<< < > >>POESIE LIRICHE
ANACREONTICHE
NON CURA IL
POETA DI CANTAR GUERRE OD ARTI, MA SOLO CANTA DI AMORE PER PIACERE ALLE DONNE.
Io non vo' di squadre armate
Cantar
l'ire sanguinose,
E
le guerre detestate
Dalle
madri e dalle spose;
Nè, cercar vo' negli oggetti
Che
al mio sguardo offre Natura,
Di
sì strani e vani effetti
La
cagione incerta, oscura.
Gaio umor,
placido ingegno
A
me dièro amici i numi,
E
da grave aspro contegno
Alienissimi
costumi.
Cantar vo' di Dori e Fille,
Ed
esporre in dolce stile
Idee
facili e tranquille,
Grate
sempre a un cor gentile;
Aureo crin, pupille nere,
Molli
sdegni e molli amori,
Cose
tai che con piacere
Legger
possa e Fille e Dori.
Donne belle che ascoltate
Di
mie rime il vario suono,
Se
mie rime a voi son grate,
Più
non vo'; contento io sono.
Abbia pur suo nobil vanto
La
famosa argiva tromba,
Che
cantò quei che del Xanto
Su
le rive ebber la tomba.
Nè men denno in pregio aversi
Quelle
menti alte e divine
Che
raccor potèro in versi
Filosofiche
dottrine:
Io temprar di quella cetra
Vo'
le corde argute e pronte
Per
cui va famoso all'etra
L'amoroso
Anacreonte.
Pien di grazia e di vivezza
Canti
Bacco, o canti Amore,
Di
un piacer, di una dolcezza
Sempre
nuova inonda il core.
Voglia il Ciel che in parte anch'io
Sparger
possa i versi miei
Di
quel vezzo e di quel brio,
Dono
sol de’ sommi Dei;
Sicché mai del compiacente
Genio
vostro io non abusi,
E
non stanchi a voi la mente
Con
pensieri oscuri, astrusi:
Ma si appaghi e si riposi
La
tranquilla fantasia
Su
i concerti dilettosi Della facil poesia.
Nè crediate, o donne care,
Ch'io
nel cor nutra desio
Che
varcati e monti e mare
Sia
famoso il nome mio:
Gli alti pregi io non mi ascrivo
De'
gran vati e degli eroi
Donne
mie, s'io canto e scrivo,
Scrivo
e canto sol per voi.
<< < > >>A FILLE
PROTESTASI
CONTENTO DI MEDIOCRE STATO, SENZA AFFANNARSI IN TRACCIA DI RICCHEZZE O DI
ONORI.
O cara Fillide,
Che
spesso sei
Soggetto
amabile
De'
carmi miei,
V'è chi su fragile
Dubbio
naviglio
A
grave esponesi
Fiero
periglio,
E per l'instabile
Ampio
oceano
Scorre
ogn'incognito
Clima
lontano,
Onde raccogliere
Le
merci rare
Fra
genti barbare,
In
seno al mare
V'è pur chi a spargere
Le
cure ha intente
Su
i campi libici
Ampie
semente,
E ognor fa a Cerere
Voti
e promesse,
Se
giunga a mietere
La
ricca messe:
Chi sotto il carico
D'elmo
e lorica
Affronta
intrepido
L'oste
nemica;
Onde alto e celebre
Onor
riporte,
Che
a prezzo vendesi
Di
sangue e morte:
Chi fra giuridici
Studi
s'involve,
E
l'altrui dubbia
Ragion
risolve:
E chi ognor vigile
In
suo pensiero
Sostien
le pubbliche
Cure
d'impero.
Io, finchè Apolline
Carmi
m'ispira
Al
suon di eburnea
Etrusca
lira,
Finchè spregevole
Non
mi deprime
Povertà
sordida,
Che
i spirti opprime,
Non curo i splendidi
Fastosi
onori,
Di
Creso e di Attalo
Sprezzo
i tesori;
Nè me fra vigili
Cure
vedrai
La
pace perdere
Del
cuor giammai;
Nè dietro correre
A
un dubbio bene,
Frutto
tardissimo
Di
lunghe pene.
Ponmi fra gli orridi
Geli
di Scizia,
O
nella inospita
Arsa
Negrizia;
Ponmi fra i strepiti
Di
città lieta,
O
in solitudine
Tranquilla
e cheta:
Ognor lietissimo
Ognor
beato
Vivrò
nell'aureo
Mediocre
stato.
Tra lusinghevoli
Desir
fallaci
Passano,
o Fillide,
I
dì fugaci;
E intanto perdesi
Ogni
momento,
in
cui non godesi
Pace
e contento:
Perciò, se placide Mi volgi, o Fille,
Quelle
bellissime
Care
pupille;
Se i pronti cantici
Mi
detta Amore,
Loquela
armonica
Di
un lieto core;
Benchè la frigida
Vecchiezza
il crine
Mi
venga a spargere
Di
bianche brine,
Sul verde margine
Del
tosco fiume,
Ripieno
l'animo
Del
sacro nume,
Spesso fra i lirici
Canori
vati
M'udirai
tessere
I
carmi usati:
Udirai spandere
La
cetra mia
Anacreontica
Dolce
armonia
E sempre, o
Fillide,
Sarai,
qual sei,
Soggetto
amabile
De'
carmi miei.
