Giovanni Battista Casti
Opere scelte di Giambattista Casti
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POESIE SCELTE

POESIE LIRICHE ANACREONTICHE

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A FILLE PROTESTASI CONTENTO DI MEDIOCRE STATO, SENZA AFFANNARSI IN TRACCIA DI RICCHEZZE O DI ONORI.

A DORI STUDIOSA DI FILOSOFIA LA DISSUADE DALL’APPLICARSI AI FILOSOFICI STUDI

A FILLE LE MOSTRA IL PREGIO DI UN VIRTUOSO AMORE

A FILLE L'AVVERTE ACCIÒ NON GIUDICHI SECONDO LE APPARENZE

A FILLE LA ESORTA A SCANDIRE LA IMPORTUNA MESTIZIA

A FILLE SOGNO

IL CONTENTO

A DORI IL POETA INVITA LA SUA AMICA A BERE

L'INVERNO A FILLE

LA PRIMAVERA A NICE

LA STATE A FILLE

L'AUTUNNO A FILLE

SCHERZO DELL'AUTORE CON FILLE

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ANACREONTICHE

 

NON CURA IL POETA DI CANTAR GUERRE OD ARTI, MA SOLO CANTA DI AMORE PER PIACERE ALLE DONNE.

 

Io non vo' di squadre armate

Cantar l'ire sanguinose,

E le guerre detestate

Dalle madri e dalle spose;

, cercar vo' negli oggetti

Che al mio sguardo offre Natura,

Di sì strani e vani effetti

La cagione incerta, oscura.

Gaio umor, placido ingegno

A me dièro amici i numi,

E da grave aspro contegno

Alienissimi costumi.

Cantar vo' di Dori e Fille,

Ed esporre in dolce stile

Idee facili e tranquille,

Grate sempre a un cor gentile;

Aureo crin, pupille nere,

Molli sdegni e molli amori,

Cose tai che con piacere

Legger possa e Fille e Dori.

Donne belle che ascoltate

Di mie rime il vario suono,

Se mie rime a voi son grate,

Più non vo'; contento io sono.

Abbia pur suo nobil vanto

La famosa argiva tromba,

Che cantò quei che del Xanto

Su le rive ebber la tomba.

men denno in pregio aversi

Quelle menti alte e divine

Che raccor potèro in versi

Filosofiche dottrine:

Io temprar di quella cetra

Vo' le corde argute e pronte

Per cui va famoso all'etra

L'amoroso Anacreonte.

Pien di grazia e di vivezza

Canti Bacco, o canti Amore,

Di un piacer, di una dolcezza

Sempre nuova inonda il core.

Voglia il Ciel che in parte anch'io

Sparger possa i versi miei

Di quel vezzo e di quel brio,

Dono sol de’ sommi Dei;

Sicché mai del compiacente

Genio vostro io non abusi,

E non stanchi a voi la mente

Con pensieri oscuri, astrusi:

Ma si appaghi e si riposi

La tranquilla fantasia

Su i concerti dilettosi Della facil poesia.

crediate, o donne care,

Ch'io nel cor nutra desio

Che varcati e monti e mare

Sia famoso il nome mio:

Gli alti pregi io non mi ascrivo

De' gran vati e degli eroi

Donne mie, s'io canto e scrivo,

Scrivo e canto sol per voi.


 

 

 

<< <   > >>A FILLE

 

PROTESTASI CONTENTO DI MEDIOCRE STATO, SENZA AFFANNARSI IN TRACCIA DI RICCHEZZE O DI ONORI.

 

O cara Fillide,

Che spesso sei

Soggetto amabile

De' carmi miei,

V'è chi su fragile

Dubbio naviglio

A grave esponesi

Fiero periglio,

E per l'instabile

Ampio oceano

Scorre ogn'incognito

Clima lontano,

Onde raccogliere

Le merci rare

Fra genti barbare,

In seno al mare

V'è pur chi a spargere

Le cure ha intente

Su i campi libici

Ampie semente,

E ognor fa a Cerere

Voti e promesse,

Se giunga a mietere

La ricca messe:

Chi sotto il carico

D'elmo e lorica

Affronta intrepido

L'oste nemica;

Onde alto e celebre

Onor riporte,

Che a prezzo vendesi

Di sangue e morte:

Chi fra giuridici

Studi s'involve,

E l'altrui dubbia

Ragion risolve:

E chi ognor vigile

In suo pensiero

Sostien le pubbliche

Cure d'impero.

Io, finchè Apolline

Carmi m'ispira

Al suon di eburnea

Etrusca lira,

Finchè spregevole

Non mi deprime

Povertà sordida,

Che i spirti opprime,

Non curo i splendidi

Fastosi onori,

Di Creso e di Attalo

Sprezzo i tesori;

me fra vigili

Cure vedrai

La pace perdere

Del cuor giammai;

dietro correre

A un dubbio bene,

Frutto tardissimo

Di lunghe pene.

Ponmi fra gli orridi

Geli di Scizia,

O nella inospita

Arsa Negrizia;

Ponmi fra i strepiti

Di città lieta,

O in solitudine

Tranquilla e cheta:

Ognor lietissimo

Ognor beato

Vivrò nell'aureo

Mediocre stato.

Tra lusinghevoli

Desir fallaci

Passano, o Fillide,

I fugaci;

E intanto perdesi

Ogni momento,

in cui non godesi

Pace e contento:

Perciò, se placide Mi volgi, o Fille,

Quelle bellissime

Care pupille;

Se i pronti cantici

Mi detta Amore,

Loquela armonica

Di un lieto core;

Benchè la frigida

Vecchiezza il crine

Mi venga a spargere

Di bianche brine,

Sul verde margine

Del tosco fiume,

Ripieno l'animo

Del sacro nume,

Spesso fra i lirici

Canori vati

M'udirai tessere

I carmi usati:

Udirai spandere

La cetra mia

Anacreontica

Dolce armonia

E sempre, o Fillide,

Sarai, qual sei,

Soggetto amabile

De' carmi miei.


