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Leon Battista Alberti
Momo o Del Principe

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  • LIBRO TERZO.
      • -2-
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Ma riprendiamo il filo del racconto. Giove, dunque, aveva reso noto il suo progetto di mettere in piedi un altro mondo nell'interesse di uomini e dèi, e tutti gli dèi grandi e piccoli approvavano col massimo consenso questa decisione. Infatti, come succede di solito, ognuno guardava ai suoi interessi, interpretando la novità nel senso del proprio vantaggio personale: e quei celesti che magari erano di condizione più bassa o in genere estranei al palazzo si lasciavano prendere con facilità dalla speranza che tutto quel rinnovamento gli avrebbe fornito il mezzo e l'occasione di fare un bel salto di qualità; invece quelli che godevano di dignità più elevata pensavano che Giove non avrebbe certo potuto fare a meno della collaborazione delle massime autorità in un'operazione complessa come quella: si erano quindi proposti di trarre il massimo vantaggio dalla situazione per rafforzare la loro posizione. Di conseguenza, gli dèi minori erano sempre addosso a Giove, cercando con tutti i mezzi di convincerlo a mettere in esecuzione il progetto; ma anche i più autorevoli dèi appoggiavano con sufficiente convinzione quella causa, tacendo e facendo qualche cenno d'assenso: capivano benissimo quale strategia usare col principe, e la praticavano con abilità. Così si comportavano in modo da coprire con la dissimulazione le loro avide aspirazioni, ostentando indifferenza proprio per le cose a cui tenevano di più con qualche osservazione poco impegnativa, in modo che i loro consigli, quando erano richiesti, sembrassero rivolti al bene del principe e della collettività più che al loro tornaconto personale. Del resto, tra le più alte autorità divine c'erano anche dei personaggi accorti, i quali, o perché collaboravano al lavoro di Giove con serietà e integrità morale, o per il semplice fatto di ritenere cosa saggia in ogni occasione far previsioni meno ottimistiche di quanto non consenta l'apparenza, consigliarono Giove di pensarci su molte volte prima di accingersi a un'impresa di quella portata, per evitar d'incontrare, strada facendo, qualche intoppo che mandasse tutto all'aria, e di fare la massima attenzione, per non doversene poi pentire, soprattutto agli imprevisti che potevano saltar fuori all'improvviso, provocando risultati ben diversi dalle intenzioni; ma c'erano anche quelli che, pensando a mantenere i propri privilegi, avevano l'esclusiva preoccupazione di distogliere Giove dai suoi propositi di rinnovamento generale: per esempio Giunone, diventata appaltatrice per la grande affluenza di voti, era disposta ad accettare qualunque cosa, ma non certo lo sterminio dell'umanità, e alla sua posizione aderivano calorosamente, oltre ad Ercole, che era deputato alla salvezza degli uomini, Bacco, Venere, la dea Follia e numerosi altri dèi di questo genere, che erano particolarmente onorati dalla massa dei mortali. Anche Marte aveva deciso di mettere a disposizione di Giunone tutti i suoi mezzi per la causa della salvezza umana, poiché aveva progettato con l'architetto Ruggine la costruzione di un porticato di bronzo che avrebbe dovuto avere cento colonne di ferro perfettamente limate e rifinite, e tegole d'acciaio per copertura: dagli uomini, infatti, non solo riceveva ogni giorno materiale in abbondanza, proprio del tipo che gli serviva, ma si procurava anche calli e sudore con cui levigare il più possibile le colonne. Perciò questi dèi si davano un gran da fare a dissuadere Giove e a fargli mille raccomandazioni perché non passasse all'azione alla cieca.




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