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S. Alfonso Maria de Liguori
Riflessioni Devote sopra diversi punti...

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§. 33. Il vedere e l'amar Dio nell'altra vita fa il paradiso de' beati.

 

Vediamo che cosa in cielo rende quei s. cittadini appieno felici. L'anima in cielo vedendo Dio da faccia a faccia, e conoscendo la sua bellezza infinita e tutte le sue perfezioni che lo rendono degno d'infinito amore, non può non amarlo con tutte le forze, e l'ama immensamente più di se stessa; anzi ivi quasi dimentica di se stessa, non pensa e non desidera altro che di veder contento l'amato ch'è il suo Dio; e vedendo che Dio oggetto unico di tutti i suoi affetti gode un gaudio infinito, questo gaudio di Dio fa tutto il suo paradiso. Se foss'ella capace di cose infinite, in vedere che il suo diletto è infinitamente contento, il suo gaudio di lei sarebbe ancora infinito; ma perché la creatura non è capace di gaudio infinito, resta almeno sazia di gioia, in modo che nulla più desidera; e questa è quella sazietà che sospirava Davide, quando diceva: Satiabor cum apparuerit gloria tua1.

 

E così avverasi quel che Iddio dice all'anima nel darle il possesso del paradiso: Intra in gaudium Domini tui2. Non dice già al gaudio che entri nell'anima, perché essendo quel gaudio infinito non può capire nella creatura; ma dice che l'anima entri nel gaudio a riceverne parte, ma una tanta parte, che la sazia e la riempie di gaudio.

 

Quindi penso che nell'orazione fra gli atti di amore di Dio non vi sia atto d'amore più perfetto che il compiacersi del gaudio infinito che gode Dio. Questo certamente è l'esercizio continuo de' beati in cielo, onde chi spesso si compiace del gaudio di Dio comincia da questa terra ad esercitare quel che spera di fare in cielo per tutta l'eternità.

 

È tanto l'amore di cui ardono i santi in paradiso verso Dio che se mai entrasse in essi timore di perderlo o di non amarlo con tutte le forze come l'amano, questo timore farebbe loro provare un inferno di pena. Ma no, poiché essi son certi come son certi di Dio che l'ameranno sempre con tutte le loro forze, e per sempre saranno amati da Dio, e che questo amore scambievolmente non mai si scioglierà in eterno. Mio Dio, fatemene degno per li meriti di Gesù Cristo.

 

Questo contento che fa il paradiso sarà poi aumentato dallo splendore di quella vaga città di Dio, dalla bellezza de' cittadini e dalla compagnia di essi e specialmente della regina Maria che apparirà più bella di tutto il paradiso, e di Gesù Cristo la cui bellezza avanzerà immensamente la bellezza di Maria.

 

Sarà aumentato il gaudio de' beati


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da' pericoli che ciascuno ha passati in sua vita di perdere un tanto bene. Quali poi saranno i ringraziamenti che farà a Dio chi per sua disgrazia si troverà d'aversi meritato l'inferno per le sue colpe, quando si vedrà lassù, donde mirerà tanti per meno peccati de' suoi condannati all'inferno ed egli si troverà salvo e sicuro di non poter perdere più Dio, destinato a godere eternamente nel cielo quelle delizie immense e delizie che non vengono mai a tedio. In questa terra per quanto elle sieno grandi e continuate col tempo vengono a tedio; ma i gaudj del paradiso quanto più si godono più si desiderano, sicché il beato sempre è contentato appieno da quelle delizie e sempre le desidera, sempre le desidera e sempre le ottiene. Quindi il dolce cantico col quale i santi lodano Dio e lo ringraziano della felicità loro donata si chiama cantico nuovo: Cantate Domino canticum novum1. Si dice nuovo, perché i giubili del cielo paiono sempre nuovi, come la prima volta che si assaggiano, poiché sempre si godono e sempre si bramano, sempre si bramano e sempre si provano. Quindi, come i dannati si appellano Vasa irae, così i beati si chiamano Vasa charitatis, vasi del divino amore.

 

Giustamente dunque dice s. Agostino che per acquistare questa beatitudine eterna vi bisognerebbe una eterna fatica. Ond'è che poco han faticato gli anacoreti colle loro penitenze ed orazioni per guadagnarsi il paradiso: poco han fatto tanti santi che han lasciate le loro case, le loro ricchezze ed i regni per guadagnarsi il paradiso: poco han patito tanti martiri col soffrire eculei, corazze infocate e morti crudeli per guadagnarsi il paradiso.

 

Attendiamo noi almeno a soffrire allegramente le croci che Dio ci manda, perché tutte se ci salviamo diventeranno per noi gaudj eterni. Quando le infermità, i dolori o altre avversità ci affliggono alziamo gli occhi al cielo e diciamo: Finiranno tutte queste pene un giorno e dopo queste spero di godere Dio per sempre. Facciamoci coraggio a soffrire e a disprezzare tutte le cose del mondo. Beato chi potrà dire in morte colla beata s. Agata: Domine, qui abstulisti a me amorem saeculi, accipe animam meam: Ricevete l'anima mia, Signore, che mi avete liberato dall'amore del mondo e mi avete dato il vostro. Sopportiamo tutto, disprezziamo tutto il creato; Gesù ci aspetta, e sta colla corona in mano per farci re del cielo, se gli siamo fedeli.

 

Ma come posso io, Gesù mio, aspirare ad un tanto bene, io che tante volte per gusti miserabili di terra vi ho rinunziato in faccia il paradiso e mi ho posta sotto i piedi la grazia vostra? Ma il sangue vostro mi animo a sperare il paradiso dopo avermi meritato tante volte l'inferno; sì perché voi siete morto in croce appunto per dare il paradiso a chi non se lo meritava. Mio Redentore e Dio, non vi voglio più perdere, datemi voi l'aiuto ad esservi fedele: Adveniat regnum tuum, per li meriti del vostro sangue fatemi un giorno entrare nel vostro regno; e frattanto finché non mi giunga la morte fatemi fare perfettamente la vostra volontà, fiat voluntas tua, ch'è il maggior bene e il paradiso che si può avere in terra da chi vi ama. Intanto,


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o anime che amate Dio, mentre viviamo in questa valle di lagrime sospiriamo sempre il paradiso dicendo:

Patria bella, ove all'amore

In mercede amor si ,

Te sospiro a tutte l'ore,

Quando, oh Dio! quando sarà?

 




1 Ps. 16. 15.



2 Matth. 25. 21.



1 Ps. 97. 1.






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