<< < > >>A DORI STUDIOSA
DI FILOSOFIA
LA DISSUADE
DALL’APPLICARSI AI FILOSOFICI STUDI
Lascia una volta, o Doride,
Le
gravi cure e i studi,
Su
cui sì intenta ed avida
E
ti affatichi e sudi.
Perché passar la tenera
Giovin
età che fugge,
In
frenesia si strania,
Che
ti consunta e strugge?
Che importa a te se Venere
Del
Sol traversa il disco,
Se
noto fu il fenomeno,
O
ignoto al tempo prisco?
O qual furor di apprendere
La
causa che colora
Di
ascension sì lucida
La
boreale aurora?
Se allor chiaro riverbero
L'aere
dal Sol riceve,
O
se nel dì, qual fosforo,
De'
rai solar s'imbeve?
O se dal cerchio torrido
Spinta
l'eterea luce
Intorno
al pigro e frigido
Polo
si aduna e luce?
Qual nodo impercettibile
Alla
corporea salma
Con
armonia mirabile
Insiem
congiunge l'alma?
Come irritati i muscoli
Scuotansi
pronti al moto,
E
come sia de' tendini
O
nullo il senso o ignoto?
Come ogni lieve e minima
Sensazion
de' nervi
Pronta
si porti all'anima,
Nè
moto in quei si osservi?
Tu fai restarmi attonito,
Vezzosa
Dori mia,
E
non poss'io comprendere
Come
possibil sia
Che così bella e giovine,
Ogni
piacer tu lasci,
E
ognor di filosofici
Gravi
pensier ti pasci.
Chè ogni qualvolta, o Doride,
A
farti omaggio io venni,
Te
su i quadrati e i circoli
Fissa
talor rinvenni;
L'occhio talor di limpido
Cristal
convesso eletto
Armar
ti vidi, e scernere
Alcun
minuto insetto;
Talor di corpi elettrici
L'attrazïon
cercavi,
O
l'oscillar de' pendoli
Col
discender de' gravi.
Lascia una volta, o Doride,
Lascia
sì strano impegno,
Che
il gaio umor t'intorbida,
E
stanca il molle ingegno.
In su le carte assidui
Sudino
al caldo, al gelo
Color,
che il mento coprono
D'ispido
e folto pelo;
O quei che smunti e pallidi
Tuttora
han per costume
Di
trarre intere e vigili
Le
notti al tardo lume.
Tu non dèi leggi e regole
D'alto
saper proporre,
Nè
al gran savio dell'Anglia
Nuovi
sistemi opporre;
Nè mai vedrà te femmina
La
gioventù toscana
Su
le famose cattedre
Spiegar
dottrina arcana.
Atti più dolci e facili
E
assai più molle cura,
O
gentil Dori amabile,
Ti
destinò Natura.
La lingua al canto sciogliere,
Doride
mia, tu devi,
E
il piè danzando muovere
Con
passi giusti e lievi;
O dal sonoro cembalo
Or
lieta trarre, or grave
Con
dotta mano e rapida
Bell'armonia
soave;
Ovver leggiadri esprimere
In
gallica favella
Sensi
che più convengano
A
giovin donna e bella.
Fia tuo piacer degl'itali
Vati
che il mondo onora,
Ornar
la mente e pascere
Coi
dolci carmi ancora.
Degna pur sia di laude
Ninfa
gentil, se apprende
De'
tempi in su le storie
Gli
eventi e le vicende:
Se di tai pregi, o Doride,
Ti
appagherai soltanto,
Avrai
distinto e celebre
Fra
chiare donne il vanto.
Ma di te indegne credere
L'arti
non dèi del sesso;
Chè
arte a natura aggiugnere
Talora
è a voi permesso.
Come più al volto addicesi
Orna
e disponi il crine,
E
gentilmente adattati
Le
fogge pellegrine;
Chè ingrata al Ciel benefico
Donna
con fier dispregio,
Nè
oscurar dee, nè ascondere
Di
sua bellezza il pregio.
Così su i cor, su gli animi,
Doride
mia vezzosa,
Regnar
potrai per meriti,
E
per beltà famosa.
Ma se di più recondito
Alto
saper t'invogli,
Perdi
l'età più florida,
Nè
frutto alcun ne cogli.
Dunque, mia cara Doride,
Giacchè
al piacer t'invita
Beltà
leggiadra amabile
A
giovinezza unita,
Deh! lascia alfin de' sterili
Studi
il furore insano,
E
prendi il ben quand'offresi,
Che
poi cercarlo è vano.
