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S. Alfonso Maria de Liguori
Apparecchio e ringraziamento…messa

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INTRODUZIONE

 

Non può un uomo fare un'azione più santa, più grande e più sublime, che celebrare una messa: Nullum aliud opus (dice il concilio di Trento) adeo sanctum a Christi fidelibus tractari posse, quam hoc tremendum mysterium 1. Dio stesso non può fare che vi sia un'azione più santa e più grande, che del celebrarsi una messa. Tutti i sacrifizj antichi non furono che un'ombra, una figura del nostro sacrifizio. Il sacrifizio delle vite di tutt'i santi, di tutti gli angioli, e della stessa divina Madre, certamente non darebbe a Dio l'onore che gli una sola messa, perché questa solamente rende a Dio un onore infinito. Sicché la messa è un'azione che rende il maggiore onore che può darsi a Dio, il maggiore suffragio all'anime del purgatorio: è l'azione che più abbatte le forze dell'inferno, che più placa l'ira del Signore contra i peccatori, e che ci ottiene con maggiore abbondanza le divine grazie. Quid enim bonum eius est, et quid pulcrum eius, nisi frumentum electorum, et vinum germinans virgines 2? Nella messa si sacrifica a Dio il suo medesimo Figlio, e si dona a noi nel ss. sagramento, ch'è tutto il buono


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e bello della chiesa; poiché, secondo dice s. Tommaso, quasi tutti gli altri sagramenti hanno per fine l'eucaristia: Fere omnia sacramenta in eucharistia consummantur. Ciascuna messa che si celebra apporta al mondo tutto quel gran bene che apportò il sagrificio della croce: Quicquid est effectus dominicae passionis, est effectus huius sacrificii, così insegna lo stesso s. dottore 1; e ce n'assicura anche la s. chiesa: Quoties huius hostiae commemoratio recolitur, toties opus nostrae redemptionis exercetur 2. Giacché lo stesso Redentore è la vittima sull'altare, ed egli medesimo è l'offerente, che per mezzo de' sacerdoti si sagrifica: Una enim eademque est hostia; idem nunc offerens sacerdotis ministerio, qui seipsum in cruce obtulit, sola ratione offerendi diversa 3. Sicché, come dicono i dottori, se mai non vi fosse stato ancora nel mondo Gesù Cristo, il sacerdote ve lo porrebbe con proferire la forma della consagrazione, giusta quella celebre sentenza: O veneranda sacerdotum dignitas, in quorum manibus veluti in utero virginis Filius Dei incarnatur 4. Per lo sacrificio dell'altare s'applica a noi il sacrificio della croce. La passione ci rendé capaci della redenzione; la messa ce ne mette in possesso, e fa che ci avvaliamo dei meriti di G. Cristo.

 

Noi non siamo capaci con qualunque opera di ringraziare Dio de' tanti doni che ci ha fatti; ma offerendogli Gesù Cristo nella messa, ben lo ringraziamo abbastanza. Dice s. Ireneo: Divinum sacrificium ideo institutum est, ne nos ingrati simus apud Deum 5. Inoltre per questo sacrificio noi possiamo ottenere tutte le grazie. Se sta promesso, che quanto chiederemo a Dio in nome di Gesù tutto otterremo: Si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis 6; quanto più dobbiamo ciò sperare, offerendogli Gesù medesimo? Il nostro Redentore continuamente in cielo sta intercedendo per noi: Qui etiam interpellat pro nobis 7. Ma ciò specialmente lo fa in tempo della messa, nella quale egli, a questo fine ancora di ottenerci le grazie, presenta se stesso al Padre per mano del sacerdote. Se noi sapessimo che tutt'i santi colla beata Vergine pregassero per noi, qual confidenza non concepiremmo de' nostri vantaggi? ma una sola preghiera di Gesù Cristo può infinitamente più che tutte le preghiere de' santi. Poveri noi peccatori, se non vi fosse questo sagrificio che placa il Signore! Huius quippe oblatione placatus Dominus, gratiam et donum poenitentiae concedens, crimina et peccata etiam ingentia dimittit, dice il Tridentino. In somma, siccome la passione di Gesù Cristo bastò a salvare tutt'il mondo, così basta una sola messa; che perciò il sacerdote nell'oblazione del calice dice: Offerimus tibi, Domine, calicem salutaris... pro nostra et totius mundi salute.

