

Tondo come colonna, e di cristallo

È l'ampio sodo e delicato petto,

La man di perle e l'unghie di corallo.

Insomma il tutto è in lei bello e perfetto,

Non fé natura in lei punto di fallo,

Ma lo splendor degli occhi e la vaghezza

Vince poi tutto il resto di bellezza.


Chi de' gesti la grazia e leggiadria

Corrispondente alla beltà del viso,

Chi la soavità narrar potria

Delle dolci parole e dolce riso?

Ch'in lei regna modestia e cortesia

Dànno gli ornati suoi costumi aviso,

Tal ch'io non credo a lei trovarsi pare

Dovunque il sol riscalda e cinge il mare. –


Già non potea il nochier trovar suggetto

Miglior di questo, o più lieta novella

Che più movesse assalto al tracio petto

E gli fesse acquistar voglia novella.

Come Risardo ha inteso il suo concetto,

Più d'ir non cura in Alessandria bella

E al nochier comanda allora allora

Che ver la patria achea volga la prora.


Obedisce il nochier, nissun non osa

Contra 'l mandato suo la bocca aprire,

E più ch'essendo ogn'alma allor bramosa

D'acquistar fama e di mostrar ardire,

A quella giostra nobile e famosa

Comune di trovarsi era il desire.

Ciascun brama c'ha 'l cor forte e invitto

Di gir prima in Atene ch'in Egitto.


Già Silibria e Perinto a destra mano

Lasciando passa il buon nochier lo stretto,

Dove Leandro e Hero amarsi invano

Ch'all'un e all'altro fu sepolcro e letto.

In faccia e Creta, ancor che di lontano,

E dal sinistro lato il frigio tetto,

E all'isola di Tenedo vicina

Giunge, e solcando va l'egea marina.


Entra poscia nel mar che 'l nome ottenne

Dall'audace di Dedalo figliuolo,

Ch'ascese al ciel con l'incerate penne

E poi cadde, e finì la vita e 'l volo.

Al promontorio Cafareo poi venne,

Ove del verde mar l'instabil suolo

Per dritto fil ver mezzodì non fende,

Ma ver Favonio il suo viaggio stende.


Andro lascia a sinistra, e Negroponte

Dal destro lato, e sì Volturno spira

Ch'in breve spinge il legno al Sunnio monte

E 'l bel terreno alfin Cecropio mira.

Giunto, a terra gettar fa 'l trace il ponte,

E smonta, e l'occhio or quinci or quindi gira,

E seguendo l'esempio di Risardo,

Dismonta al lito ogni guerrier gagliardo.


Alla scoperta gir non fa disegno,

Ma da prudente a tutti si nasconde,

Per l'odio e nemicizia, che tra 'l regno

Achivo è nato e le paterne sponde.

Vol prima intender meglio il tracio pegno,

Se 'l bando regio al suo voler risponde;

Vol saper s'in quei giorni almi e felici

Cleardo fa sicuri anco i nemici.


Non vole entrar ancor nella cittade,

Ma se ne va per la campagna erbosa,

Rimirando coi suoi quelle contrade,

E scopre or questa ora quell'altra cosa;

Quando passar per le più trite strade

Vede dinanzi alla città famosa

Tre cavallier con arme e destrier neri,

Senza insegna nei scudi o nei cimieri.


Parea ciascun in vista esser gagliardo

E (senza fregio aver di gemme o d'oro)

Nel sembiante all'altrui giudizio e sguardo

Mostravan degnità, grazia e decoro.

Come gli vede il giovane Risardo

Disegna di provar la virtù loro,

E in atto di giostrar tutto cortese

Gli sfida, e l'asta in sulla coscia prese.


Quel de tre cavallier ch'andava prima,

Che non sa quanto in arme il garzon vaglia,

L'invito accetta e senza dubbio stima

Rimaner vincitor della battaglia.

Per veder chi di lor sia di più stima

Fermarsi gli altri e chi più in pregio saglia;

Gli è ver ch'i traci discostarsi alquanto,

E gli altri duo guerrier fero altrettanto.


Risardo intento al destinato assalto

Ritien alquanto al suo destrier il morso,

Lo spinge nel principio a salto a salto

Destro e leggier con arte e con discorso;

Indi voltato poi l'erboso smalto

Premer gli fa con più spedito corso,

E sì rallenta il freno e i sproni stringe

Ch'el suo nimico ad incontrar lo spinge.


L'esterno cavallier di lui non meno

Ardito, pronto e di giostrar maestro,

Gira con arte al suo destrier il freno

Dal manco lato e 'l punge col piè destro;

Quel con prestezza tal preme il terreno

Che non lascia orma il piè leggiero e destro.