<< < > >>A FILLE
LE MOSTRA IL
PREGIO DI UN VIRTUOSO AMORE
E perchè mai sì rigida
Chiudi
a ogni affetto il core
Ah!
tu non sai, mia Fillide,
Non
sai che cosa è Amore.
Se ne sapessi il pregio,
Se
tutti i doni suoi,
Vorresti
amando spendere
I
più bei giorni tuoi.
Amor non è, qual credesi
Dal
volgo ignaro e folle,
Languido
affetto ignobile
Di
un cor lascivo e molle;
Figlio non è di un fervido
Immaginar
fallace,
Non
è di un ben chimerico
Promettitor
mendace.
E benché Amor si reputi
Prima
cagion de' mali,
E
d'ogni affanno origine
Ai
miseri mortali,
Ei non è Amor, ma il pessimo
Traviamento
altrui,
Ch'errando
suol rifondere
I
suoi difetti in lui.
Amor meglio a conoscere,
Meglio
a prezzarlo impara,
E
omai più saggia e docile
L'alma
ad amar prepara:
E non curar di ruvida
Filosofia
severa
Il
genio aspro e misantropo,
E
la dottrina austera:
Nè il tuono grave e querulo
Della
senil censura,
Nè
il malignar degl'invidi
Nemici
di natura:
Poiché sì bella e amabile
Ti
fèr benigni i Dei,
Seguir
le dolci e placide
Leggi
di Amor tu dei.
Vita, principio ed anima
Dell'universo
è Amore;
E
dove Amor non trovasi
Tutto
languisce e muore.
Mira la terra e l'aere,
Il
mar, i cieli stessi,
E
ne vedrai i caratteri
In
ogni parte impressi:
Ei l'armonia mirabile,
Ei
l'immortal compose
Indissolubil
vincolo
Delle
create cose:
Egli ai costanti e rapidi
Moti
del Sol dà legge,
E
pe' celesti circoli
Degli
astri il corso regge.
Diffusa è in tutto e ingenita
Virtù
di Amor fecondo,
Virtù
per cui conservasi
E
si propaga il mondo.
Amor di genti barbare
Mansüefece
e vinse
L'indole
fera, indocile,
E
in società le strinse.
Ciò che diletta e godesi,
Da
lui deriva e nasce,
E
ciò che vive e muovesi,
Di
Amor si nutre e pasce.
Aman le fere indomite,
Aman
gli augei canori,
Aman
del vasto oceano
I
muti abitatori.
E sol, cred'io, le misere
Anime
reo di Averno,
Per
più crudel supplizio, Fremon nell'odio eterno.
E tu che bella e amabile
Feron
benigni i Dei,
E
di que' pregi ornaronti
Onde
ricolma sei,
Che tutti amando spendere
Dovresti
i giorni tuoi,
Orgogliosetta
Fillide,
Tu
sola amar non vuoi?
E qual piacer, qual giubilo,
Qual
puoi provar diletto,
Se
un dolce amor che t'occupi
Mai
non risenti in petto?
Poichè se amor non anima
Beltade
e giovinezza,
La
giovinezza è inutile,
Nè
la beltà si apprezza.
Non chiuder dunque, o Fillide Ad ogni
alletto il core,
Infin
che bella e giovine,
E
degna sei di Amore.
<< < > >>A FILLE
L'AVVERTE ACCIÒ
NON GIUDICHI SECONDO LE APPARENZE
ODI le rapide
Ruote
sonanti
Tratte
dai fervidi
Destrier
fumanti!
Scansiam solleciti
L'urto
villano,
Poich'è
già prossimo
L'auriga
insano;
E mira, o
Fillide,
Quel
che sdraiato
Siede
nel fulgido
Cocchio
dorato:
Indosso miragli
D'argento
e d'oro
Grave
e ricchissimo
Stranier
lavoro:
Mira il riverbero
Che
rara e grande
Gemma
purissima
Dal
dito spande;
E seco ha il torbido
Orgoglio
e il folle
Fasto
insoffribile,
E
il lusso molle.
Nè a chi riscontralo
Per
lo sentiero
Piegar
mai degnasi
Il
capo altero.
Ma già il volubile
Cocchio
trapassa,
E
densa polvere
Dietro
si lassa.
Or vada, e celere
Colui
si porte
Scherzo
e capriccio
Di
cieca sorte.
Ma tu, se prospera
Fortuna
in lui
Tutti
rovescia
I
favor sui,
D'ogni ben prodiga
Dispensatrice,
Fille,
non crederlo
Perciò
felice;
Perchè allo splendido
Fasto
apparente
Sol
l'occhio abbagliasi
D'ignara
gente:
Ma se con provvido
Giudizio
sano
Tuo
sguardo internasi
Nel
cuor umano,
Vedrai che misero
È
quei talora,
Cui
'l volgo instabile
Invidia
e adora:
Vedrai che torbido
Pensier
nascoso
Ad
altri rendelo
E
a sè noioso.
Brama avidissima,
Tema,
livore,
Odio
implacabile
Gli
rode il core.
Per le auree camere,
Per
le ampie sale
Indivisibile
Noia
lo assale.