 

Ora da tutto ciò si argomenti, qual conto avranno da dare a Dio i sacerdoti che con poca riverenza celebrano questo gran sacrificio. Il padre maestro Giovanni d'Avila, udendo esser morto un sacerdote dopo aver celebrata la prima messa, disse: Oh che gran conto avrà dovuto rendere a Dio questo sacerdote, per questa una messa che ha detta! Oh Dio! dov'è la divozione e la riverenza in


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tanti sacerdoti che dicono messa? Questa, ch'è l'azione (come abbiam detto) la più eccelsa e sagrosanta, onde dice il concilio di Trento, che dee farsi colla maggior divozione interna ed esterna: Satis etiam apparet, omnem operam in eo ponendam esse, ut quanta maxima fieri potest interiori cordis munditia, atque exteriori devotionis ac pietatis specie peragatur 1: quest'azione, dico, è la più strapazzata dalla maggior parte dei sacerdoti. Certamente che maggiore attenzione essi porrebbero in fare una parte in commedia, che non mettono in celebrare la messa; giungendo alcuni a dirla in meno spazio d'un quarto d'ora; il che non può scusarsi da colpa mortale, ancorché fosse messa de' morti (come noi abbiamo provato nella nostra opera morale); poiché in tanto breve tempo non può ella celebrarsi senza un grave strapazzo delle parole e delle cerimonie, e senza mancare gravemente alla riverenza e gravità richiesta da un tanto sacrificio, ed inoltre senza un grave scandalo de' secolari.

 

Parlando di questo punto, vi vorrebbero lagrime, ma lagrime di sangue. Poveri sacerdoti nel giorno del giudizio, che celebrano così! E poveri vescovi che li ammettono a celebrare, poich'essi, come avvertono comunemente i dottori, ed è certo dal Concilio Tridentino 2 son tenuti con obbligo stretto a proibire la celebrazione a tali sacerdoti che la messa con tale irriverenza, chiamata empietà dal concilio, il quale parlando appunto di questo s. sacrificio dice: Decernit s. synodus, ut ordinarii locorum ea omnia prohibere sedulo curent ac teneantur, quae irreverentia (quae ab impietate vix seiuncta esse potest) induxit. Ond'è che i vescovi, per adempire il precetto del concilio (secondo le riferite parole, curent ac teneantur) sono obbligati ad invigilare continuamente, ed informarsi del come si celebrano le messe nelle loro diocesi, e sospendere dalla celebrazione quei che dicono la messa senza la conveniente attenzione e gravità. E questa obbligazione de' vescovi non è solo verso i sacerdoti secolari, ma anche verso i religiosi, poiché nel suddetto decreto del concilio i vescovi in ciò son destinati delegati aposlolici: Ipsi, ut delegati sedis apostolicae, prohibeant, mandent, corrigant, atque ad ea servanda censuris aliisque poenis compellant etc. Ma con tutto ciò è una compassione (diciam così) il vedere lo strapazzo che fanno ordinariamente i sacerdoti di Gesù Cristo in celebrare questo gran mistero. E quello che fa più meraviglia, è che vedonsi anche religiosi di religioni osservanti e riformate celebrare le messe in modo che darebbero scandalo anche a' turchi e idolatri.

 

E vero che 'l sagrificio dell'altare basta a placare Dio per tutt'i peccati del mondo; ma come può placarlo per le ingiurie che gli fanno i sacerdoti nello stesso tempo che glie l'offeriscono? poiché, celebrando essi con tanto poca riverenza, dal canto loro gli recano più di disonore che di onore. Eglino l'offendono allora come oltraggiatori della stessa divina vittima che offeriscono. È reo l'eretico che non crede la presenza reale di Gesù Cristo nella messa; ma è più reo chi la crede e non le usa rispetto; e di più si fa causa, come si fa


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il sacerdote che celebra con poca riverenza, che gli astanti perdano il concetto e la venerazione che si deve alla maestà d'un sì gran sacrificio. Il popolo de' giudei ebbe già prima una gran venerazione a Gesù Cristo; ma quando poi lo vide dispregiato da' sacerdoti, ne perdé in tutto la stima: e così al presente i popoli in veder la messa trattata con tanta negligenza e indivozione da' sacerdoti, ne perdono la venerazione. Siccome una messa celebrata con divozione infonde divozione anche agli altri; così all'incontro l'irriverenza del sacerdote diminuisce la venerazione ed anche la fede negli astanti. Come mai l'indivozione del sacerdote, ch'è il ministro di questo sagrificio e 'l depositario del corpo di Gesù Cristo, può spirare agli altri sentimenti di divozione e di rispetto? Qual concetto può infondere negli altri della santità e maestà d'un tanto mistero quel sacerdote che ne dimostra più presto disprezzo che venerazione?

