Ugo Foscolo
Ajace

ATTO PRIMO

SCENA QUARTA Agamennone, Ulisse, Teucro

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SCENA QUARTA

Agamennone, Ulisse, Teucro

TEUCRO

T’onori Giove, o re de’ forti.

AGAMENNONE

A Dio

Mal s’obbedisce e al re. Dall’alba indissi

La pugna. Or so che il popolo paventa

Vani presagi. E a che tardate a indurlo

A obbedienza ed a timor piú sano

Del vostro scettro? o pari al volgo i duci

Credono spento col Pelide in noi

Ogni valor?

TEUCRO

Vive in noi sempre. E il campo

Riede a fidanza. Delle danae genti

E de’ celesti messaggero io vengo.

E le fatali chieggio armi d’Achille

Per Ajace.

AGAMENNONE

S’arroga egli quell’armi?

TEUCRO

Non ei. D’Achille ancor siede al sepolcro

Presso l’onda Sigea. Quivi gli piacque

Dimorar solo, e piangere l’amico

Da cui disgiunto mal suo grado ei visse.

Or lo chiama e lo placa, e a lui sotterra

Manda gemendo omai l’ultimo addio.

ULISSE

Tu, dunque, o Teucro, (e generoso amore

Ti sprona) estimi delle sacre spoglie

Degno il fratel?

TEUCRO

Degne d’Ajace il grido

Universal de’ popoli le stima.

Già il terror concitava ed il desio

Del patrio suol gli Argivi a dar le navi

All’oceano ed alla fuga. I soli

Mirmidoni anelavano alla pugna

Per immolar trojane vite all’ombra

Del lor signore: e prosternati, intorno

Alla fumante malestinta pira

Tutti giacean ferocemente muti.

Or quando udiro del ritorno, un grido

Dier terribile, e mille aste brandendo

Tutti ad un tempo sursero da terra.

E prorompean nel vallo che circonda

De’ prigioni le tende. Uscí Tecmessa

Dal padiglion del padre: «Io son, dicea,

Moglie d’Ajace; de’ figli d’Ajace

Madre son io: sorella io sono, e figlia

De’ prenci inermi che volete al rogo

Sacrificar». — Pudor li vinse e il nome

Del forte; e incerti, immobili sul vallo

Ristettero. Fremendo indi dier volta

E la minaccia ritorcean sull’oste

A impedirgli la fuga. Ira al terrore

Sottentrava ne’ popoli. Ma in mezzo

Calcante apparve, e rivolgendo gli occhi

La riverenza per gli Dei diffuse.

«Ilio cadrà, gridò il profeta; i numi

Lo edificaro: alle armi, opra de’ numi,

Il sacro Ilio cadrà». Levò le palme

Febo adorando e il cenno alto del Dio:

E il pugno intanto degli Achei piú lente

Brandia le che volgeansi a terra.

Chiamano Ajace a un grido solo, Ajace

Degno dell’armi e domator di Troja.

AGAMENNONE

Giovine, ardita inchiesta movi. In mente

De’ numi è ancor di chi fien l’armi. E tale

È il scettro mio, che a me serbarle io sdegno.

Ma se Ajace o se duce altro le merti

Tumultuante giudice la turba

Forse udirò? Nell’assemblea de’ regi

Starà l’arbitrio o in me. — Me primo elesse

Esecutor de’ suoi consigli il cielo.

TEUCRO

Turbato parli, o re; che Ajace l’armi

Al par di te forse non curi estimo;

Non però so che viva altro mortale

Atto a vestirle.

AGAMENNONE

Un altro araldo all’Augure

Voli, e lo sdegno del suo re gl’intimi.


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