Dunque non prendere
Facil
diletto
Da
un lusinghevole
Fallace
aspetto.
Se lieta vivere
Sai
nello stato
Che
o sceglier piacqueti
O
il Ciel ti ha dato;
Se poni all'avido
Desire
il freno,
Sarai,
mia Fillide,
Felice
appieno.
<< < > >>A FILLE
LA ESORTA A
SCANDIRE LA IMPORTUNA MESTIZIA
Qual nuvol grave
e torbido
Su
la tua fronte accolto
Copre
il sereno, o Fillide,
Del
tuo leggiadro volto?
Perchè pensosa e tacita
Sempre
così ti stai?
Perché
di meste immagini
Pascendo
ognor ti vai?
Ah! non convien che amabile
Ninfa,
che in mille cori
Può
a suo talento accendere
I
più soavi ardori,
Che nata è sol per essere
La
dolce altrui delizia,
Covi
tuttor nell'animo
Così
crudel mestizia.
Sgomhra le idee che turbano
Del
tuo bel cuor la pace
Riprendi
omai la pristina
Ilarità
vivace.
Forse agli Dii benefici
S'è
la Natura unita,
Di
mille pregi ornandoti
E
di beltà compita,
Perchè d'Amor, di Venere,
E
del piacer nemica,
Come
di noia carica
Querula
vecchia antica,
Del focolar domestico
Dovessi
star soletta
A
fomentar le ceneri
In
chiusa cameretta!
Ah! non mostrarti, o Fillide,
Sì
ingrata al Ciel, sì folle,
Di
non curar quei meriti
Ond'egli
ornar ti volle.
Pur troppo, ohimè! la frigida
Incomoda
vecchiezza
Verrà
per sempre a toglierti
Le
grazie e la bellezza;
Nè allor sarà chi degnisi
Teco
formar parola,
E
star dovrai in un angolo
Abbandonata
e sola:
E all'egre membra e languide
Vigor
mancando e lena,
I
giorni tuoi più floridi
Rammenterai
con pena.
Dunque, finchè la rapida
Giovane
età il consente, Godi per or, mia Fillide,
Godi
del ben presente.
Ogni tuo cenno adempiere,
Sol
che tu vogli, o cara,
E
i tuoi piacer promovere
Vorrà
ciascuno a gara.
Fra noi già Bacco e Apolline
A
riaprir sen viene
Il
teatral spettacolo
Su
le notturne scene:
Qui turba mista e varia
Di
spettator concorre,
E
d'una in altra loggia
Libero
ognun trascorre,
Ove le belle assidonsi
Co'
fidi amanti ognora,
Nè
i nuovi omaggi sdegnano
De'
venturieri ancora.
Qui vedrai tutti accorrere,
Se
te vedranno, a mille
I
disiosi giovani
Per
vagheggiarti, o Fille.
Nè mi dirai che a femmina
Non
rechi ognor diletto
De'
sguardi altrui conoscersi
Il
più ammirato oggetto.
Vedrai festosi e pubblici
Ferver
sovente i balli
Fra
mille faci che ardono
Su
i pensili cristalli:
E nel danzar gareggiano
Ninfe
e garzoni a schiere,
E
assidui ed instancabili
Reggon
le notti intere.
In strana foggia e barbara
Libero
è a ognun che voglia
Trasfigurarsi
e ascondersi
Sotto
mentita spoglia.
Qui se vorrai pur essere
Con
questo ed or con quello
In
agil danza a muovere
Il
piè leggiadro e snello;
A te d'intorno in circolo
Staransi
ammiratrici
Le
più lodate e celebri
Esperte
danzatrici:
Indi vedrai in lung'ordine
Tra
densa folla il giorno
Splendidi
cocchi avvolgersi
A
vasta piazza intorno.
Tu sol nel comun gaudio
Ai
prieghi altrui ritrosa,
In
mesta solitudine
Ti
rimarrai nascosa?
Ah! non privarti, o Fillide,
Nel
più bel fior degli anni
Di
che aman più le giovani,
Immaginando
affanni:
Chè col soverchio affliggersi
Nessuno
il mal distrugge,
Ma
un nuovo mal si fabbrica,
E
il suo destin non fugge.
<< < > >>A
FILLE
SOGNO
Cinta di freschi zefiri
Dall'indica
marina
Già
cominciava a sorgere
La
luce mattutina;
Ed io pur anche, o Fillide,
Seguendo
il mio costume,
Stavami
in sonno placido
Su
le tranquille piume;
Quando di vane immagini
La
illusa fantasia,
Novo
prospetto e vario
Alla
mia mente offria;
D'esser allor pareami
In
giardin vago adorno,
Quai
vidi io già di Romolo
Alla
città d'intorno:
Sotto piante che intrecciano
I
rami lor frondosi
In
dritto ordin si estendono
Freschi
viali ombrosi;
E ai lati lor per opera
D'industre
giardiniere
Sorgon
di mirti e lauri
Altissime
spalliere.