 

 

 

<< <   > >>A DORI STUDIOSA DI FILOSOFIA

 

 

LA DISSUADE DALL’APPLICARSI AI FILOSOFICI STUDI

 

Lascia una volta, o Doride,

Le gravi cure e i studi,

Su cui sì intenta ed avida

E ti affatichi e sudi.

Perché passar la tenera

Giovin età che fugge,

In frenesia si strania,

Che ti consunta e strugge?

Che importa a te se Venere

Del Sol traversa il disco,

Se noto fu il fenomeno,

O ignoto al tempo prisco?

O qual furor di apprendere

La causa che colora

Di ascensionlucida

La boreale aurora?

Se allor chiaro riverbero

L'aere dal Sol riceve,

O se nel , qual fosforo,

De' rai solar s'imbeve?

O se dal cerchio torrido

Spinta l'eterea luce

Intorno al pigro e frigido

Polo si aduna e luce?

Qual nodo impercettibile

Alla corporea salma

Con armonia mirabile

Insiem congiunge l'alma?

Come irritati i muscoli

Scuotansi pronti al moto,

E come sia de' tendini

O nullo il senso o ignoto?

Come ogni lieve e minima

Sensazion de' nervi

Pronta si porti all'anima,

moto in quei si osservi?

Tu fai restarmi attonito,

Vezzosa Dori mia,

E non poss'io comprendere

Come possibil sia

Che così bella e giovine,

Ogni piacer tu lasci,

E ognor di filosofici

Gravi pensier ti pasci.

Chè ogni qualvolta, o Doride,

A farti omaggio io venni,

Te su i quadrati e i circoli

Fissa talor rinvenni;

L'occhio talor di limpido

Cristal convesso eletto

Armar ti vidi, e scernere

Alcun minuto insetto;

Talor di corpi elettrici

L'attrazïon cercavi,

O l'oscillar de' pendoli

Col discender de' gravi.

Lascia una volta, o Doride,

Lasciastrano impegno,

Che il gaio umor t'intorbida,

E stanca il molle ingegno.

In su le carte assidui

Sudino al caldo, al gelo

Color, che il mento coprono

D'ispido e folto pelo;

O quei che smunti e pallidi

Tuttora han per costume

Di trarre intere e vigili

Le notti al tardo lume.

Tu non dèi leggi e regole

D'alto saper proporre,

al gran savio dell'Anglia

Nuovi sistemi opporre;

mai vedrà te femmina

La gioventù toscana

Su le famose cattedre

Spiegar dottrina arcana.

Atti più dolci e facili

E assai più molle cura,

O gentil Dori amabile,

Ti destinò Natura.

La lingua al canto sciogliere,

Doride mia, tu devi,

E il piè danzando muovere

Con passi giusti e lievi;

O dal sonoro cembalo

Or lieta trarre, or grave

Con dotta mano e rapida

Bell'armonia soave;

Ovver leggiadri esprimere

In gallica favella

Sensi che più convengano

A giovin donna e bella.

Fia tuo piacer degl'itali

Vati che il mondo onora,

Ornar la mente e pascere

Coi dolci carmi ancora.

Degna pur sia di laude

Ninfa gentil, se apprende

De' tempi in su le storie

Gli eventi e le vicende:

Se di tai pregi, o Doride,

Ti appagherai soltanto,

Avrai distinto e celebre

Fra chiare donne il vanto.

Ma di te indegne credere

L'arti non dèi del sesso;

Chè arte a natura aggiugnere

Talora è a voi permesso.

Come più al volto addicesi

Orna e disponi il crine,

E gentilmente adattati

Le fogge pellegrine;

Chè ingrata al Ciel benefico

Donna con fier dispregio,

oscurar dee, ascondere

Di sua bellezza il pregio.

Così su i cor, su gli animi,

Doride mia vezzosa,

Regnar potrai per meriti,

E per beltà famosa.

Ma se di più recondito

Alto saper t'invogli,

Perdi l'età più florida,

frutto alcun ne cogli.

Dunque, mia cara Doride,

Giacchè al piacer t'invita

Beltà leggiadra amabile

A giovinezza unita,

Deh! lascia alfin de' sterili

Studi il furore insano,

E prendi il ben quand'offresi,

Che poi cercarlo è vano.


 

 

 

<< <   > >>A FILLE

 

LE MOSTRA IL PREGIO DI UN VIRTUOSO AMORE

 

E perchè mai sì rigida

Chiudi a ogni affetto il core

Ah! tu non sai, mia Fillide,

Non sai che cosa è Amore.

Se ne sapessi il pregio,

Se tutti i doni suoi,

Vorresti amando spendere

I più bei giorni tuoi.

Amor non è, qual credesi

Dal volgo ignaro e folle,

Languido affetto ignobile

Di un cor lascivo e molle;

Figlio non è di un fervido

Immaginar fallace,

Non è di un ben chimerico

Promettitor mendace.

E benché Amor si reputi

Prima cagion de' mali,

E d'ogni affanno origine

Ai miseri mortali,

Ei non è Amor, ma il pessimo

Traviamento altrui,

Ch'errando suol rifondere

I suoi difetti in lui.

Amor meglio a conoscere,

Meglio a prezzarlo impara,

E omai più saggia e docile

L'alma ad amar prepara:

E non curar di ruvida

Filosofia severa

Il genio aspro e misantropo,

E la dottrina austera:

il tuono grave e querulo

Della senil censura,

il malignar degl'invidi

Nemici di natura:

Poiché sì bella e amabile

Ti fèr benigni i Dei,

Seguir le dolci e placide

Leggi di Amor tu dei.

Vita, principio ed anima

Dell'universo è Amore;

E dove Amor non trovasi

Tutto languisce e muore.

Mira la terra e l'aere,

Il mar, i cieli stessi,

E ne vedrai i caratteri

In ogni parte impressi:

Ei l'armonia mirabile,

Ei l'immortal compose

Indissolubil vincolo

Delle create cose:

Egli ai costanti e rapidi

Moti del Sol legge,

E pe' celesti circoli

Degli astri il corso regge.

Diffusa è in tutto e ingenita

Virtù di Amor fecondo,

Virtù per cui conservasi

E si propaga il mondo.

Amor di genti barbare

Mansüefece e vinse

L'indole fera, indocile,

E in società le strinse.

