PARTE
SESTA
PAROLE AL VENTO
Gli
uomini.
Non si
mettano sulle difese, signori. Io non ho la menoma intenzione di dare degli insegnamenti
agli uomini sul modo di vivere. Figurarsi! So bene che nella divisione dei doni
della Provvidenza, l'intelligenza è toccata tutta a loro.
Si sarebbero
per caso degnati,
"Annebbiando
il cipiglio
Tra l'inno e lo
sbadiglio,"
di leggere l'epigrafe che ho
messa in fronte a questo libretto?
È messa là per loro.
Una volta, la
Viscontessa Giovanna d'Albret, madre di Enrico IV, traviata dalle chiacchere
emancipatrici, remotamente future, dell'onorevole Salvatore Morelli, ebbe la
curiosa idea di salire in pulpito, nell'oratorio d'un convento di Limoges a
predicare la riforma. Tant'è vero che nulla è nuovo sotto il sole, neppure le
signore mitingaie che noi crediamo una nuova produzione del suolo
americano.
Si figurino
l'indignazione di quei frati! Bruciarono il pulpito, scomunicato dalla presenza
d'una donna; poi scarabocchiarono in un cattivo quadro la caricatura di quella
scena di predicazione, e vi scrissero sotto quella massima d'oro:
"Mal sont les gens endoctrinés
Quand par femme sont sermonnés."
Io me la sono
mandata a memoria religiosamente, e, come vedono, l'ho posta in fronte a questo
lavoruccio, come professione di fede, persuasa che essa sola potrebbe ottenermi
la loro indulgenza; perchè so bene che non tutti gli uomini sono frati; ma so
altresì che i frati non sono che uomini.
Dunque, io
non ho punto, ma punto la presunzione di voler insegnar loro la menoma cosa.
Mi limito ad
osservare quello che vedo ogni giorno in società, ed a dirne il mio debole
parere, sempre in rapporto a quelle tali leggi di convenienza, che,
modificandosi secondo i tempi, sono venute fino a noi traverso tante e tante
generazioni.
I giovinetti
sono una compagnia geniale, ed in tutte le case sono bene accolti, perchè,
giovani e senza cure d'affari nè di famiglia, portano con sè l'allegria.
Un giovinetto
a modo non dovrebbe mai mostrare quelle ritrosie di cattivo genere, di
rifiutare ogni offerta come se temesse di contrarre un'obbligazione, di farsi
pregare per accettare un pranzo, di promettere una visita e non farla, di stare
delle settimane senza farsi vedere dalle persone che gli furono cortesi,
insomma di far cadere dall'alto i suoi favori, a rischio che, nella caduta, si
spezzino e perdano ogni pregio.
Quando un
giovinetto non si dà delle arie da prezioso, è tale l'onda di giocondità e di
buon umore che emana dalla sua compagnia, che le signore, anche le mamme più
sussiegate, hanno per lui una indulgenza somma.
Una volta che
una signora gli ha accordato il titolo tanto lusinghiero di amico di casa, egli
può darle del voi, presentarsi a tutte le ore in cui riceve, anche più volte in
un giorno, trattenersi lungamente, annunciare egli stesso che si ferma a pranzo
o a colazione, organizzare giochi e passatempi, e, nell'entusiasmo dei giochi
mettere anche un po' sossopra la casa per combinare scene e travestimenti.
Ma tanta
cortesia non si ottiene senza compenso. In compenso il giovine amico deve
prestarsi di buon grado a fare qualche commissione o qualche facile ambasciata
che la signora gli affidasse, accompagnarla se occorre, non rifiutarsi mai alle
partite di divertimenti, o di viaggi, o di campagna che gli vengono proposte,
se non sono incompatibili colle sue occupazioni. Deve saper tollerare scherzi
ed osservazioni, e se qualche signora, non troppo gentile, ha l'indiscrezione
di rinfacciargli qualche suo difetto, deve rassegnarsi, volgere la cosa in
burla e non risponderle per le rime, nè rinfacciarle i suoi.
Per quanto
intimo di una famiglia, commette sempre una sconvenienza un uomo che, alla
presenza dei padroni, rivolge il discorso alla cameriera che attira la sua
attenzione.