Acqua perenne e limpida
Dai
fonti ognor zampilla;
O
dai muscosi e concavi
Antri
cadendo stilla:
In ampie conche ammiransi
sortir
dall'onde chiare
Scolpite
in marmo pario
Le
Deità del mare:
Tra molli erbette spuntano
Tremoli
fior su i prati,
Ed
in gran vasi olezzano
Gli
aranci ed i cedrati:
S'odon garrir su gli alberi
Vaghi
canori augelli,
E
svolazzar si veggono
Tra
i folti ramoscelli:
Or mentre solo e tacito
Men
giva a poco a poco
Con
lento piè godendomi
L'amenità
del loco,
Da lungi in gonna rosea
Per
lo sentier più fosco
Leggiadra
e bella apparvemi
Donna
che uscía dal bosco:
E con ignoto giovine,
Ch'ella
per man tenea,
Di
serio affar gravissimo
Discorso
aver parea;
Ma poscia ambo appressandosi,
Agli
atti, alla favella
E
alla sembianza cognita
Vidi
che tu eri quella.
Per l'improvviso giubilo
Riguardo
più non tenni,
E
desioso e rapido
Incontro
allor ti venni:
O Fille, dissi, o amabile
Luce
degli occhi miei...
Ma
tu il parlar troncandomi
Dicevi:
E tu chi sei?
Ed io: Chi sono? ah! Fillide
Meco
scherzar ti piace...
E
tu sdegnosa e torbida:
Va,
che sei stolto o audace.
E in questo dir sollecita
Volgevi
a me le spalle,
E
ritornavi a asconderti
Per
lo medesmo calle.
E quel garzone incognito
Venia
pur anche teco.
E
nel partir volgevami
Il
guardo altero e bieco.
All'onta fiera insolita
Rimasi
freddo esangue;
Il
cor m'intesi opprimere,
Sentii
gelarmi il sangue.
E non potei più movere
Nè
voce allor nè passo,
Come
novella Niobe
Trasfigurata
in sasso,
Per lo dolor frenetica
Mentre
si lagna e duole,
Giacer
vedendo esanime
La
numerosa prole.
Ma poichè il fier dispregio
Lo
sdegno in me commosse,
Che
i sbigottiti e stupidi
Spiriti
miei riscosse,
E lo stupore in impeto
Di
gelosia proruppe,
La
violenta smania
Il
sonno alfin mi ruppe.
Ma benchè allor svanirono
Quelle
importune larve,
E
il nuovo amante e Fillide
Ed
il giardin disparve;
Pur mi restò nell'animo
Un
livido rancore,
Che
mi rodea le viscere,
Che
mi straziava il core:
Perchè sapea che sogliono
I
sogni del mattino
Esser
talor veridici
Annunzi
del destino:
Ed alla mente vigile
In
richiamar la idea
Di
quel garzone incognito,
Che
visto in sogno avea,
Distintamente parvemi
Raffigurarvi
appieno
La
natural stessissima
Immagin
di Fileno:
Di quel Filen che scorgesi
Da
qualche giorno in poi
Affatto
in ver non essere
Discaro
agli occhi tuoi;
Con cui l'altr'ier trovandoti
Soletta
insiem, vid'io
Che
cenno a lui col gomito
Facesti
al giunger mio:
E ben potetti accorgermi
Che
il ragionar troncaste,
E
mendicando i termini,
Di
che parlar cercaste.
E a mille segni avveggomi
Che
tu non sei la stessa,
E
che la mia già prospera
Sorte
al suo fin si appressa.
Non trovo in te la solita
Ilarità
del viso,
Nè
il parlar schietto e candido,
Nè
su i tuoi labbri il riso.
Scarse parole e insipide
Soltanto
a me dispensi,
Parole
in cui non veggonsi
Di
un core aperto i sensi;
E intanto quei che timido
Un
tempo umil si vide,
Con
guardo altero insultami,
E
del mio duol si ride.
Ah! che il mio sogno, o Fillide,
Illusion
non era!
Tutto
mi fa conoscere
Che
il sogno mio si avvera.
<< < > >>
IL CONTENTO
Il crin cingetemi
Di
mirti e rose
Leggiadri
giovani,
Donne
amorose;
E miste ai cantici
Mentre
intessete
Con
piè volubile
Le
danze liete,
Voci di giubilo
Canore
e pronto
M'inspirin
Pindaro
E
Anacreonte;
E i carmi scorrano
Dai
labbri miei
Dolci
qual nettare
Che
beon gli Dei
Poiché Amarillide
Di
questo core
Soave
ed unica
Fiamma
di amore,
Che pria sì rigida
E
sì crudele,
Sprezzò
il mio tenero
Amor
fedele,
Alle mie lagrime,
Alle
preghiere
Prese
più docili
Dolci
maniere:
E a me con placido
Gentil
sorriso
Lo
sguardo languido
Fissando
in viso,
Se m'ami, dissemi,
Già
sento anch'io
Per
te amor nascere
Nel
petto mio.
