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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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XII.

L’uffizzio der bollo.1

(17 febbraio 1833)

Presa a Ppiazza de Ssciarra2 la scipolla
Dall’ortolano, e, llì accanto, er presciutto,
Le paggnottelle e ’r pavolo de strutto,
Annavo3 a ffabbollà la fede a Ttolla;4

 

Quanto m’accosto a un omettino assciutto,
Che stava a ppijjà er Cràcas5 tra la folla:
Faccia de grazzia, indov’è cche sse bbolla?6
— Eh, a Rroma, nu’ lo sai?, (disce): pe ttutto —.

 

Doppo, ridenno,7 m’inzeggnò lluffizzio.
Ma ttratanto capischi che ffaccenna?
Che stoccatella a nnostro preggiudizzio?

 

Ma ssai cche jje diss’io? — Sor coso, intenna,8
Ch’è vvero che li preti hanno sto vizzio,
Ma cquer tutti lo lassi in de la penna. —

 

 

 




1 Il bollo straordinario della carta. —

2 Piazza sulla via del Corso, dove si crede che fosse eretto anticamente l’arco trionfale di Claudio per le vittorie sopra la Britannia e le isole Orcadi. —

3 Andavo. —

4 Anatolia. —

5 Il Diario di Roma, chiamato volgarmente Cracas o Cracasse dal nome dell’editore (Si veda la nota 5a al sonetto Pe’ la morte de Papa Grigorio.) —

6 Bollare significa in Roma anche il fraudare altrui del danaro. —

7 Ridendo. —

8 Intenda.




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