Se una
signora che gli concede la sua amicizia è ammalata, un uomo non deve mandare un
servitore a prender nuove, ma deve andarci assiduamente in persona, e, appena
può essere ricevuto, non essere avaro di visite, renderle in tanta compagnia ed
in tante premure, le cortesie ricevute da lei.
Se vede in
teatro una signora di sua conoscenza non deve mancare d'andare a salutarla in
palco, a meno che la sapesse invitata nel palco di altre persone, presenti, che
egli non conosce.
A tutte le feste ¾
natalizi, onomastici, solennità, anniversari ¾ che si
celebrano in una famiglia amica, un giovanotto dovrà prendere parte non solo
intervenendo alla festa, ma mandando dei fiori o dei dolci, o un ricordo
qualunque, non di valore, ma che riveli una cura gentile in chi lo scelse.
In tutti i
giochi, in tutti gli esercizi che richiedono forza, come l'alpinismo, il
pattinaggio, il lawn‑tennis, il criquet, la caccia, il bigliardo,
l'equitazione, ecc., un giovinotto di buon gusto, senza affettare di lasciarsi
vincere per una svenevole galanteria, non deve ostentare colle signore la superiorità
della sua forza, obbligandole ad una soverchia fatica per non sfigurare al suo
confronto.
È superfluo
il dire che certi discorsi di belle donnine, o anche soltanto di sport affatto
maschile, si debbono evitare colle signore, le quali possono trovarli o
sconvenienti o noiosi.
Alle feste da
ballo un giovine gentiluomo deve saper essere cortese fino alla galanteria
colle signore e specialmente colle signorine, senza mai varcare quella misura
oltre la quale la maldicenza lo aspetterebbe al varco per fare le sue
osservazioni.
Per
conseguenza, non insistere a domandare troppo sovente il ballo alla stessa
dama, non farle una corte troppo esclusiva e manifesta, non condurre le
signorine sole al buffet, non isolarsi sopra un canapè con una
signorina mentre non si balla, ecc., ecc.
Capisco che
questi errori hanno per lo più origine dalle passioni, alle quali non si può
fare la legge; ma finchè la passione non c'entra, finchè domina la ragione, un
uomo è inescusabile se col suo contegno compromette una signora.
In qualunque
luogo si trovi, un giovine deve sempre usare alle signore ogni sorta di
riguardi, senza lasciarsene distogliere dall'età avanzata o dalla figura poco
attraente. In questo sta il merito della cortesia.
*
* *
Gli uomini,
un po' più positivi delle signore, si abbandonano più facilmente ai loro gusti,
e diventano più presto abitudinari. Uno non può discorrere il mattino appena
svegliato e vincere un certo malumore che gli rimane dopo il sonno, e dovunque
sia, in viaggio con amici, ospite in casa altrui, o nella propria famiglia,
resterà imbronciato e brutto, finchè il malumore mattutino si sia dissipato con
tutto comodo.
Un altro non
può soffrire certi piatti a tavola, e non saprà imporsi il menomo sacrificio
per nascondere la sua ripugnanza agli ospiti che l'hanno invitato; e se un vino
non è di suo gusto, lo lascerà scorgere con una lieve smorfia, o almeno lo
lascerà nel bicchiere con ostentazione.
Alcuni sono
avvezzi ad una temperatura molto alta, e si fregano le mani, si raggrinzano, si
accartocciano inurbanamente in un salotto, che, secondo loro, non è riscaldato
a sufficienza; oppure sono calorosi, e smaniano, soffiano, sbuffano come
locomotive, se l'ambiente è troppo caldo.
Vi sono degli
scapoli avvezzi a pranzar soli, che si fanno tirare gli orecchi, per accettare
un pranzo in casa altrui e non sanno nascondere che s'impongono un sacrificio.
Ad un pranzo d'invito un signore è naturalmente il cavaliere della signora che
ha accanto, e non trascurerà menomamente questa parte, troppo comune perchè
metta conto di ricordargliela. Non è però inutile rammentargli che dopo aver
pranzato con persone che gli furono presentate per la prima volta, dovrà entro
le 24 ore portare in persona una carta di visita alla porta di quei commensali.
Soltanto nel caso che le commensali fossero delle signorine, la formalità si
dovrebbe tralasciare.
Un dono poi
li offende addirittura, lo rifiutano, o lo accettano come per forza e di mala
grazia, poi lo ricambiano troppo presto e con ostentazione, come per far capire
che non vogliono accettar nulla da nessuno.