E ai penosissimi
Lunghi
tormenti
Allor
successero
I
bei momenti;
E l'alma Venere
Dalla
sua sfera
Allor
sorrisemi
Più
lusinghiera.
Sentii dall'animo
Fuggir
la noia,
E
il cor riempiermi
D'immensa
gioia.
Più chiaro parvemi
Splendere
il giorno,
Più
grato l'aere
Spirarmi
intorno:
Così le lagrime
De'
mesti amanti
Compensa
il termine
Di
pochi istanti,
E la memoria
Del
mal sovente
Svanisce
e perdesi
Nel
ben presente.
Or che, Amarillide,
La
fiamma mia
Depose
il rigido
Tenor
di pria,
Non temo i turbini
Di
avversa sorte,
Nè
il più terribile
Furor
di morte.
Me faccian vivere
I
numi amici
Con
Amarillide
I
dì felici;
Nè altro mai chiedere
Da
lor vogl'io,
Nè
a compier restami
Altro
desio,
Che in petto accogliere
Idee
non soglio
D'insaziabile
Fasto
ed orgoglio;
Nè brama pungemi
D'oro
e di gemme
Che
mandan l'indiche
Eoe
maremme.
Abbiasi Venere
Il
vago Adone,
Abbiasi
Cinzia
Endimione,
Nè al frigio Paride
Elena
invidio,
Famosa
origine
Dei
grand'eccidio:
Per mille celebri
Bellezze
e mille
Pera
s'io cedere
Voglia
Amarille!
Dolci qual nettare
Solo
per lei
I
carmi scorrono
Dai
labbri miei.
Soavi zefiri,
Aurette
liete
Che
intorno l'aere
Lievi
muovete,
Le mie di giubilo
Voci
ascoltate,
E
i vostri tremuli
Moti
arrestate.
Tacete, o garruli
Canori
augelli;
Tacete,
o queruli
Vaghi
ruscelli:
Che i carmi scorrono
Dai
labbri miei,
Dolci
qual nettare,
Che
beon gli Dei.
Del mio non trovasi
Più
lieto core
Entro
il vastissimo
Regno
di Amore:
E così l'animo
M'empie
il contento,
Che
omai non restavi
Luogo
al tormento.
Oh giorni fausti
Che
amando io spesi
Oh
ardor benefico
Ond'io
mi accesi!
O amabilissima
Cara
Amarille,
Dalle
cui tremule
Vaghe
pupille
Tanta discendere
Mi
sento in petto
Dolcezza
ch'empiemi
D’almo
diletto,
Soave ed unica
Cagion
tu sei
De'
felicissimi
Contenti
miei.
Per te a conoscere
la
vita imparo,
Per
te m'è il vivere
Giocondo
e caro.
E voi, fide anime
Che
Amor seguite,
E
gl'invidiabili
Miei
casi udite,
Or che Amarillide,
La
fiamma mia,
Depose
il rigido
Tenor
di pria,
Il crin cingetemi
Di
mirti e rose,
Leggiadri
giovani
Donne
amorose;
E in me di Venere
L'alto
favore
Rispettin
gl'invidi
Servi
di Amore:
E sia di esempio
A
ogni alma amante,
Che
tutto vincere
Può
amor costante.
<< < > >>A
DORI
IL POETA INVITA
LA SUA AMICA A BERE
Non so qual giubilo
E
qual contento
Oggi
per l'animo
Scorrer
mi sento.
Qualunque, o
Doride,
La
cagion sia
Di
questa insolita
Letizia
mia,
Secondar gl'ilari
Moti
vogl'io,
Che
in cor m'infondono
La
gioia e il brio.
Vo' che oggi, o Doride,.
Insiem
si bea:
Il
vin gli spirti
Egli
ricrea;
Il vin le torbide
Menti
rischiara,
E
l'apollineo
Estro
prepara.
Or tu sollecita
Vanne,
Lisetta,
E
pronta recami
Bottiglia
eletta.
Ve' di non prendere
Cipro
o sciampagna,
Bordò,
Canarie,
Il
vin di Spagna;
Quel che vien d'Affrica
Non
mi disseta,
Nè
quel di Persia,
Nè
quel di Creta;
Beva l'ungarico
E
il borgognone
Chi
tanto pregio
In
lor ripone
Non cede agli esteri
Liquor
squisiti
Il
vin elle spremesi
Da
tosche viti.
Va dunque, e sceglimi
O
carmignano,
Ovver
l'egregio
Montepulciano.
Ma... ferma... ascoltami,
Prendi...
ti affretta,
Sì
l'eleatico
Prendi,
Lisetta:
Quel vin cui cedere
Il
vanto dee
Lo
stesso nettare,
Che
in ciel si bee.
Lungi ogni ruvido
Genio
severo,
E
ogni misantropo
Censor
austero:
Lungi ogni torbida
Cagion
di noia,
Si
lasci il libero
Corso
alla gioia.
Dopo terribile
Fiero
conflitto
Bevea
il macedone
Guerriero
invitto;
Allor che in animo
Gravi
volgea
Cure
lo stoico
Caton,
bevea.