Ciò che diletta e godesi,

Da lui deriva e nasce,

E ciò che vive e muovesi,

Di Amor si nutre e pasce.

Aman le fere indomite,

Aman gli augei canori,

Aman del vasto oceano

I muti abitatori.

E sol, cred'io, le misere

Anime reo di Averno,

Per più crudel supplizio, Fremon nell'odio eterno.

E tu che bella e amabile

Feron benigni i Dei,

E di que' pregi ornaronti

Onde ricolma sei,

Che tutti amando spendere

Dovresti i giorni tuoi,

Orgogliosetta Fillide,

Tu sola amar non vuoi?

E qual piacer, qual giubilo,

Qual puoi provar diletto,

Se un dolce amor che t'occupi

Mai non risenti in petto?

Poichè se amor non anima

Beltade e giovinezza,

La giovinezza è inutile,

la beltà si apprezza.

Non chiuder dunque, o Fillide Ad ogni alletto il core,

Infin che bella e giovine,

E degna sei di Amore.


 

 

 

<< <   > >>A FILLE

 

L'AVVERTE ACCIÒ NON GIUDICHI SECONDO LE APPARENZE

 

ODI le rapide

Ruote sonanti

Tratte dai fervidi

Destrier fumanti!

Scansiam solleciti

L'urto villano,

Poich'è già prossimo

L'auriga insano;

E mira, o Fillide,

Quel che sdraiato

Siede nel fulgido

Cocchio dorato:

Indosso miragli

D'argento e d'oro

Grave e ricchissimo

Stranier lavoro:

Mira il riverbero

Che rara e grande

Gemma purissima

Dal dito spande;

E seco ha il torbido

Orgoglio e il folle

Fasto insoffribile,

E il lusso molle.

a chi riscontralo

Per lo sentiero

Piegar mai degnasi

Il capo altero.

Ma già il volubile

Cocchio trapassa,

E densa polvere

Dietro si lassa.

Or vada, e celere

Colui si porte

Scherzo e capriccio

Di cieca sorte.

Ma tu, se prospera

Fortuna in lui

Tutti rovescia

I favor sui,

D'ogni ben prodiga

Dispensatrice,

Fille, non crederlo

Perciò felice;

Perchè allo splendido

Fasto apparente

Sol l'occhio abbagliasi

D'ignara gente:

Ma se con provvido

Giudizio sano

Tuo sguardo internasi

Nel cuor umano,

Vedrai che misero

È quei talora,

Cui 'l volgo instabile

Invidia e adora:

Vedrai che torbido

Pensier nascoso

Ad altri rendelo

E a noioso.

Brama avidissima,

Tema, livore,

Odio implacabile

Gli rode il core.

Per le auree camere,

Per le ampie sale

Indivisibile

Noia lo assale.

Dunque non prendere

Facil diletto

Da un lusinghevole

Fallace aspetto.

Se lieta vivere

Sai nello stato

Che o sceglier piacqueti

O il Ciel ti ha dato;

Se poni all'avido

Desire il freno,

Sarai, mia Fillide,

Felice appieno.


<< <   > >>A FILLE

 

LA ESORTA A SCANDIRE LA IMPORTUNA MESTIZIA

 

Qual nuvol grave e torbido

Su la tua fronte accolto

Copre il sereno, o Fillide,

Del tuo leggiadro volto?

Perchè pensosa e tacita

Sempre così ti stai?

Perché di meste immagini

Pascendo ognor ti vai?

Ah! non convien che amabile

Ninfa, che in mille cori

Può a suo talento accendere

I più soavi ardori,

Che nata è sol per essere

La dolce altrui delizia,

Covi tuttor nell'animo

Così crudel mestizia.

Sgomhra le idee che turbano

Del tuo bel cuor la pace

Riprendi omai la pristina

Ilarità vivace.

Forse agli Dii benefici

S'è la Natura unita,

Di mille pregi ornandoti

E di beltà compita,

Perchè d'Amor, di Venere,

E del piacer nemica,

Come di noia carica

Querula vecchia antica,

Del focolar domestico

Dovessi star soletta

A fomentar le ceneri

In chiusa cameretta!

Ah! non mostrarti, o Fillide,

ingrata al Ciel, sì folle,

Di non curar quei meriti

Ond'egli ornar ti volle.

Pur troppo, ohimè! la frigida

Incomoda vecchiezza

Verrà per sempre a toglierti

Le grazie e la bellezza;

allor sarà chi degnisi

Teco formar parola,

E star dovrai in un angolo

Abbandonata e sola:

E all'egre membra e languide

Vigor mancando e lena,

I giorni tuoi più floridi

Rammenterai con pena.

Dunque, finchè la rapida

Giovane età il consente, Godi per or, mia Fillide,

Godi del ben presente.

Ogni tuo cenno adempiere,

Sol che tu vogli, o cara,

E i tuoi piacer promovere

Vorrà ciascuno a gara.

Fra noi già Bacco e Apolline

A riaprir sen viene

Il teatral spettacolo

Su le notturne scene:

Qui turba mista e varia

Di spettator concorre,

E d'una in altra loggia

Libero ognun trascorre,

Ove le belle assidonsi

Co' fidi amanti ognora,

i nuovi omaggi sdegnano

De' venturieri ancora.

Qui vedrai tutti accorrere,

Se te vedranno, a mille

I disiosi giovani

Per vagheggiarti, o Fille.

mi dirai che a femmina

Non rechi ognor diletto

De' sguardi altrui conoscersi

Il più ammirato oggetto.

Vedrai festosi e pubblici

Ferver sovente i balli

Fra mille faci che ardono

Su i pensili cristalli:

E nel danzar gareggiano

Ninfe e garzoni a schiere,

E assidui ed instancabili

Reggon le notti intere.

In strana foggia e barbara

Libero è a ognun che voglia

Trasfigurarsi e ascondersi

Sotto mentita spoglia.

Qui se vorrai pur essere

Con questo ed or con quello

In agil danza a muovere

Il piè leggiadro e snello;

A te d'intorno in circolo

Staransi ammiratrici

Le più lodate e celebri

Esperte danzatrici:

Indi vedrai in lung'ordine

Tra densa folla il giorno

Splendidi cocchi avvolgersi

A vasta piazza intorno.