C'è alle
volte più generosità nell'accettare che nel dare, ed un gentiluomo deve saper
accogliere con garbo e con riconoscenza gli inviti ed i doni, e ricambiarli con
tatto, senza fretta, per scambio di cortesia, non per sdebitarsi.
Molti hanno
contratta la dolce abitudine di abbandonarsi ad un pisolino riconfortante
durante il chilo; e subito dopo un pranzo, in compagnia, cominciano ad
inghiottire sbadigli con ogni sorta di boccacce come se ruminassero, se pure
non cedono al bisogno prepotente di lasciarli partire come razzi, comunicandoli
a tutta la società, che finisce per sbadigliare in coro fino a smontarsi le
mandibole.
Questi
signori abitudinari, che hanno il loro lato buono, perchè facendo tutto per
abitudine, anche l'amore, sono dei modelli di costanza, debbono essere gli
inventori di quel motto che è la quintessenza dell'egoismo: "Il primo
prossimo è se stesso." Ma sarebbero assai più amabili se si ricordassero
un pochino delle giuste suscettività dell'altro prossimo, il secondo.
Se un signore
sa di dover essere presentato ad un pittore, ad uno scultore, ad un musicista,
ad un autore, ad un uomo politico, ad un'illustrazione del teatro, deve se non
li conosce già, informarsi dei quadri, delle statue, delle opere, dei libri,
delle opinioni e gesta dei trionfi del nuovo personaggio, per poterne parlare
con cognizione, e non con quegli accenni vaghi, quegli elogi generici e banali
che fanno parer stupido lui, ed offendono l'altro. Si rammenti a questo proposito
la bella storiella di quelle vicine del signor De‑Amicis, che gli fecero
dire che desideravano di conoscerlo, perchè ammiravano tanto i suoi lavori….. e
poi quando lo videro gli dissero: "Lei si diverte a scrivere,
nevvero? Ma bravo! bravo!" e nel congedarsi gli ripetevano:
"Scriva sa, scriva!" Ed era chiaro che de' suoi lavori non
conoscevano che il titolo, o tutt'al più la copertina, soltanto di vista.
*
* *
Vi sono degli
uomini, non avvezzi alla società, pei quali una visita ad una signora è un vero
supplizio, non per inurbanità, ma perchè vi si trovano impacciati, e non sanno
come contenersi.
Entrano col
cappello fra le mani, e lo tengono sulle ginocchia, lo voltano, lo rivoltano,
lo mettono sotto la sedia quando vogliono aver libere le mani, lo riprendono,
gesticolano allungando la mano che tiene il cappello come un povero che domanda
un soldo, precisamente come vedono fare ai lions. È l'usanza, ed io non
posso che ammirarli d'averla imparata così bene.
Ma vi sono
delle signore che non s'accontentano di dire al visitatore: "Posi il
cappello," lasciando poi che non lo posi se non vuole.
Si credono in
dovere d'insistere, dicono al loro figliuolo o ad una ragazzina di prendere il
cappello al signore.
In questo
caso un gentiluomo cede per non far scene.
Ma il
provinciale, che ha imparato dai lions a far visita con quel disimpegno
tra le mani non sa privarsene, e difende energicamente il suo cappello come
difenderebbe la borsa e la vita, e s'impegna in una lotta di cortesia, che
sembra una vera battaglia, e mette lo scompiglio fra i visitatori.
In tale
circostanza gli raccomando un po' meno di tenerezza per quella parte suprema
del suo vestiario.
Sarà un po'
più imbarazzato ne' gesti, ma in compenso non avrà fatto nascere tutto quel
buscherio.
E quando qualcuno
lo presenta a signore o signorine, non spinga la dimostrazione di cortesia fino
a stender subito la mano. I mariti ed i babbi avrebbero ragione di dirgli:
"Et surtout
pas trop de zèle."
Non vorrei
neppure che quel provinciale, nella sua semplicità, prendesse troppo sul serio
il piacere con cui altri mostra di ricevere la sua visita e si credesse
obbligato a prolungare quel piacere finchè il servitore vada a chiamare la
signora in tavola. Il tempo e la conversazione di una signora sono troppo preziosi,
perchè la cortesia non debba suggerire a chi non è intimo della casa, di
lasciarne un pochino anche per gli altri. Ne goda venti minuti, una mezz'ora,
via, e s'accontenti.