Le dure lancie agli elmi ambi drizzaro,

E a mezzo il corso i cavallier s'urtaro.


Risardo al cui ardimento, al cui vigore

Un sol della sua età si paragona,

Portò nel colpo altier tanto valore,

Senza incomodo aver nella persona,

Che rimasto all'incontro vincitore

Continuamente al corso s'abbandona;

L'altro, ch'uscì di sella al colpo fiero,

Con poco onor restò sopra il sentiero.


D'un incontro sì fiero e sì gagliardo

Ciascun si maraviglia e 'l loda e approva,

E vaghi del valor del buon Risardo

Bramano di veder qualch'opra nova,

Dato avendo egli volta a Ruggipardo,

Veniva audace alla seconda prova,

E l'altro, che lontan venir lo vede,

Di cor, d'arte e di forza si provede.


Piglia del campo, e minacciante e crudo

Per vendicar se può dell'altro il danno,

Passa al feroce in contro il tracio scudo

E rompe l'asta in fra l'usbergo e 'l panno.

Ma Risardo a lui trova il petto nudo

E 'l pone in tal angustia, in tal affanno,

Che, se non ch'alla groppa del destriero

Si stese, l'avria occiso il colpo fiero.


Fu vicino a cader, pur si ritenne,

Ma nel levarsi e in quel che 'l brando trasse,

Non so come il cavallo a inciampar venne,

Sì che necessità fu che cascasse.

Poi che 'l secondo voto il tracio ottenne,

Ch'uopo non fu che più con quel giostrasse,

Come sempre al suo onor fortuna arrida

Il terzo cavallier superbo sfida.


Ma quel senza far atto, o movimento

Che per giostrar al tracio corrisponda,

Ver lui move il destriero a passo lento

E con voce umanissima e gioconda

Disse: – Deh cavallier, fammi contento,

Ch'io sappi in chi tal pregio il ciel nasconda,

Dimmi qual padre, e patria ti diè il fato,

I parenti e 'l paese onde sei nato.


Quel proferir, ch'ei fé dolce e umano

Con piana e soavissima favella

A Risardo, ch'ascolta e parli strano,

Sembra non di garzon ma di donzella.

E rispondendo al prego umile e piano,

Tutto cortese anch'ei parla e favella.

Benché mi piaccia altrui sempre occultarmi,

Pur teco son contento appalesarmi.


Risardo io son, del re nacqui Agricorno

Dell'antica Bizanzio imperadore;

Ma tu che mostri al favellar adorno

Esser donna dignissima d'onore,

Fammi saper chi ti diè al mondo e al giorno,

E s'io giudico il ver, s'io piglio errore;

L'abito fa stimarti uomo virile,

Ma la voce è di donna alma e gentile. –


Già non si rende al suo desir ritroso

Colui, ma discoprendo il volto amato,

Così ragiona al principe amoroso:

Vedi che 'l tuo vero giudizio è stato;

Io donna son di grado alto e famoso;

Di là dal Gange è il mio felice stato,

Sono il mio regno e i patri alberghi miei

I campi felicissimi sabei. –


Come il forbito acciar lucido e grave

Lascia scoperto alla donzella il viso,

E che 'l lume dolcissimo e soave

Coglie il barbaro petto all'improvviso,

Sì stupido riman, sì trema e pave,

E ne divien sì attonito e conquiso,

Che 'l nome più di vincitor non gode,

E ne riporta Amor tutta la lode.


Perché tosto, ch'in lei le luci intende

E vede l'aurea chioma errar col vento,

Amor, che l'arco ne begli occhi tende,

Per abbassar quel barbaro ardimento,

D'una saetta il cor tanto gli offende,

Che 'l priva d'ogni onor, d'ogni ornamento,

E già di tal desio l'arde e allaccia

Che non sa che si dica o che si faccia.


Con un bel modo alfin ragiona, e osa

Chieder qual causa fà, ch'or si allontani

Dalla felice sua patria famosa,

E cerchi i regni a lei longinqui e strani;

E se del suo viaggio il fin riposa

Ne campi Achei men fertili e men sani,

O pur s'in altro loco si conduce

Per farlo illustre e altier con la sua luce.


La vergine, ch'Odoria era nomata,

Che s'era accorta ai gesti e alle parole

Quanto la tracia mente era infiammata

Delle bellezze sue divine e sole,

Se non si rende al primo voto grata,

Il secondo negar non però vole,

Tace perché lasciato ha l'oriente

E del resto compiace alla sua mente.


E dice che di gir per la più trita,

E breve strada in Delfo è il suo desio,

Ch'in oriente avea la fama udita

Del responso fatal del biondo dio,

Che le cose venture all'altrui vita

Predice con l'oracol santo e pio,

E, perc'ha due pensier dubbi nel petto

Vol saper qual di lor sia 'l più perfetto.


