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S. Alfonso Maria de Liguori
Apparecchio alla Morte

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PUNTO III

Vediamo ora la miseria d'un'anima, che sta in disgrazia di Dio. Ella è separata dal suo sommo bene ch'è Dio. «Peccata vestra diviserunt inter vos, et Deum vestrum» (Is. 59. 2).1 Sicché ella2 non è più di Dio, e Dio non è più suo: «Vos non populus meus, et ego non ero vester» (Ose. 1. 9). Non solamente non è più suo, ma l'odia e la condanna all'inferno. Non odia il Signore alcuna sua creatura, neppure le fiere, le vipere, i rospi: «Diligis omnia quae fecisti, et nihil odisti eorum quae fecisti» (Sap. 11. 25). Ma non può lasciar Iddio di odiare i peccatori. «Odisti omnes qui operantur iniquitatem» (Ps. 5. 7). Sì, perché Dio non può non odiare il peccato, ch'è quel nemico tutto contrario alla sua volontà; e perciò odiando il peccato dee necessariamente odiare anche il peccatore, che sta unito col peccato. «Similiter autem odio sunt Deo impius, et impietas eius» (Sap. 14. 9).


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Oh Dio, se alcuno ha per nemico un principe della terra, non può mai prender sonno quieto, temendo giustamente ad ogni momento la morte. E chi ha per nemico Dio, come può aver pace? Può taluno sfuggire l'ira del principe con nascondersi in una selva, o con andar lontano in altro regno: ma chi può sfuggire le mani di Dio? Signore (dicea Davide),3 se io salirò in cielo, se mi nasconderò nell'inferno, dovunque vado, la vostra mano può arrivarmi: «Si ascendero in coelum, tu illic es, si descendero in infernum, ades. Etenim illuc manus tua deducet me» (Ps.4 138. 8).5

Poveri peccatori! essi son maledetti da Dio, maledetti dagli angeli, maledetti da' Santi, maledetti anche in terra in ogni giorno da tutti i sacerdoti e religiosi, che ne pubblicano la maledizione in recitare l'officio divino: «Maledicti qui declinant a mandatis tuis».6 In oltre la disgrazia di Dio importa la perdita di tutti i meriti. Abbia meritato un uomo quanto un S. Paolo Eremita che visse 98 anni in una grotta, quanto un S. Francesco Saverio, che guadagnò a Dio dieci milioni d'anime; quanto un S. Paolo apostolo, che guadagnò più meriti (come dice S. Girolamo),7 che tutti gli altri apostoli, se costui commette un solo peccato mortale, perde tutto. «Omnes iustitiae eius, quas fecerat, non recordabuntur» (Ez. 18).8 Ed ecco la ruina che porta la disgrazia di Dio, da figlio di Dio lo fa diventare schiavo di Lucifero, da amico diletto lo fa diventare nemico sommamente odiato, da erede del paradiso lo fa diventare un condannato dell'inferno. Dicea S. Francesco di Sales9 che se gli angeli potessero piangere, in veder la miseria d'un'anima10 che commette un peccato mortale e perde la divina grazia, gli angeli si metterebbero a piangere per compassione.

Ma la maggior miseria è che gli angeli piangerebbero, se fossero capaci di piangere, e 'l peccatore non piange. Dice S. Agostino:11 Perde


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colui una bestiuola, una pecorella, non mangia, non dorme12 e piange; perderà poi la grazia di Dio, e mangia, dorme e non piange.

Affetti e preghiere

Ecco lo stato miserabile, in cui io mi son ridotto, o mio Redentore. Voi per farmi degno della vostra grazia, avete speso 33 anni di sudori e di pene, ed io per un momento di gusto avvelenato l'ho disprezzata e perduta per niente. Ringrazio la vostra pietà, che ancora mi tempo di ricuperarla, se voglio. Sì, voglio far quanto posso per riaverla. Ditemi che ho da fare per ricevere da Voi il perdono. Volete ch'io mi penta? Sì, Gesù mio, mi pento con tutto il cuore di avere offesa la vostra bontà infinita. Volete ch'io v'ami?13 Io v'amo sopra ogni cosa. Per lo passato ho troppo male impiegato il mio cuore ad amare le creature e le vanità. Da oggi avanti voglio vivere solo a Voi, voglio amare solo Voi, mio Dio, mio tesoro, mia speranza e mia fortezza. «Diligam te, Deus, fortitudo mea».14 I meriti vostri, le piaghe


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vostre, o Gesù mio, hanno da essere la speranza, la fortezza15 mia. Da Voi spero la forza d'esservi fedele. Ricevetemi dunque nella vostra grazia, o mio Salvatore, e non permettete ch'io vi lasci più. Staccatemi dagli affetti mondani, ed infiammatemi il cuore del vostro santo amore. «Tui amoris in eo ignem accende».16

Maria madre mia, fatemi ardere di amore verso Dio, come sempre ardeste Voi.




