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Bologna, 20 gennaio 2000, 2.00 a.m.
Coda insonne di una lunga giornata di merda.
Cominciata con un caffè, il mal di stomaco e una camicia pulita.
L'arrivo in studio, tre saluti e una
decisione senza pensare: niente telefono, vado.
Via Siepelunga, Centro Accoglienza
"Monte Donato". L'incontro con Kadisha, occhi verdi sotto capelli castani
leggermente ramati, è una recita tra maschere. La maschera dell'angoscia, della
sottomissione, della rassegnazione di fronte alle decisioni altrui, anche le
più bizzarre e grossolane.
«Said non era clandestino» dice, mordendosi
il labbro, con Nidal in braccio, la maschera di Kadisha.
Quella dell'avvocato, la mia, è un patetico
succedersi di frasi di rincrescimento, di imprecazioni sulla "burocrazia
assassina", così ho detto, di inviti a farsi forza, di sconfitte nel
sostenere il suo sguardo, prima della fuga quasi precipitosa, liberatoria.
Tornato in studio, telefonate, giornali, due
appuntamenti. Dopocena miserevole tra scazzi e sproloqui alla riunione dei
Giuristi Democratici. Poi a casa.
Primi piani di orologi cronografi e labbra
carnose, titoli dei giornali di domani e oroscopi, repliche di telefilm e
dirette di eventi sportivi dall'altra parte del globo, predicatori di sette
protestanti e lezioni di ingegneria. Nel naufragio dello zapping, l'isola di un
film sconosciuto, titoli di testa su pellicola in bianco e nero.
Renato Salvatori, quello di Poveri ma
belli e I soliti ignoti, insieme a Tomas Milian, consegnato
all'immaginario collettivo nei panni sbracati d'Er Monnezza. Il binomio
promette bene, appoggio il telecomando e mi accomodo sul divano. La regia è di
Florestano Vancini, lo stesso de La lunga notte del '43 e Il delitto
Matteotti, uno in gamba.
La banda Casaroli. Reminiscenze, qualcosa dei tempi di mio nonno. Una storia
vera.
Bologna, dicembre 1950. Un giovane e imberbe
Tomas Milian si aggira all'incrocio tra Santo Stefano e via Dante. La
scena è ingombra di fotografi, poliziotti, giornalisti e curiosi. Si
capisce che il ragazzo è coinvolto con quanto è appena accaduto. Dalle sue
riflessioni sul destino dei due amici, Paolo e Corrado, parte il flash-back che
illustra l'antefatto.
Man mano che le immagini scorrono, la
tensione aumenta. Un conflitto aspro e irrisolto elettrizza le gesta criminali
della banda Casaroli, dedita alle rapine in banca e alla bella vita. E'
difficile dire da dove arrivi questa sensazione, ma certo è qualcosa di molto
lontano dai soliti Anni Cinquanta su celluloide.
Bologna è tetra e spettrale, sempre avvolta
nella nebbia, deserta. «La sentite questa puzza che non se ne va mai?» chiede a
un certo punto Casaroli fresco di doccia annusando il cappotto nuovo. «Lo
sapete cos'è? E' Bologna!».
Milian/Gabriele abita in uno squallido
caseggiato per profughi istriani, nessuna concessione alla falsa estetica della
povertà. Salvatori/Casaroli ha una ghigna allucinata, satanica, che non gli
avevo visto nemmeno nella scena dello stupro in Rocco e i suoi fratelli. La
sua smania di vivere non ha niente del fancazzismo dei vitelloni o della dolce
vita romana. E' una febbre rabbiosa, uno sfogo, ansia di vedere il mondo, anche
se il viaggio non va oltre Venezia e Genova, paragonata addirittura a Shanghai.
Prende pastiglie di simpamina per svegliare i riflessi, sbraita che il mondo si
divide in due categorie, chi alza le mani e chi le fa alzare, insiste che nella
vita è questione di fegato e meningi, mescola fascismo di ritorno e teorie
deliranti da Superuomo. Finché non lo senti gridare «Noi non saremo mai
poveri!». Lui, quello di Poveri ma belli.
Alla fine per la banda non c'è scampo,
troppe ingenuità. Nulla però che ricordi i Soliti ignoti. Il finale è
una scena da Far West nel pieno centro di Bologna. Spari, morti ammazzati,
inseguimenti, violenza gratuita, vigili urbani armati…
Uno dei banditi si spara in testa durante il
conflitto a fuoco, Casaroli resta ferito, Gabriele assiste impotente senza
essere coinvolto. Il giorno dopo, minato dall'angoscia, si uccide con un colpo
al cuore durante la proiezione di un film con Fernandel in un cinema del
centro.
Il "Giornale dell'Emilia", ovvero Il
Resto del Carlino sotto mentite spoglie, dà la notizia della morte di
Casaroli. Il capobanda, invece, è ancora vivo, ricoverato in ospedale. Un
cronista querulo e pieno di domande imbecilli, desideroso di spiegare ai
lettori il perché di tanta violenza, lo va a intervistare. Il criminale non
rinuncia alla facciata.
«Meglio un giorno da Casaroli che la miseria
di un lavoro.»
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