 

Ma i secolari si lamentano di questi sacerdoti, se la messa è lunga. Dunque, dico per prima, la poca divozione de' secolari ha da esser la regola del rispetto, con cui dee celebrare il sacerdote? Ma dico per secondo, che se tutt'i sacerdoti celebrassero colla riverenza e gravità dovuta a questo sagrificio, altra venerazione terrebbero certamente i secolari della messa, e non si lagnerebbero in assistere ad una messa che dura mezz'ora. Ma siccome ordinariamente non vedono celebrarsi altre messe che quelle che niente conciliano la divozione e 'l rispetto, perciò abituati nella loro indivozione e languidezza di fede, se vedono poi un sacerdote che celebra colla riverenza dovuta, per lo mal uso fatto ne sentono rincrescimento e se ne lagnano, e quelli che non si tediano di starsene per molte ore ad un tavolino di gioco o in un'anticamera a corteggiare un uomo di terra, poi si tediano a stare per mezz'ora a sentir una messa. Se tutt'i sacerdoti (dice un autore) celebrassero da sacerdoti, i secolari sentirebbero la messa da cristiani e con divozione.

 

Gran cosa! Dio comanda a' sacerdoti nell'antica legge che alla sola vista del santuario tremassero per la riverenza: Pavete ad sanctuarium meum 1: e poi i sacerdoti di Gesù Cristo ardiscono di star sull'altare alla presenza del Verbo incarnalo, di offerirlo, di tenerlo nelle mani e di cibarsi delle sue carni con poca riverenza?

 

Ma dice taluno: Io non manco alle cose essenziali; mancare alle cerimonie è poca cosa. Senta, chi dice così, quel che diceva il Signore di chi mancava alle cerimonie degli antichi sagrificj: Quod si audire nolueris vocem Domini, ut custodias caeremonias... venient super te omnes maledictiones istae: maledictus eris in civitate, maledictus in agro etc. 2. Diceva s. Teresa: Io darei la vita per una cerimonia della chiesa; e 'l sacerdote farà poco conto delle cerimonie della messa? Insegna il p. Suarez che la mancanza di qualunque cerimonia prescritta circa la messa è peccato; e i dottori concordano in dire che un notabile strapazzo delle cerimonie (che senza meno vi ha da essere quando si celebra con troppa fretta) è peccato mortale, così per la grave irriverenza verso del sagrificio, come per lo scandalo che tale strapazzo


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agli astanti, facendo loro perdere la venerazione dovuta alla messa: Ad vos, o sacerdotes, qui despicitis nomen meum et dixistis, in quo despeximus nomen tuum? In eo quod dicitis, mensa Domini despecta est 1. Il disprezzo che fanno i sacerdoti dell'altare, è causa che quello sia disprezzato ancora dagli altri.

 

E questa è la causa poi che si vedono tanti sacerdoti, e tanto pochi sacerdoti santi. Mosè non uscì dal congresso ch'ebbe con Dio, se non tutto acceso d'amore, sì che portava il volto risplendente di luce; e così ogni sacerdote non dovrebbe partirsi dall'altare se non infiammato di nuovo fervore. Ma la sperienza fa vedere che questi tali sacerdoti che celebrano con poca divozione sempre ricadono negli stessi difetti; si vedono sempre tepidi, sempre impazienti, sempre superbi, gelosi, attaccati all'interesse, alla stima propria, a' piaceri e spassi mondani. E dove è il frutto di tante celebrazioni e di tante comunioni, cibandosi ogni mattina delle carni di Gesù Cristo? Defectus non in cibo est, dice il Cardinal Bona, sed in edentis dispositione. Sicché per venire al mio intento, dico che la prima causa di tanti difetti, e di celebrare i sacerdoti con sì poca divozione e riverenza, è perché si va all'altare senza pensare a quel che si va a fare; si va o per fine di lucro o per uso fatto, senza disposizione e senz'apparecchio. In quanto alla disposizione, affin di ricavare profitto dalla messa, son necessarie due cose; desiderio d'avanzarsi nel divino amore, e distacco dagli affetti terreni: in un cuore pieno di terra l'amor divino non trova luogo, e perciò non entra. In quanto poi all'apparecchio, bisogna premettere almeno mezz'ora, almeno un quarto d'orazione mentale. Che messa divota vuol dire quel sacerdote, che va a celebrare senza preparazione, passando da faccende e discorsi di mondo immediatamente all'altare, e senza pensare neppure a quel che va a fare?