Il ber, le immagini
Più
vive e pronte
Destò
di Pindaro,
Di
Anacreonte.
E tutti bebbero
I
grandi eroi;
E
poscia bevere
Non
dovrem noi?
Ma volgi, o Doride,
Volgi
le ciglia,
Lisetta
appressasi
Colla
bottiglia.
Tieni, o dolcissimo
Don
di Lieo,
Io
già coll'avido
Desir
ti beo.
Il nappo or colmami,
Gentil
donzella,
Chè
far vo' brindisi
A
Dori bella.
Vivano, o Doride,
Quelle
pupille,
Che
in sen mi accendono
Dolci
faville.
Viva quest'ottimo
Divin
liquore,
Che
lieto m'eccita
Estro
di amore.
E viva l'aere,
L'umor,
la luce
Che
questo amabile
Liquor
produce;
Poichè dell'acino
Per
entro i seni
Di
vegetabile
Umor
ripieni
Il sole penetra
Nel
suo passaggio,
E
prigion lasciavi
L'immerso
raggio.
Senti lo spirito,
Il
vigor grande,
E
il soavissimo
Odor
che spande?
Oh saggio, oh provvido
Nobil
pensiero
Di
chi fin d'Elide
portò
primiero
Quelle propagini
Nel
suol toscano;
Che
tal producono
Liquor
sovrano,
Opra degnissima
Di
prose e carmi,
Opra
da incidersi
In
bronzi e in marmi!
Chè se il peonio
Etrusco
vate,
Che
tante annovera
Uve
pregiate,
Lo squisitissimo
Liquor
bevea
Che
fra noi genera
La
vite elea,
Quai ditirambici
Elogi
avrebbe
Dato
a quest'ottimo
Divin
giulebbe!
Qual come a principe
D'ogni
liquore,
Concesso
avrebbegli
Regale
onore!
Dunque il nettareo
Liquor
si bea,
Che
il coro e l'animo
Conforta
e bea.
Tu questo, o Donde,
Nappo
ricevi,
Le
labbra immergivi,
Tutto
tel bevi.
Se teco vivere,
E
ber mi lice,
Chi
di me, o Doride,
Chi
più felice!
<< < > >>L'INVERNO
A FILLE
Vedi come alte e cariche
Ai
monti son le nevi,
Lunghe
le notti e rigide,
I
giorni freddi e brevi!
Stride Aquilone e sibila,
Le
vie ricopre il gelo
Ah!
non esporti, o Fillide,
Al
crudo aperto cielo.
Conserva illese e floride
Le
tue bellezze ognora;
A
te, mia Fille, serbati,
Serbati
a chi ti adora.
Entro ben chiusa camera,
Ov'arda
sempre il foco,
Con
quei che scieglier piaceti
Stattene
in festa e in gioco.
O che ami assisa in circolo
Udir
gli altrui racconti,
Ed
i graziosi equivoci,
E
i motti arguti e pronti;
Ovver proporre a esprimersi
Difficili
parole,
O
indovinel che ambiguo
Senso
nasconder suole;
O vogli far la chioccia
Che
i polli suoi difende
Contra
il falcon che insidiala
Fin
che pur un ne prende;
O d'un che altrui dia regola
Far
che con volto e mani
Tutti
in un tempo imitino
I
segni e i moti strani;
O avendo in man la spazzola
Ed
una benda agli occhi,
Indovinar
dal sibilo
Chi
sia colui che tocchi.
Bello anche fia se apprestisi
Talor
cena impensata,
Quanto
men ricca e lauta,
Tanto
più sana e grata:
Ma la bottiglia in ozio
Qui
mai restar non dee;
Chè
ogni pensier dall'animo
Fugge
di quei che bee.
Spesso udirai far brindisi
Ciascuno
alla sua diva,
Ma
sopra tutte, o Fillide,
Faransi
a te gli evviva.
L'ore così dell'orrida
Fredda
stagion dell'anno
Render
potrai piacevoli,
Lungi
da noia e affanno.
Se me de' tuoi nel numero
Compagno
aver vorrai,
Assiduo
indivisibile
Al
fianco tuo mi avrai.
Qual compagnia più amabile
Unqua
bramar potrei,
Fillide
mia carissima,
Di
quella ove tu sei?
Chè tutti insiem nè d'Africa
I
più cocenti ardori,
Nè
della Zembla asprissima
Io
curerei gli orrori;
Non della Libia inospita
I
deserti arenosi,
Non
dell'immenso oceano
I
flutti tempestosi.
Se bramerai ch'io reciti
E
favole e novelle,
In
mente ne ho moltissime
E
curiose e belle:
Ognor loquace o tacito
A
tuo piacer mi avrai,
Tu
al labbro mio dài regola,
Come
al mio cor la dài,
E piova e tuoni e fulmini,
E
infurii e frema il vento,
Teco
sarò sempre ilare,
Sempre
sarò contento:
Chi se otterrò bench'infima
Parte
nel tuo bel core,
Altra
a sperar non restami
Felicità
maggiore.