E durante
quel tempo se ci sono altre persone non cerchi di accaparrare l'attenzione
della signora per sè solo. Quando si va in società bisogna lasciare l'egoismo a
casa, e portarci invece un po' d'abnegazione. È a questo patto soltanto che si
può essere veramente cortesi.
*
* *
Alle volte accade
che un giovine rimane colpito come un eroe da romanzo, da un bel visetto di
fanciulla che passa per la via accanto ad un buon viso di mamma.
Se è proprio
un colpo.... da morire, allora cerchi di sapere chi è la fanciulla, e di
giungere a lei per la via retta della presentazione e della domanda ai parenti.
Ma se è di quei colpi che non lasciano la traccia a lungo, e lui non si sente
inclinato alla via retta, un gentiluomo non deve pigliare quella storta.
A cosa
conduce per lo più? A mettere una signorina nell'imbarazzo, a farle commettere
delle imprudenze, a comprometterla, qualche volta persino a impedire che trovi
marito, senza contare le pene di cuore che a quell'età sono crudeli.
E tutto
questo per il misero gusto di mandare e ricevere delle letterine dolci che sa a
memoria prima che sieno scritte, e che dovrà restituire in una scena da
romanzo, ad epistolario finito.
Mantenendo le
signorine in quel grado di semplicità e d'inesperienza che è una delle loro
attrattive, lasciando loro la fede, gli entusiasmi della gioventù, serbandole
ingenue, confidenti per lo sposo a cui saranno destinate, le famiglie contano
sulla cortesia dei giovani che non profitteranno di quella preziosa ignoranza,
per indurre una signorina ad imprudenze, delle quali non può apprezzare la
portata.
Se ogni
gentiluomo rispettasse in ogni signorina la futura sposa d'un altro, non
accadrebbe a nessuno di scoprire più tardi, da qualche pettegolezzo maledico,
che un altro non ha rispettata la sua.
Seguire una
signora o una signorina in istrada, passeggiare sotto le sue finestre, mandarle
ambasciate dalle persone di servizio, sono impertinenze indegne di un uomo
educato. E gli antichi, che hanno dipinto l'Amore con una benda, hanno voluto
dire che le donne innamorate sono cieche se non distinguono quanto c'è
d'offensivo in certe galanterie punto raffinate.
Ad un ballo
un ballerino non darà mai la mano alla ballerina per condurla in figura. Basta
offrirle il braccio. E mentre aspetteranno il loro giro potrà intrattenerla a
discorrere. È ancora un atto di fiducia che gli fanno le famiglie, le quali non
odono i discorsi che può tenere alle loro figliole. Se ne abusasse sarebbe una
enormità. Credo che l'abuso di fiducia sia un aggravante di molti delitti nel
codice penale. E nel codice delle convenienze pure.
Se la signora
a cui domanda un ballo rispondesse che ha un impegno, il ballerino non dovrebbe
mai rivolgersi a quella che sta accanto e che ha potuto udire quel rifiuto.
Sarebbe quanto dirle che la prende per ripiego.
Quando, fra
le signore che ballano, vi sono la padrona di casa o le sue figliole, la prima
domanda d'un giovine educato deve essere rivolta a loro.
Dopo una
festa in casa privata tutti gli uomini che vi sono intervenuti sono in obbligo
d'una visita alla padrona di casa, e la faranno entro la settimana nel suo
giorno di ricevimento.
*
* *
Un giovinotto
che in viaggio si trovasse in vagone con una signora non accompagnata, darà una
buona idea della sua educazione se sorveglierà i suoi discorsi cogli altri
uomini, come se fosse in un salotto, se le userà quelle piccole attenzioni che
si usano in viaggio, di alzare un cristallo, tirare una cortina, aprire o
chiudere una portiera, reggere e mettere a posto una valigia, senza insistere
troppo per entrare in discorso se la signora vi si mostra restia.
Si danno però
casi in cui la civiltà diverrebbe eroismo. Un viaggiatore, che abbia fatto
tutte le cose sue in fretta, si sia alzato di buon mattino, abbia fatta una
colazione spiccia, per giungere in tempo a pigliare un posto d'angolo nel
vagone dove possa appoggiarsi al riparo dalla polvere e dal sole, dovrebbe
essere due volte gentiluomo per cedere tutti questi vantaggi ad una signora, la
quale per fare il suo comodo, è giunta dopo di lui, e magari non ha uno di quei
visi che incoraggiano al sagrificio.