Tu sol nel comun gaudio

Ai prieghi altrui ritrosa,

In mesta solitudine

Ti rimarrai nascosa?

Ah! non privarti, o Fillide,

Nel più bel fior degli anni

Di che aman più le giovani,

Immaginando affanni:

Chè col soverchio affliggersi

Nessuno il mal distrugge,

Ma un nuovo mal si fabbrica,

E il suo destin non fugge.


 

 

 

<< <   > >>A FILLE

 

SOGNO

 

Cinta di freschi zefiri

Dall'indica marina

Già cominciava a sorgere

La luce mattutina;

Ed io pur anche, o Fillide,

Seguendo il mio costume,

Stavami in sonno placido

Su le tranquille piume;

Quando di vane immagini

La illusa fantasia,

Novo prospetto e vario

Alla mia mente offria;

D'esser allor pareami

In giardin vago adorno,

Quai vidi io già di Romolo

Alla città d'intorno:

Sotto piante che intrecciano

I rami lor frondosi

In dritto ordin si estendono

Freschi viali ombrosi;

E ai lati lor per opera

D'industre giardiniere

Sorgon di mirti e lauri

Altissime spalliere.

Acqua perenne e limpida

Dai fonti ognor zampilla;

O dai muscosi e concavi

Antri cadendo stilla:

In ampie conche ammiransi

sortir dall'onde chiare

Scolpite in marmo pario

Le Deità del mare:

Tra molli erbette spuntano

Tremoli fior su i prati,

Ed in gran vasi olezzano

Gli aranci ed i cedrati:

S'odon garrir su gli alberi

Vaghi canori augelli,

E svolazzar si veggono

Tra i folti ramoscelli:

Or mentre solo e tacito

Men giva a poco a poco

Con lento piè godendomi

L'amenità del loco,

Da lungi in gonna rosea

Per lo sentier più fosco

Leggiadra e bella apparvemi

Donna che uscía dal bosco:

E con ignoto giovine,

Ch'ella per man tenea,

Di serio affar gravissimo

Discorso aver parea;

Ma poscia ambo appressandosi,

Agli atti, alla favella

E alla sembianza cognita

Vidi che tu eri quella.

Per l'improvviso giubilo

Riguardo più non tenni,

E desioso e rapido

Incontro allor ti venni:

O Fille, dissi, o amabile

Luce degli occhi miei...

Ma tu il parlar troncandomi

Dicevi: E tu chi sei?

Ed io: Chi sono? ah! Fillide

Meco scherzar ti piace...

E tu sdegnosa e torbida:

Va, che sei stolto o audace.

E in questo dir sollecita

Volgevi a me le spalle,

E ritornavi a asconderti

Per lo medesmo calle.

E quel garzone incognito

Venia pur anche teco.

E nel partir volgevami

Il guardo altero e bieco.

All'onta fiera insolita

Rimasi freddo esangue;

Il cor m'intesi opprimere,

Sentii gelarmi il sangue.

E non potei più movere

voce allor passo,

Come novella Niobe

Trasfigurata in sasso,

Per lo dolor frenetica

Mentre si lagna e duole,

Giacer vedendo esanime

La numerosa prole.

Ma poichè il fier dispregio

Lo sdegno in me commosse,

Che i sbigottiti e stupidi

Spiriti miei riscosse,

E lo stupore in impeto

Di gelosia proruppe,

La violenta smania

Il sonno alfin mi ruppe.

Ma benchè allor svanirono

Quelle importune larve,

E il nuovo amante e Fillide

Ed il giardin disparve;

Pur mi restò nell'animo

Un livido rancore,

Che mi rodea le viscere,

Che mi straziava il core:

Perchè sapea che sogliono

I sogni del mattino

Esser talor veridici

Annunzi del destino:

Ed alla mente vigile

In richiamar la idea

Di quel garzone incognito,

Che visto in sogno avea,

Distintamente parvemi

Raffigurarvi appieno

La natural stessissima

Immagin di Fileno:

Di quel Filen che scorgesi

Da qualche giorno in poi

Affatto in ver non essere

Discaro agli occhi tuoi;

Con cui l'altr'ier trovandoti

Soletta insiem, vid'io

Che cenno a lui col gomito

Facesti al giunger mio:

E ben potetti accorgermi

Che il ragionar troncaste,

E mendicando i termini,

Di che parlar cercaste.

E a mille segni avveggomi

Che tu non sei la stessa,

E che la mia già prospera

Sorte al suo fin si appressa.

Non trovo in te la solita

Ilarità del viso,

il parlar schietto e candido,

su i tuoi labbri il riso.

Scarse parole e insipide

Soltanto a me dispensi,

Parole in cui non veggonsi

Di un core aperto i sensi;

E intanto quei che timido

Un tempo umil si vide,

Con guardo altero insultami,

E del mio duol si ride.

Ah! che il mio sogno, o Fillide,

Illusion non era!

Tutto mi fa conoscere

Che il sogno mio si avvera.


 

 

 

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IL CONTENTO

 

Il crin cingetemi

Di mirti e rose

Leggiadri giovani,

Donne amorose;

E miste ai cantici

Mentre intessete

Con piè volubile

Le danze liete,

Voci di giubilo

Canore e pronto

M'inspirin Pindaro

E Anacreonte;

E i carmi scorrano

Dai labbri miei

Dolci qual nettare

Che beon gli Dei

Poiché Amarillide

Di questo core

Soave ed unica

Fiamma di amore,

Che priarigida

E sì crudele,

Sprezzò il mio tenero

Amor fedele,

Alle mie lagrime,

Alle preghiere

Prese più docili

Dolci maniere:

E a me con placido

Gentil sorriso

Lo sguardo languido

Fissando in viso,

Se m'ami, dissemi,

Già sento anch'io

Per te amor nascere

Nel petto mio.

E ai penosissimi

Lunghi tormenti

Allor successero

I bei momenti;

E l'alma Venere

Dalla sua sfera

Allor sorrisemi

Più lusinghiera.

