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Pietro Metastasio
Lettere

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138 - A GIUSEPPE AZZONI - SIENA

 

Vienna 19 agosto 1773.

 

L'affettuosissima vostra data il 30 di giugno è giunta molto tardi alle mie mani; ed io ho dovuto di più differire otto o dieci giorni a rispondere, indispensabilmente in altro occupato. Il Serenissimo Infante di Spagna Don Gabriele di Borbone, giovane principe di meravigliosi talenti e d'esemplare applicazione, ha trasportate elegantemente nell'idioma spagnuolo le Storie di Salustio, Catilinaria e Giugurtina: si è degnato mandarmene in dono un esemplare magnificamente stampato in Madrid ed accompagnato dal comando di darne in iscritto il mio giudizio. Non dubito che in questa esposizione troverà la vostra discretezza scuse più che legittime della mia tardanza.

È verissimo che per far uso non riprensibile dell'ozio mio, dopo aver fornita delle note necessarie la mia versione della Poetica d'Orazio a voi nota, intrapresi e ridussi al termine un Estratto non breve di quella d'Aristotile: ed in esso, sulle tracce originali del testo, confesso ingenuamente ciò che me ne rimane oscuro e dubbioso, non ostante la per lo più tenebrosa esposizione dei dottissimi suoi commentatori: parlo non di passaggio della natura della poesia e dell'imitazione, e non taccio alcune incontrastabili verità che l'esperienza di più di cinquant'anni di non interrotto esercizio rende alfine necessariamente palesi ad ingegni anche più tardi del mio, ed alle quali direttamente si oppongono alcune erronee opinioni, nate nel corso del secolo passato nella mente di dottissimi critici, ma del tutto inesperti del mestiere del quale si erigono in maestri, e che col credito loro hanno accreditato l'errore: benché quando da maestri han voluto divenire artefici abbian sempre le opere loro costantemente fatto un miserabile naufragio a dispetto dell'osservanza de' nuovi dogmi che ci propongono. Ci pensate, mio caro padre maestro, se la pubblicazione di cotesti miei due libretti sarebbe molto favorevole al mio genio pacifico, e s'io sono in età d'incominciare un tirocinio polemico. Queste occupazioni mi hanno ricompensato de' miei sudori col liberarmi dalla noia dell'ozio, e non ne pretendo altro frutto.

Mi dispiace di non essere in istato d'approfittarmi degli avvertimenti del severo Aristarco romano. Un amico, per mostrare stima del mio stile tragico, si vale dell'antica metafora de' coturni, che sono in somma gli stivaletti da teatro, e mi prega di fargliene un dono, quando non voglia più valermi de' miei. Io, per rispondere che il mio stile non merita d'esser desiderato, continuo la sua metafora e dico che il padre Apollo lo provederà di migliore calzolaio, perché i miei son difettosi ed io sento dove mi premono. Avrà il critico le sue ragioni per disapprovar la metafora ma io, che non spero a quest'ora di migliorare, non vuo' beccarmi il cervello ad investigarle.

Il mio amor proprio vorrebbe ch'io credessi che quel Wasner o Watner, o che so io? di cui vi parlò con clemenza tanto parziale l'arciduca granduca, volesse dir Metastasio; ma se mai fosse così, non crediate ch'io attribuisca al merito mio gli eccessi della sua benignità, che mi riguarda come un antico mobile dell'augusta sua Casa, e siate certo ch'io conto fra le circostanze più care di questa mia fortuna la tenera compiacenza da voi provata ascoltandolo.

Ho letto con infinito piacere il gentile, poetico e divoto sonetto della nostra impareggiabile signora Livia, e vi prego congratulandovene seco a mio nome di assicurarla della costanza della giusta mia riverentissima stima; e voi, mio caro padre maestro, conservatemi il prezioso luogo che mi avete per bontà vostra assegnato nel vostro grande, candido e sensibilissimo cuore. Sicuro ch'io procurerò con tutto il mio spirito di meritarlo, e sarò invariabilmente pieno di stima, di rispetto e d'amore.

 

 

 




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