1 [20.] Is., 59, 2: «Iniquitates vestrae diviserunt inter vos et Deum vestrum: et peccata vestra absconderunt faciem eius a vobis, ne exaudiret».



2 [20.] sicché ella) sicch'ella VR BR1 BR2.



3 [6.] Davide) Davidde VR BR1 BR2.



4 [9.] Ps.) Psalm. BR2.



5 [9.] Ps., 138, 8, 10.



6 [13.] Ps., 118, 21.



7 [17.] HIER., Epist. 58 ad Paulinum, n. I; PL 22, 580: «Paulus.. novissimus in ordine, primus in meritis est». Cfr. CSEL 54 (I), 528.



8 [20.] Ezech., 18, 24.



9 [24.] S. FRANC. DI SALES, Trattato dell'amor di Dio, l. IV, c. I, Venezia 1748, 221: «Gli cieli si maravigliano, le loro porte si conquassano di orrore e gli angioli di pace restano storditi per questa prodigiosa miseria del cuore umano, che abbandona un bene tanto amabile per attaccarsi a cose così deplorevoli». Cfr. ID., Traité del l'amour de Dieu, l. IV, chap. I; Oeuvres, IV, Annecy 1894, 225: «Quel pitoyable spectacle aux Anges de paix, de voir ainsy sortir le Saint-Esprit et son amour de nos âmes pecheresses! hé, je croy certes, que s'ils pouvoyent alhors pleurer, ils

verseroyent des larmes infinies».



10 [25.] d'un'anima) di un'anima BR2.



11 [28.] Il testo è molto discusso: nei Sermonari ora è attribuito a s. Agostino ed ora a s. Bonaventura, ma in realtà manca negli scritti autentici dei medesimi, almeno nella maniera in cui è riportato. FINETI B., Secondi riflessi di spirito e considerazioni morali sopra li evangelii delle domeniche, Venezia 1679, 310: «Stupisce s. Bonaventura (S. Bonav., In Cantic., serm. 64) vedendo quanto poco gli uomini stimano la perdita di Dio, perché così facilmente lo perdono, con tanta prontezza cadono ne' peccati… Heu! quia magis est homo sollicitus quaerere asinum perditum, quaerere porcum, quaerere bovem vel equum quam quaerere Christum». D. SERIO, op. cit., p. I, disc. III danni del peccato; Napoli 1724, 92: «Piangi, dice s. Bonaventura, se perdi un bue, piangi se hai perduto un cavallo, piangi se perdi una pecorella; ed avendo perduto Dio dall'anima non piangi? Perdit homo bovem, et sollicite eum quaerit, perdit equum et non quiescit, perdit ovem et post eam vadit; sed perdit homo Deum, et quiescit et comedit et bibit, et non quaerit (De Mar. Magd.). Questo considerava s. Agostino, ecc.» Può essere una svista di s. Alfonso che ha riferito a s. Agostino ciò che Serio attribuisce a s. Bonaventura. Vedi pure questo testo in LOHNER T., op. cit., tit. CXIV; III, Venetiis 1738, 343. In s. Agostino c'è il concetto generico, Enarrat. in Ps. CI, serm. I, n. 6; PL 37, 1298: «Multi enim gemunt, gemo et ego; et hoc gemo, quia male gemunt. Amisit nummum, gemit; amisit fidem, non gemit». CC 40, 1430. Il testo non si legge nei 3 sermoni di s. Bonaventura su s. Maria Maddalena: cfr. Opera omnia, IX, Ad Claras Aquas 1901, 554-562.



12 [2.] dorme) e dorme ND1 VR ND3 BR1 BR2.



13 [11.] v'ami) vi ami BR2.



14 [15.] Ps., 17, 2: «Diligam te, Domine, fortitudo mea».



15 [1.] la fortezza) e la fortezza BR2.



16 [5.] Antiphona: «Veni, sancte Spiritus,... amoris in eis ignem accende».






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