Sentii dall'animo

Fuggir la noia,

E il cor riempiermi

D'immensa gioia.

Più chiaro parvemi

Splendere il giorno,

Più grato l'aere

Spirarmi intorno:

Così le lagrime

De' mesti amanti

Compensa il termine

Di pochi istanti,

E la memoria

Del mal sovente

Svanisce e perdesi

Nel ben presente.

Or che, Amarillide,

La fiamma mia

Depose il rigido

Tenor di pria,

Non temo i turbini

Di avversa sorte,

il più terribile

Furor di morte.

Me faccian vivere

I numi amici

Con Amarillide

I felici;

altro mai chiedere

Da lor vogl'io,

a compier restami

Altro desio,

Che in petto accogliere

Idee non soglio

D'insaziabile

Fasto ed orgoglio;

brama pungemi

D'oro e di gemme

Che mandan l'indiche

Eoe maremme.

Abbiasi Venere

Il vago Adone,

Abbiasi Cinzia

Endimione,

al frigio Paride

Elena invidio,

Famosa origine

Dei grand'eccidio:

Per mille celebri

Bellezze e mille

Pera s'io cedere

Voglia Amarille!

Dolci qual nettare

Solo per lei

I carmi scorrono

Dai labbri miei.

Soavi zefiri,

Aurette liete

Che intorno l'aere

Lievi muovete,

Le mie di giubilo

Voci ascoltate,

E i vostri tremuli

Moti arrestate.

Tacete, o garruli

Canori augelli;

Tacete, o queruli

Vaghi ruscelli:

Che i carmi scorrono

Dai labbri miei,

Dolci qual nettare,

Che beon gli Dei.

Del mio non trovasi

Più lieto core

Entro il vastissimo

Regno di Amore:

E così l'animo

M'empie il contento,

Che omai non restavi

Luogo al tormento.

Oh giorni fausti

Che amando io spesi

Oh ardor benefico

Ond'io mi accesi!

O amabilissima

Cara Amarille,

Dalle cui tremule

Vaghe pupille

Tanta discendere

Mi sento in petto

Dolcezza ch'empiemi

D’almo diletto,

Soave ed unica

Cagion tu sei

De' felicissimi

Contenti miei.

Per te a conoscere

la vita imparo,

Per te m'è il vivere

Giocondo e caro.

E voi, fide anime

Che Amor seguite,

E gl'invidiabili

Miei casi udite,

Or che Amarillide,

La fiamma mia,

Depose il rigido

Tenor di pria,

Il crin cingetemi

Di mirti e rose,

Leggiadri giovani

Donne amorose;

E in me di Venere

L'alto favore

Rispettin gl'invidi

Servi di Amore:

E sia di esempio

A ogni alma amante,

Che tutto vincere

Può amor costante.


 

 

 

<< <   > >>A DORI

 

IL POETA INVITA LA SUA AMICA A BERE

 

Non so qual giubilo

E qual contento

Oggi per l'animo

Scorrer mi sento.

Qualunque, o Doride,

La cagion sia

Di questa insolita

Letizia mia,

Secondar gl'ilari

Moti vogl'io,

Che in cor m'infondono

La gioia e il brio.

Vo' che oggi, o Doride,.

Insiem si bea:

Il vin gli spirti

Egli ricrea;

Il vin le torbide

Menti rischiara,

E l'apollineo

Estro prepara.

Or tu sollecita

Vanne, Lisetta,

E pronta recami

Bottiglia eletta.

Ve' di non prendere

Cipro o sciampagna,

Bordò, Canarie,

Il vin di Spagna;

Quel che vien d'Affrica

Non mi disseta,

quel di Persia,

quel di Creta;

Beva l'ungarico

E il borgognone

Chi tanto pregio

In lor ripone

Non cede agli esteri

Liquor squisiti

Il vin elle spremesi

Da tosche viti.

Va dunque, e sceglimi

O carmignano,

Ovver l'egregio

Montepulciano.

Ma... ferma... ascoltami,

Prendi... ti affretta,

Sì l'eleatico

Prendi, Lisetta:

Quel vin cui cedere

Il vanto dee

Lo stesso nettare,

Che in ciel si bee.

Lungi ogni ruvido

Genio severo,

E ogni misantropo

Censor austero:

Lungi ogni torbida

Cagion di noia,

Si lasci il libero

Corso alla gioia.

Dopo terribile

Fiero conflitto

Bevea il macedone

Guerriero invitto;

Allor che in animo

Gravi volgea

Cure lo stoico

Caton, bevea.

Il ber, le immagini

Più vive e pronte

Destò di Pindaro,

Di Anacreonte.

E tutti bebbero

I grandi eroi;

E poscia bevere

Non dovrem noi?

Ma volgi, o Doride,

Volgi le ciglia,

Lisetta appressasi

Colla bottiglia.

Tieni, o dolcissimo

Don di Lieo,

Io già coll'avido

Desir ti beo.

Il nappo or colmami,

Gentil donzella,

Chè far vo' brindisi

A Dori bella.

Vivano, o Doride,

Quelle pupille,

Che in sen mi accendono

Dolci faville.

Viva quest'ottimo

Divin liquore,

Che lieto m'eccita

Estro di amore.

E viva l'aere,

L'umor, la luce

Che questo amabile

Liquor produce;

Poichè dell'acino

Per entro i seni

Di vegetabile

Umor ripieni

Il sole penetra

Nel suo passaggio,

E prigion lasciavi

L'immerso raggio.

Senti lo spirito,

Il vigor grande,

E il soavissimo

Odor che spande?

Oh saggio, oh provvido

Nobil pensiero

Di chi fin d'Elide

portò primiero

Quelle propagini

Nel suol toscano;

Che tal producono

Liquor sovrano,

Opra degnissima

Di prose e carmi,

Opra da incidersi

In bronzi e in marmi!

Chè se il peonio

Etrusco vate,

Che tante annovera

Uve pregiate,

Lo squisitissimo

Liquor bevea

Che fra noi genera

La vite elea,

Quai ditirambici

Elogi avrebbe

Dato a quest'ottimo

Divin giulebbe!