Come la donna a questo punto arriva,

Pensa Risardo anch'ei di gir al tempio

Per saper dalla voce eterna e diva

Se la donzella ha 'l cor pietoso od empio;

Vol saper se l'apprezza o se lo schiva,

S'avrà del novo amor diletto o scempio,

E da quest'altra impresa il cor disvia

E s'offre a lei di farle compagnia.


Consente la donzella al gentil figlio,

Che per la sua virtù l'ha in pregio molto,

E tuttavia tra sé prende consiglio

Come veder potesse il suo bel volto.

Già poco poi ch'ella scoperse il ciglio,

S'era 'l tracio collegio ivi raccolto

Pieno d'alto stupor ch'una gentile

Giovane andasse in abito virile.


Andava così armata la donzella

Non perché fusse in lei forza né core,

Ma per non dar a quei che gìan con ella

Spesso materia onde mostrar valore;

Che per esser fanciulla e tanto bella

Potrian venir per lei spesso a rumore,

Potrian più d'un guerrier trovar per via

Che per suo amor all'arme ne verria.


Onde per non aver tante contese,

Che ritardar lor fessero il cammino,

La donna di coprir partito prese

All'altrui sguardo il volto almo e divino.

Risardo si scusò tutto cortese

Coi due guerrier che stanno a capo chino,

E mostra gran cordoglio e pentimento

D'aver lor dato questo impedimento.


Eran questi guerrier molto pregiati

Da lei, che visto avea di lor gran cose,

Ma sendo da Risardo scavalcati;

In lei stupore, in lor vergogna pose.

Or poi che furo in sella rimontati,

La bella Odoria l'elmo si ripose,

Benché Risardo, a cui spiacea l'aviso,

La pregasse a tener scoperto il viso.


Ma come il nano intende che Risardo

I vestigi seguir brama Sabei,

E che lascia l'impresa di Cleardo

E vole in Delfo accompagnar costei,

Non è piangendo a scongiurarlo tardo

Per la fé c'hanno gli uomini alli dèi,

Che non mandi più in lungo la promessa

Che d'aiutar fé la sua donna oppressa.


Risardo lo conforta e gli promette

Di far presto per lui quanto far deve,

E se prima in Egitto il piè non mette

E 'l seguitarlo a lui forse par greve,

Che torni in Alessandria, e che l'aspette

(Dice) ch'a lui verrà quanto più in breve,

Ove poi non si dubiti che trarla

Non debbia d'ogni affanno e liberarla.


Poi che prego non val, pianto o lamento

Perché Risardo altro cammin non prenda,

Partesi il nano irato e mal contento

E fa che la sua ingiuria ognun intenda,

Per trovar uom più fido al suo talento

Che l'innocente giovane defenda,

E incontra alfine un cavallier istrano

Dopo molto girar per monte e piano.


I cavallier compagni di Risardo

Che mandò seco il trace imperatore,

Per volontà del principe gagliardo

Si ritornaro indietro al lor signore.

Ma lascio questi, e di che acuto dardo

Raggidora a Lideo passasse il core

Vuo' dirvi, e come uccise egli in Egitto

Il re, dando a lei colpa del delitto.


Dal nano voi sentiste in che maniera

Fosse costei nel regno suo trattata,

Ma la cagion dir non vi seppe intera

Perché fosse del fallo essa incolpata.

Ora vuò farvi udir l'istoria vera

E dir che per amor fu impregionata,

Per quell'amor così crudel e reo

Che tanto errar fé il cavallier Lideo.


Poi che la gran beltà della donzella

Ebbe il guerrier d'Eubea legato e stretto,

Che giunto a caso in Alessandria bella

Restò pregion del suo leggiadro aspetto,

E che la mente feminil ribella

Trova, e contraria al suo amoroso affetto,

La tenta con più vie ch'usan gli amanti,

Feste, versi, tornei, preghiere e pianti.


La giovene crudel non ebbe mai

Pietà di lui che gli avea dato il core,

Non mai ver lui drizzò cortesi i rai,

Non mai gli fece un minimo favore;

Onde il meschin tenea in continui guai

L'anima involta in sì fallace errore,

Poi che più d'aspe sorda e più che scoglio

Dura costei godea del suo cordoglio.


Quando nel fin quel cor fero e spietato

Non move servitù d'alcuna sorte

E che Lideo si trova disperato,

Vol di sua propria man darsi la morte;

Poi ripensando a un animo sì ingrato

Non vol morir ma vendicar sua sorte,

Pensa occider il re nascosamente,

E dar la colpa a lei ch'era innocente.