No; sarebbe
troppo pretendere dalla cortesia d'un debole mortale. Basta che le usi i
riguardi dovuti, che non le fumi sul viso, che non pigli atteggiamenti troppo
comodi per dormirle dinanzi; del resto, quanto a' posti pagati non c'è diritto
di sesso che valga; tutti i sessi sono uguali in faccia a' vagoni della strada
ferrata.
Ai tempi di
Monsignor della Casa, ed anche a quelli del Gioia, quegli scrittori di galatei
avevano bisogno di raccomandare a' mariti di non parlare continuamente delle
loro mogli, di non tesserne l'elogio ad ogni momento.
Povere mogli!
Ora la fortuna ha girata la ruota; è venuta la moda insulsa di affettare
l'indifferenza, e bisognerebbe raccomandare precisamente il contrario.
I Turchi si
offendono se altri nomina le loro donne anche per domandar nuove della loro
salute, o per incaricarli d'un'imbasciata cortese. Essi si vergognano dell'amor
coniugale, sia che abbiano parecchie mogli, sia che ne abbiano una sola, e lo
nascondono come una spudoratezza.
Lessi nel Constantinople
di Theophile Gauthier che la moglie d'un console francese a Costantinopoli,
conoscendo questa debolezza, ed essendo donna di molto tatto, nel presentare
delle stoffe da signora, ad un personaggio illustre del paese, gli disse:
¾ Voi
saprete a che uso destinarle.
Sapeva che lo
avrebbe fatto arrossire e confondere nominandogli sua moglie.
Conosco
parecchi mariti, non molti per fortuna, che, sotto questo rapporto, potrebbero
passare per Turchi.
Ho delle
conoscenti (tanto gentili che mi perdoneranno di vedersi accennate qui) che
vedo da parecchi anni, e non so tuttavia che viso abbiano i loro mariti.
Esse mi
dicono:.
¾ Mi
scuserà, marchesa, mio marito è un uomo serio; non fa visite....
¾ Si
figurino, se lo scuso, poverine! Ma loro, signori uomini seri, credono
veramente che vi sia più serietà nel mancare de' riguardi elementari verso le
conoscenti della loro sposa, che nel mostrare, accompagnandola almeno una volta
da ciascuna, che la curano abbastanza per volere sapere dove va, e con chi
tratta? Via; la mano sulla coscienza; lo credono davvero?
Così accadrà
loro d'incontrare per la strada delle signore che la loro moglie vede ogni
settimana, a cui dà del tu, e non le saluteranno.
E quelle
signore non diranno certo:
¾ È un
uomo serio; è occupato di cose troppo gravi ed alte per curarsi di noi....
Punto,
signori miei; me ne duole pel loro amor proprio; ma le ho udite molte volte dire
con un sorriso che non era d'ammirazione:
¾ È il
marito della signora tale. Uno screanzato. Non conosce neppure le relazioni di
sua moglie, poveretta!
Io mi
rallegro coi nostri uomini, che non passino la loro giornata metà ad azzimarsi,
e l'altra metà in visite galanti, come i cavalieri serventi dell'altro secolo.
Ma da un eccesso all'altro ci corre; ed almeno una volta all'anno, come il minimum
della confessione, un marito dovrebbe fare una visita a tutte le relazioni
di sua moglie.
Nelle
famiglie modeste che hanno due, tre persone di servizio al più, alle volte
anche una sola, la moglie si trova nel caso di rendere al marito una quantità
di piccoli servigi; preparargli tutto l'occorrente quando deve vestirsi,
provvedergli i piccoli oggetti di toletta, fargli trovar pronta la colazione,
servirgli il caffè, o una bibita d'abitudine, fargli, a pranzo, l'improvvisata
dei piatti che preferisce, cucirgli la biancheria, ecc., ecc.
Queste cose
per la moglie possono essere una delizia che tiene luogo d'ogni altro piacere o
possono venirle a noia al punto da trascurarle o farle di mala voglia.
Tutto dipende
dal compenso che ne riceve.