Qual come a principe

D'ogni liquore,

Concesso avrebbegli

Regale onore!

Dunque il nettareo

Liquor si bea,

Che il coro e l'animo

Conforta e bea.

Tu questo, o Donde,

Nappo ricevi,

Le labbra immergivi,

Tutto tel bevi.

Se teco vivere,

E ber mi lice,

Chi di me, o Doride,

Chi più felice!


 

 

 

<< <   > >>L'INVERNO

 

A FILLE

 

 

Vedi come alte e cariche

Ai monti son le nevi,

Lunghe le notti e rigide,

I giorni freddi e brevi!

Stride Aquilone e sibila,

Le vie ricopre il gelo

Ah! non esporti, o Fillide,

Al crudo aperto cielo.

Conserva illese e floride

Le tue bellezze ognora;

A te, mia Fille, serbati,

Serbati a chi ti adora.

Entro ben chiusa camera,

Ov'arda sempre il foco,

Con quei che scieglier piaceti

Stattene in festa e in gioco.

O che ami assisa in circolo

Udir gli altrui racconti,

Ed i graziosi equivoci,

E i motti arguti e pronti;

Ovver proporre a esprimersi

Difficili parole,

O indovinel che ambiguo

Senso nasconder suole;

O vogli far la chioccia

Che i polli suoi difende

Contra il falcon che insidiala

Fin che pur un ne prende;

O d'un che altrui dia regola

Far che con volto e mani

Tutti in un tempo imitino

I segni e i moti strani;

O avendo in man la spazzola

Ed una benda agli occhi,

Indovinar dal sibilo

Chi sia colui che tocchi.

Bello anche fia se apprestisi

Talor cena impensata,

Quanto men ricca e lauta,

Tanto più sana e grata:

Ma la bottiglia in ozio

Qui mai restar non dee;

Chè ogni pensier dall'animo

Fugge di quei che bee.

Spesso udirai far brindisi

Ciascuno alla sua diva,

Ma sopra tutte, o Fillide,

Faransi a te gli evviva.

L'ore così dell'orrida

Fredda stagion dell'anno

Render potrai piacevoli,

Lungi da noia e affanno.

Se me de' tuoi nel numero

Compagno aver vorrai,

Assiduo indivisibile

Al fianco tuo mi avrai.

Qual compagnia più amabile

Unqua bramar potrei,

Fillide mia carissima,

Di quella ove tu sei?

Chè tutti insiem d'Africa

I più cocenti ardori,

della Zembla asprissima

Io curerei gli orrori;

Non della Libia inospita

I deserti arenosi,

Non dell'immenso oceano

I flutti tempestosi.

Se bramerai ch'io reciti

E favole e novelle,

In mente ne ho moltissime

E curiose e belle:

Ognor loquace o tacito

A tuo piacer mi avrai,

Tu al labbro mio dài regola,

Come al mio cor la dài,

E piova e tuoni e fulmini,

E infurii e frema il vento,

Teco sarò sempre ilare,

Sempre sarò contento:

Chi se otterrò bench'infima

Parte nel tuo bel core,

Altra a sperar non restami

Felicità maggiore.


 

 

 

<< <   > >>LA PRIMAVERA

 

A NICE

 

Senti, o bella amabil Nice,

Come lieve e lusinghiera

Spira l'aura annunziatrice

Della nuova Primavera:

Odi i garruli augelletti

Sul mattin liberamente

Svolazzando lascivetti

Salutar il nascente.

Ve' che il Sol su la montagna

Già le nevi e il gel discioglie!

Ve' che il bosco e la campagna

Si coprì di verdi spoglie!

Già con queruli belati

Dall'ovile escon le agnelle

Saltellando per li prati,

E carpendo erbe novelle.

Riedi a noi cinta di fiori,

O ridente Primavera,

O nutrice degli amori,

O di Vener messaggera:

Per te in ciel, nel suol, nell'onde.

O dell'anno età felice,

Si dispiega e si diffonde

La virtù propagatrice.

Ed i semi che coperti

Sotto freddo acuto gelo

Non potean languidi e inerti

Svilupparsi in foglie o in stelo,

Or non più pigri, oziosi,

Dal terren rompendo fuori,

Rigermoglian vigorosi

A produr le frondi e i fiori:

Lascia il chiuso tuo soggiorno,

E depon le spoglie gravi

Del ridente aperto giorno

Per spirar l'aure soavi:

E di vaghe e pellegrine

Vesti adorna in cocchio aurato

Va nell'ore vespertine

Co' tuoi fidi a fronte e a lato

A goder la dolce auretta

Che da Fiesole respira 9,

Ove al fosco duce eretta

Trionfal mole si ammira;

Simigliante a quelle stesse

Che già il popol di Quirino

sul Tebro a Tito eresse,

A Severo e a Costantino.

Gira intorno le pupille,

Mira sparsi i fior, l'erbette,

E i verdi alberi e le ville

Su le vaghe collinette.

O per fresca ombrosa via

Va talor dalle Cascine 10

All'amena prateria.

Cui fa sponda Arno e confine:

Qui di comodi boschetti

Cinta intorno è la pianura;

Quivi son pascoli eletti

Di perenne ampia verdura.

Qui vedrai per ogni lato

Mandre errar pingui e satolle;

Onde suole il delicato

Burro farsi e il cacio molle:

Qui di ninfe e di garzoni

Suol venir allegra schiera,

Quando spirano i favoni

Della nuova primavera;

Ed insiem han per costume

Tesser canti, e alle giulive

Voci lor del vicin fiume

Eco fan le opposte rive.

Qua pei prati e si spande,

E sul suolo ognun si assetta;

E le rustiche vivande

Imbandir fa sull'erbetta.

Tu frattanto andrai mirando

Lo spettacolo festoso

Lentamente passeggiando

Pel sentiero delizioso:

Ed a sì giocondo aspetto

Sentirai un certo moto,

Che ti andrà serpendo in petto

Con piacer soave ignoto.

Sentirai, se attorno miri,

Di letizia empierti il core;

Ti parrà che tutto spiri

Sensi teneri di amore.