Non manca al rio pensier chi dia favore,

Che oltra che al mal far fortuna arride,

Coi servi può dell'or sì lo splendore

Che nella propria stanza il trova e uccide;

Esente se n'andò d'un tanto errore

Ch'alcun non se n'accorse, alcun no 'l vide,

E per far più sicuro il suo difetto

Uccise poi quei che sapean l'effetto.


Aggiunta colpa a colpa, danno a danno

Per le vie più nascoste e più secrete,

Tosto ch'a tutti è noto e tutti sanno

Che 'l re varcato avea l'onda di Lete,

Per coprir meglio il suo crudele inganno

E far le voglie sue contente e liete,

Accusa Raggidora, e s'offre e spera

La calunnia crudel sostener vera.


Se ben non era il cavallier d'Eubea

Di troppo bello e grazioso aspetto,

Pure un proceder sì benigno avea,

Un conversar così amoroso e schietto,

Che aggiunto al gran valor ch'in lui splendea

Gli portavano amor tutti e rispetto;

Sol Raggidora è quella che non l'ama

E non prezza i suoi gesti e la sua fama.


Lideo col mezzo e col favor ch'ottenne

Dai più gran personaggi di quel regno,

A poco a poco in tal grandezza venne

Con arte, con astuzia, e con ingegno

Che signor dopo Galbo ne divenne,

E riuscì talmente il suo disegno

Che senza aver contrasto dalla gente

Fu salutato re publicamente.


Ma ben che sia di sì gran regno erede

E porti regio manto e la corona,

Che si riposi Amor non gli concede

Che più che prima ancor l'instiga e sprona

Per Raggidora, che 'l suo cor possiede,

E niega a lui la bella sua persona,

Poi ch'è tanto contraria alle sue voglie

Che vol prima morir ch'esser sua moglie.


Egli che l'ama e che l'ha offesa tanto

Sol per l'ingratitudine di lei

Si conduce a mirar quel viso santo

Non una volta al dì, ma cinque e sei;

E move per placarla il prego e 'l pianto

Per celebrarne i debiti imenei.

Sdegnosa ella lo sprezza e non si piega,

E di mirarlo infin superba niega.


L'innamorato re soffre ogni cosa,

Ogni sua crudeltà si toglie in pace,

Che spera più di renderla pietosa

Col dimostrarsi umil seco che audace;

E ben ch'ella superba e disdegnosa

Mostri portarli un odio pertinace

E sia di sguardi avara e di parole,

Egli l'onora e l'ama e amar la vole.


Più non la tiene in tenebrosa parte

Ma in un libero albergo illustre e altero,

E di tutti quei beni a lei fa parte

Che può donar il suo superbo impero;

Ogni grazia al suo cor largo comparte

Che può render felice il suo pensiero,

E come fosse la regina propia,

Le fa d'ogni tesor, d'ogni ben copia.


Di visitar fa voto in Papho e in Gnido

La dea delle delizie e dei piaceri,

Acciò che 'l soavissimo Cupido

Pieghi la bella donna a' suoi voleri;

Ella ch'è d'ogni grazia albergo e nido

Non però cangia i suoi costumi alteri,

Ma che ritorni il nano ogni dì aspetta

Portando in altre man la sua vendetta.


Di punto in punto aspetta il re pigmeo

Che con qualche campion faccia ritorno,

Il qual levi al tiranno ingiusto e reo

Non pur lei, ma 'l reame, e l'aura e 'l giorno;

Ben congetture avea ch'el fier Lideo

Avesse fatto al re l'ultimo scorno,

Avea più volte ben tra sé discorso

Come dovea quel fatto essere occorso.


Onde via più che prima in odio e in ira

Avea l'infido re con gran ragione,

Ed ei, che indarno lagrima e sospira,

Né si puo trar del cor la passione,

Vinto dal duol che l'ange e lo martira

Spedisse un messo in fretta a Stellidone,

Che venga a mantener contra l'altera,

Giovene il detto suo, perché al fin pera.


Era venuto in Alessandria fama

Che molti cavalier di sommo ardire

Per le ragion di difender la dama

S'erano mossi e già dovean venire;

Il re, ch'ordito avea l'ingiusta trama

E sentiva per lei tanto martire,

Per onor suo non men, che per la doglia

Vol che di cio 'l fratel l'impresa toglia.


Di tre fratei che fur d'alto valore

Che dominavan l'isola d'Eubea,

Questo Lideo ch'io dico era il maggiore,

L'ultimo Stellidon di cui dicea,

L'altro Tisandro fu molto migliore,

Di cui Lideo novella non avea,

Però sù Stellidon fece disegno.

Ma giunta son di questo canto al segno.




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