Se il marito
non dimentica mai che la moglie è sua uguale, che è debole, che ha bisogno da
lui il coraggio che le manca per affrontare le piccole e grandi miserie della
vita, accoglierà quei servigi intimi e affettuosi come altrettanti favori, e li
compenserà con una buona parola, con un ringraziamento, con qualche elogio.
Oh, se lo
sapessero tutti gli uomini, che largo compenso possono dare con una parola
amorevole e cortese!
Ma se tutto
quello che fa è ricevuto in silenzio, come un tributo che lei deve per obbligo
al suo signore e padrone, se lui non si dà la briga di mostrare che avverte le
sue cure e le apprezza, anche la moglie più devota si stanca, e pensa:
¾ A cosa
serve?
Da questo
derivano le tante piccole mancanze, i bottoni staccati, i guanti scuciti, il
pranzo in ritardo e poco accurato, e talvolta il disamore della casa nella
moglie, il malcontento nel marito, la tristezza in famiglia, la pace perduta.
Perchè?
Per un'inezia.
Perchè il capo di casa, che deve dare l'esempio del modo di
vivere, ha dimenticato che nè l'affetto nè l'intimità non dispensano dalla
cortesia. Perchè ha lasciata andare a poco a poco la buona e dolce abitudine
della gentilezza, ha preso a trattare in casa come non tratterebbe fuori, e,
senza avvedersene, è arrivato ad essere quasi inurbano, a ricevere un atto
gentile senza ringraziare, a lasciar parlare senza rispondere o a rispondere
con asprezza se non è di buonumore, o a rimproverare senza tutti quei riguardi
di delicatezza che si devono ad una signora, la quale, al pari di lui, è
padrona di casa.
Un capo
di casa deve insegnare alla famiglia il rispetto dovuto alla propria moglie.
A lei deve il
primo saluto entrando in casa; a lei deve offrire prima i piatti in tavola, e
lasciare la destra al passeggio ed in carrozza, ed uscendo insieme, di sera od
in campagna, deve offrirle il braccio, ed usarle tutte le attenzioni che
userebbe ad un'altra signora.
Se vi sono
dispareri tra loro, se deve farle qualche osservazione, avrà cura di chiamarla
in disparte e di risparmiarle qualunque umiliazione davanti alle persone di
casa anche alle più intime, anche ai suoi genitori.
Deve tener
conto delle sue delicatezze di donna, e neppure le piccole critiche sopra un
abito o una pettinatura, non deve farle presente a terzi per non obbligarla ad
arrossire.
Una volta
sarebbe cascato il mondo se una signora avesse fatto un viaggio da sola. Allora
il marito doveva sempre accompagnare la moglie in viaggio, e da ciò risultava
che si viaggiava pochissimo.
Ora la grande
facilità dei mezzi di trasporto, la maggior istruzione, che va abolendo una quantità
di pregiudizi, hanno reso il viaggiare assai comune, e gli uomini che hanno
delle occupazioni possono, senza essere ineducati, lasciare che la moglie vada
sola da un paese all'altro, se le circostanze lo esigono.
Ma, per
carità, non spingano la fiducia fino all'indifferenza.
Il marito
deve mostrarsi interessato dell'itinerario del viaggio, dell'orario più o meno
comodo; deve accompagnare la signora alla stazione, non abbandonarla prima
d'averla veduta a posto nel vagone, risparmiarle tutte le noie del bagaglio,
del biglietto di ferrovia, ecc., raccomandarla a qualche conoscente pel viaggio
se è possibile, ed assicurarsi bene che sia aspettata dove giunga.
Se la signora
va ai bagni o alle acque, deve scrivere lui stesso al medico o al proprietario
dello stabilimento per avvertire dell'arrivo, e raccomandare che si usino a sua
moglie tutti i riguardi possibili.
Ed al suo
ritorno deve trovarsi ad aspettarla alla stazione, se non foss'altro perchè i
compagni di viaggio, dei quali ha potuto attirare l'attenzione, vedendola
andare sola come la donna di nessuno, non facciano sul suo conto giudizi
temerari.
Vi sono
mariti che non si dànno nessuna di queste brighe, e cercano di scusare la loro
trascuranza dicendo:
¾ Ho
troppa stima di mia moglie per aver bisogno di curarla. So che sa regolarsi
bene da sè.