Dunque, o Nice mia vezzosa,

Se ad amar tutto richiama,

L'alma altera disdegnosa

Ammolisci, o Nice, ed ama:

Se non ami ora che il cielo

E la terra inspira amore,

Hai un animo di gelo;

Più che selce hai duro il core.


 

 

 

<< <   > >>LA STATE

 

A FILLE

 

 

Come potrem, mia Fillide,

Dell'affannosa State

Passar tranquilli ed ilari

L'ore importune ingrate?

Non altrimenti l'aere

Par che s'infochi e avvampi,

Qual della adusta Libia

Su gli arenosi campi.

stesse appena reggono

Le affaticate membra,

E ogni più lieve spoglia

Grave tuttor rassembra.

Gli oggetti un piacevoli,

Che dièr diletto e gioia,

Altro omai più non rendono

Che increscimento e noia:

E dell'aurata cetera

Al grato suono intanto

Talor l'inerzia scuotere

Cerco, ma invan, col canto.

Troppo cocenti e fervidi

Vibra i suoi raggi il Sole,

Ed escon pigre e languide

Dai labbri le parole.

Pur, Fille mia, non credere,

Che la stagione estiva

A due bei cor che si amano

Di ogni piacer sia priva.

Qualunque mal sovrastaci,

Poichè soffrir si deve,

Se non si può distogliere,

Rendasi almen più lieve.

Nell’ore in cui più fervono

I meridiani ardori,

E del calor risentonsi

Le noie ancor maggiori,

Stattene al placid'ozio

Di fresca stanza, in cui

Il caldo aer non penetri,

il Sol co' raggi sui;

E dalle spalle al gomito

Lino sottil ti scenda.

il ritondetto braccio

Tutto a coprir si stenda;

Intorno a' fianchi cingiti

Un candido guarnello,

Che lasci ognor visibile

Il piè leggiadro e snello:

Spiega il gentil ventaglio

Di vaghi fregi adorno,

Che lievemente l'aere

Agiti a te d'intorno.

Pronta a' tuoi cenni Egeride

Ad or ad or t'infonda

Mista a gustoso ed acido

Succo la gelid'onda;

E con bevanda amabile

Dall'ostinata arsura

Le sitibonde fauci

Refrigerar procura.

allor tu vogli ammettere

Alcun che te distolga

Dall'umor gaio ed ilare,

O libertà ti tolga.

Qual mai piacer reciproco

Di società può aversi

Fra quei che han genio ed indole

Ed i pensier diversi?

Ma quando poi principia

A declinare il giorno,

E a poco a poco spandonsi

L'ombre per ogn'intorno,

Leggiadramente adornati

Come tu suoli ognora,

Ed in aperto cocchio

Scorri le vie di Flora;

E i desiosi giovani

In tacita favella,

Da lungi ancor vedendoti,

«Ecco, diran, la bella

Tu a chi ti rende omaggio

Volgi ridente il viso

Coi dolci modi amabili,

E col gentil sorriso.

Ir potrai pur, mia Fillide,

Qualor desio ten viene,

A passeggiar di Boboli11

Per le fresche ombre amene;

E allo spirar piacevole

Della odorosa auretta

Tranquillamente assiderti

In su la molle erbetta,

Ove dell'Arno estendesi

Traverso alle chiar'onde

Ampio ponte ammirabile12

Dall'une all'altre sponde;

Sai che agli freschi zefiri,

Quando la notte imbruna,

Turba discinta e libera

Di gioventù si aduna:

, se ti aggrada, o Fillide

Meco venir potrai,

E della notte placida

La libertà godrai.

Bizzarramente poniti

Quel cappellin galante,

Che tanto, o Fille, addicesi

Al tuo gentil sembiante.

Ai modi alteri e nobili,

Al portamento, agli atti,

Ed alle nuove foggie

Che così ben ti adatti,

Te fra le dubbie tenebre

Distinguerai fra mille,

E invidieran pur taciti

A me il favor di Fille.

Ma se grata e sensibile

All'amor mio tu sei,

Amami, e poi m'invidino

Gli uomini tutti e i Dei.


 

 

 

<< <   > >>L'AUTUNNO

 

A FILLE

 

 

Già dal torrido equatore

Reclinante il Sol si parte,

E ad accrescer va il calore

Su l'australe opposta parte.

E già torna, o Fille mia,

Il ferace e pingue Autunno;

Bacco torna in compagnia

Di Pomona e di Vertunno;

E omai il tempo si avvicina

Che t'invita alla campagna

Colà presso alla collina,

Cui le falde il fiume bagna;

Ove lungi, o cara Fille,

Dal clamor tumultuoso

Passerai l'ore tranquille

Nel contento e nel riposo.

godrai con alma lieta

Libertà piena e felice,

Che in fastosa ed inquïeta

Città mai trovar non lice.

O del Ciel soave dono

Libertà dolce e gradita,

Senza te l'impero e il trono,

Senza te, che val la vita?

Non curar quivi di ornarti

Fra le rustiche contrade;

Lascia pur le mode e l'arti

Femminili alla cittade.

Bella assai ti fe' Natura

Più che far l'arte potrebbe,

la vana industre cura

A beltà mai pregio accrebbe.

Ornamento assai più bello

Ti faran semplici vesti, E quel tuo gentil cappello,

Che poc'anzi ti facesti.

Lungi i folli usi noiosi

De' superbi e gran palagi,

E gli uffici ossequiosi,

La mollezza, il fasto e gli agi.

Quando in ciel appar l'aurora,

Nel pomifero giardino

A còr frutta andrai talora

E ad empirne un cestellino:

Poscia il passeggerai

Per gli ameni ampi viali,

E d'intorno ascolterai

Suoni e canti pastorali:

Mirerai il vigoroso

Instancabile bifolco,

Che in terren pingue, ubertoso

Coll'aratro imprime il solco;

Mirerai le villanelle

Raccòr l'uve, agili e destre,

E vòtar nelle tinelle

I panieri e le canestre.

E poiché non mai decoro

Vieta a saggia e nobil donna

Porsi a rustico lavoro,

E succingersi la gonna,

Fra canori alti concenti

A te fìa piacevol cosa

Córre i grappoli pendenti

Dalla vite pampinosa.