 

Gran cosa! tanti buoni autori, il cardinal Bona, il p. Molina, il p. Mansi, il p. Sabatini, e tanti altri esortano ed inculcano l'apparecchio alla messa, e scrivono tante belle considerazioni ed affetti a questo fine; ma quanti sacerdoti poi fanno quest'apparecchio? Per tanto io ho pensato di dare alle stampe le seguenti brevi considerazioni per ciascun giorno della settimana, cogli affetti per l'apparecchio alla messa; e consideratamente ho procurato di farle brevi, acciocché quei sacerdoti a' quali rincresce di trattenersi più lungo tempo, almeno leggano, prima di celebrare, queste poche riflessioni, e facciano gli atti qui proposti.

 

Ho soggiunto poi in fine alcuni altri affetti e preghiere per lo ringraziamento dopo aver celebrato. E questo è l'altro gran disordine, per cui i sacerdoti ritraggono poco profitto dalle loro messe. Che miseria ancora è il vedere tanti sacerdoti, che appena finita la messa se n'escono della chiesa o pure si mettono a discorrere di cose inutili! Si affaticano similmente gli autori ad inculcare il trattenersi in orazione dopo la comunione; ma quanti sono questi sacerdoti che in ciò si trattengono? Ve ne sono alcuni, ma rari; anche taluni religiosi che fanno vita solitaria e molta orazione in altro tempo, poco poi attendono a stringersi con Dio dopo la messa;


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quando che insegnano molti gravi autori, che la santa comunione, finché durano le specie sacramentali, tanto maggior frutto apporta all'anima, quanti più sono gli atti con cui ella in quel tempo si dispone a ricever le grazie. Inoltre, dicono che gli atti buoni dopo la comunione hanno molto più valore e merito appresso Dio, che fatti in altro tempo: e con ragione; mentre allora l'anima sta unita con Gesù Cristo, secondo quello che egli disse: Qui manducat meam carnem, in me manet, et ego in eo 1. All'incontro in quel tempo par che il Signore stia più disposto a dispensare le sue grazie. Scrive s. Teresa che Gesù Cristo dopo la comunione si colloca nell'anima come in trono di grazia e le dice: Quid vis ut tibi faciam? Anima, cercami grazie; a posta son venuto per farti bene; cercami ora quel che vuoi e l'otterrai. Perciò il p. Baldassarre Alvarez e tutti i dottori mistici dicono, doversi fare gran conto del tempo dopo la comunione. Il p. maestro Avila, anche in tempo che stava facendo le sue missioni (come si narra nella sua vita) almeno si tratteneva per due ore in orazione dopo la messa. Almeno per una mezz'ora dovrebbe trattenersi ogni sacerdote dopo che ha celebrato.

 

Prima di venire alle considerazioni, giova qui soggiungere un sentimento d'un dotto autore circa coloro che s'astengono per umiltà dal celebrare. Dice taluno: Io m'astengo dal celebrare spesso, perché mi conosco indegno. Risponde l'autore che l'astenersi dal celebrare per umiltà è bensì atto buono, ma non il migliore. Gli atti di umiltà e di riverenza danno onore a Dio, ma un onore finito che viene da noi; ma l'onore che diamo a Dio con dire la messa, è un onore infinito, perché vien fatto a Dio da una persona divina. Ond'è che quando procuriamo di apparecchiarci a celebrar con divozione, per quanto possiamo secondo la nostra debolezza, daremo assai maggior gloria a Dio celebrando, che coll'astenercene per umiltà.

 




1 Sess. 22. decr. de obs. etc.



2 Zach. 9. 17.

1 In ep. ad Eph. 6.



2 Orat. Dom. post Pent.



3 Trid. sess. 22. c. 2.



4 Gabr. lect 4.



5 Lib. 4. c. 32.



6 Io. 16.



7 Rom. 8.

1 Ses. 22. decr. de observ. in cel. etc.



2 Cit. decr. de observ. etc.

1 Lev. 26. 2.



2 Deut. 28. ex  n 15.

1 Mal. 1. 6.

1 Ioan. 6.




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