Questo
eccesso di stima tradotto in buon volgare vuol dire:
¾ Non
credo che valga la pena di custodirla: non me ne curo.
Le donne,
signori miei, hanno la loro parte di amor proprio. Preferiscono un Otello che
le strangoli, ad un marito placido che le stimi a quel modo.
Una moglie
che viene abbandonata a se stessa è come un gioiello che si lascia sopra una
tavola d'anticamera, coll'uscio aperto. Non importa che venga rubato, o si
giudica talmente privo di valore, da non poter attirare nessun ladro. E qualche
volta il bisogno di affermare il proprio valore al marito, che non lo
riconosce, induce la moglie a lasciar venire il ladro.
Quando una
signora va ad un ballo il marito deve accompagnarla; e se non può farlo, deve
persuaderla a rinunciarvi anche lei.
Soltanto nel
caso in cui vi fossero delle figliole grandi, per non privarle di quel
divertimento tanto caro alla loro età, se anche il capo di casa è nell'impossibilità
di accompagnarle, potrà permettere alla moglie d'andarvi colle signorine,
purchè vi sia un fratello maggiore, o un parente a cui affidarle.
Se una
signora ha una serata per ricevere il marito dovrà trovarsi in casa almeno una
mezz'ora, tanto da mostrare che gradisce la presenza degli ospiti in casa sua,
e non si considera estraneo alle conoscenze della sua signora.
Giungendo in
campagna dove la moglie passa l'estate, o tornando da un viaggio, chiunque
siano le persone che si trovano al suo arrivo la prima a salutare sarà sempre
la moglie, poi i figli. Uno che credesse di mostrarsi cortese salutando prima i
forastieri, mostrerebbe che la sua cortesia è superficiale e non ha radice nel
sentimento.
E si farebbe
torto, perchè, credano signori lettori, per quanto queste possano sembrare
semplici formalità o leggerezze, la vera cortesia è strettamente legata ai
sentimenti di umanità.
Non c'è atto
cortese che non s'inspiri ad un buon sentimento. Non c'è scortesia che non
ferisca qualche cuore.
Un amico che
ci trascuri, che non ci visiti, che non ci scriva a tempo, che ci manchi di un
riguardo, non possiamo considerarlo un uomo superiore che non si curi di quegli
atti gentili perchè li crede pure formalità, e si riservi a dimostrare la sua
amicizia nelle grandi circostanze.
Le grandi
circostanze, il caso di buttarsi nell'acqua o nel fuoco per salvarci, o di
scendere in campo chiuso a spezzare delle lancie in nostro favore non accadono
mai; quasi tutti si traversa la vita senza trovarsi nel caso di mettere un uomo
a quella prova eroica. Ma si può apprezzarne ogni giorno la sua gentilezza
d'animo, nelle piccole cortesie, e si può soffrire ogni giorno della sua
rozzezza nelle scortesie che non sono mai piccole.
E non serve
la scusa pretenziosa ed assurda alla quale alcuni si aggrappano:
¾ Sono un
originale!
Saranno
originali, sì, ma brutti originali ed è da desiderare che non abbiano copie.
Del resto,
quegli originali là non saranno quelli di certo che mi avranno fatto l'onore di
arrivare fino a questa pagina 230 del mio libro; ed è per questo appunto che ho
intitolato il capitolo: Parole al vento.
Quanto agli
altri, agli uomini gentili di animo e di modi, se l'hanno letto, e se vi hanno
trovato qualche cosuccia di buono, raccomandino il mio lavoro alle loro mamme,
alle loro spose, alle loro figliole; ed io, che apprezzo ed ambisco
l'approvazione delle graziose lettrici, ne sarò riconoscente
"Finchè il sole
Risplenderà sulle sciagure umane."
Se al contrario
non vi hanno trovato nulla, proprio nulla, che metta conto d'esser letto, non
lo dicano a nessuno; non mi tolgano la simpatia delle signore, che ne' miei
pochi lavori mi sono studiata di guadagnare, e di cui vado superba. Che male ho
fatto infine? Un libro inutile? Dappoco? Una sciocchezza? Ma pensino che se si
avessero a punire tutti quelli che hanno scritto delle sciocchezze, più di
mezzo mondo ne patirebbe, perchè, come tutti sanno,
"Les sots, depuis Adam, sont
en majorité."
Fine.
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