Tien fra mani uva celata,

E a talun che il pensi meno,

Improvvisa inosservata

Gliene bagna e volto e seno.

Col percuoter mani a mani

Tutti applausi a te faranno,

E alte risa e motti strani

Contra quei raddoppieranno.

Tu a fuggir tosto ti affretta,

E, poi statti ben guardinga,

Ch'egli pensa alla vendetta,

Benché il simuli e s'infinga.

So che a svelto agil destriero

Premerai sovente il dorso

E per comodo sentiero

Amerai spronarlo al corso.

Io lo so, Fille mia bella,

Che sai starvi salda e immota;

Ma pur bada che da sella

Un a terra non ti scuota:

Altre ninfe io vidi ancora

Pregio far di pari ardire;

Ma pentirsi poi talora

Dell'incauto lor desire.

Non curarti di un piacere,

Se il periglio l'accompagna;

Che piacer puoi sempre avere

Più sicuro alla campagna.

Potrai tender or le reti,

Or la pania agli augelletti

Entro i taciti segreti,

Amenissimi boschetti;

E ancor vivi e svolazzanti

Di tua man li prenderai

Così tanti cori e tanti

Ne' tuoi lacci cader fai.

Vedrai gli agili levrieri

Far balzar da cespo a vepre,

E per torti aspri sentieri

Inseguir timida lepre:

Finchè al colpo fulminante

Dell'esperto cacciatore

Ferma il corso in un istante,

Cade al suol, palpita e muore.

O del fiume in su la sponda

Puoi tentar se a te riesce

Col gettar l'amo nell'onda,

Ingannar l'ingordo pesce.

a te mai verrà d'intorno

Rio pensier, cura mordace,

Di quel placido soggiorno

A turbar la bella pace.

Fra campagne apriche amene

Si dilata e s'apre il core;

Più lo spirto agil diviene,

Ed acquista piú vigore.

Così tu potrai godere

Dell'Autunno i felici;

Così ognor gioia e piacere

Piova in te dagli astri amici.


 

 

 

<< <   > >>SCHERZO DELL'AUTORE

CON FILLE

 

CONTRAFFACENDO IL SISTEMA DELLA PRIMA COSTITUZIONE FRANCESE, MOSTRANDONE COGLI ESEMPI L'ASSURDITA

 

Ragionar Fille non ama

Che de' torbidi di Francia;

Pesa ogni atto, ogni proclama

Sovra critica bilancia.

E discute ogni decreto,

Se è giovevole o nocivo,

Se al sovran competa il veto

assoluto o sospensivo;

Se a ciascun suo proprio dritto,

Tanto all'uom che al cittadino,

Sia ben fisso e ben prescritto

Dal congresso parigino;

E ognor va con importanza

Calcolando i beni e i mali

Che produr dee l'adunanza

Degli stati generali;

E le tenere parole

Che spandean dolcezza e gioia,

Proferire or più non suole,

O di udirne infin si annoia.

Ond'io, mentre le ragiono,

I contrasti evito e schivo;

E perciò le parlo in tuono

Allegorico o allusivo.

Fille mia, talor le dico,

Da più bolle il fermento;

Nel tuo regno, io tel predico,

Seguir dee gran cangiamento.

L'assemblea convocherassi

Degli amanti disgustati,

E per teste, e non per classi,

I suffragi saran dati:

E si pensa seriamente

Sovra un più vero apprensivo

Di fissar un permanente

Nuovo pian constitutivo.

Di por fine è tempo omai,

O dispotica mia Fille,

All'abuso che tu fai

Del poter di tue pupille:

Abbian pur que' sguardi tuoi

Il poter legislativo,

Ma è dover che resti a noi

Il poter esecutivo.

Non si lasci il freno sciolto

Ne convengo, o File anch'io,

All'audace, ed allo stolto

Democratico desio.

Tolga il Ciel che la licenza

De' distretti e de' quartieri

Giunga a scuoter la decenza

Degli estrinseci doveri;

Ma non vuolsi in tuono enfatico

Veder pompa di rigore,

O che orgoglio aristocratico

S'impossessi del tuo core:

E che stretti fra i tuoi servi,

Ad un cenno di tue ciglia,

Quai prigioni ci riservi

Quasi dentro una bastiglia.

rischiar si vuol che sdegno

Ci conduca o rabbia interna,

Per sottrarci a giogo indegno,

Disperati a una lanterna.

È dovere, o Fille mia,

Che tu eserciti, conservi,

Moderata monarchia

Sui tuoi fidi amanti e servi.

Ed acciò ch'abbia a valere

Qualunqu'atto o mozione,

Déi con libero volere

Porvi pria la sanzione.

L'assemblea de' tuoi amanti

Porrà tutto in equilibrio;

sarai d'ora in avanti

Tèma al pubblico ludibrio.

Riterrai l'alto comando,

Ma con modi più soavi,

Sovra i liberi regnando,

E non più sovra gli schiavi.

E ciascuno, in questa forma

Ripartito il male e il bene,

Per sì provvida riforma

Avrà ciò che gli appartiene.

Poi l'onor dando a te stessa

Di tal epoca felice,

Ti diranno della oppressa

libertà ristoratrice.

 

 

FINE





9 Si allude al concorso che suol essere nelle sere di primavera e di state fuori di Porta San Gallo, luogo delizioso che giace dirimpetto a Fiesole e dove sorge un arco trionfale di ricca e maestosa architettura, eretto alla memoria di Francesco I imperatore.



10 Le Cascine, luogo distante un miglio dalla città di Firenze, a ponente, lungo il corso dell'Arno, amenissimo per vaste praterie e delizioso bosco, dove, nei giorni festivi di primavera, suole concorrere il popolo a ricrearsi.



11 Boboli, vastissimo giardino annesso al real palazzo de' Pitti, al quale è permesso l'ingresso a tutti gli ordini civili di persone.



12 S'intende di parlare del Ponte a S. Trinità il più vago di tutti gli altri della città, ove, sogliono nelle sere di state più calde passeggiar a piedi e fermarsi le donne fiorentine in abito di libertà, e da notte, colla loro compagnia.



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