<< < > >>LA
PRIMAVERA
A NICE
Senti, o bella amabil Nice,
Come
lieve e lusinghiera
Spira
l'aura annunziatrice
Della
nuova Primavera:
Odi i garruli augelletti
Sul
mattin liberamente
Svolazzando
lascivetti
Salutar
il dì nascente.
Ve' che il Sol su la montagna
Già
le nevi e il gel discioglie!
Ve'
che il bosco e la campagna
Si
coprì di verdi spoglie!
Già con queruli belati
Dall'ovile
escon le agnelle
Saltellando
per li prati,
E
carpendo erbe novelle.
Riedi a noi cinta di fiori,
O
ridente Primavera,
O
nutrice degli amori,
O
di Vener messaggera:
Per te in ciel, nel suol, nell'onde.
O
dell'anno età felice,
Si
dispiega e si diffonde
La
virtù propagatrice.
Ed i semi che coperti
Sotto
freddo acuto gelo
Non
potean languidi e inerti
Svilupparsi
in foglie o in stelo,
Or non più pigri, oziosi,
Dal
terren rompendo fuori,
Rigermoglian
vigorosi
A
produr le frondi e i fiori:
Lascia il chiuso tuo soggiorno,
E
depon le spoglie gravi
Del
ridente aperto giorno
Per
spirar l'aure soavi:
E di vaghe e pellegrine
Vesti
adorna in cocchio aurato
Va
nell'ore vespertine
Co'
tuoi fidi a fronte e a lato
A goder la dolce auretta
Che
da Fiesole respira9,
Ove
al fosco duce eretta
Trionfal
mole si ammira;
Simigliante a quelle stesse
Che
già il popol di Quirino
Là
sul Tebro a Tito eresse,
A
Severo e a Costantino.
Gira intorno le pupille,
Mira
sparsi i fior, l'erbette,
E
i verdi alberi e le ville
Su
le vaghe collinette.
O per fresca ombrosa via
Va
talor dalle Cascine10
All'amena
prateria.
Cui
fa sponda Arno e confine:
Qui di comodi boschetti
Cinta
intorno è la pianura;
Quivi
son pascoli eletti
Di
perenne ampia verdura.
Qui vedrai per ogni lato
Mandre
errar pingui e satolle;
Onde
suole il delicato
Burro
farsi e il cacio molle:
Qui di ninfe e di garzoni
Suol
venir allegra schiera,
Quando
spirano i favoni
Della
nuova primavera;
Ed insiem han per costume
Tesser
canti, e alle giulive
Voci
lor del vicin fiume
Eco
fan le opposte rive.
Qua pei prati e là si spande,
E
sul suolo ognun si assetta;
E
le rustiche vivande
Imbandir
fa sull'erbetta.
Tu frattanto andrai mirando
Lo
spettacolo festoso
Lentamente
passeggiando
Pel
sentiero delizioso:
Ed a sì giocondo aspetto
Sentirai
un certo moto,
Che
ti andrà serpendo in petto
Con
piacer soave ignoto.
Sentirai, se attorno miri,
Di
letizia empierti il core;
Ti
parrà che tutto spiri
Sensi
teneri di amore.
Dunque, o Nice mia vezzosa,
Se
ad amar tutto richiama,
L'alma
altera disdegnosa
Ammolisci,
o Nice, ed ama:
Se non ami ora che il cielo
E
la terra inspira amore,
Hai
un animo di gelo;
Più
che selce hai duro il core.
<< < > >>LA
STATE
A FILLE
Come potrem, mia Fillide,
Dell'affannosa
State
Passar
tranquilli ed ilari
L'ore
importune ingrate?
Non altrimenti l'aere
Par
che s'infochi e avvampi,
Qual
della adusta Libia
Su
gli arenosi campi.
Sè stesse appena reggono
Le
affaticate membra,
E
ogni più lieve spoglia
Grave
tuttor rassembra.
Gli oggetti un dì piacevoli,
Che
dièr diletto e gioia,
Altro
omai più non rendono
Che
increscimento e noia:
E dell'aurata cetera
Al
grato suono intanto
Talor
l'inerzia scuotere
Cerco,
ma invan, col canto.
Troppo cocenti e fervidi
Vibra
i suoi raggi il Sole,
Ed
escon pigre e languide
Dai
labbri le parole.
Pur, Fille mia, non credere,
Che
la stagione estiva
A
due bei cor che si amano
Di
ogni piacer sia priva.
Qualunque mal sovrastaci,
Poichè
soffrir si deve,
Se
non si può distogliere,
Rendasi
almen più lieve.
Nell’ore in cui più fervono
I
meridiani ardori,
E
del calor risentonsi
Le
noie ancor maggiori,
Stattene al placid'ozio
Di
fresca stanza, in cui
Il
caldo aer non penetri,
Nè
il Sol co' raggi sui;
E dalle spalle al gomito
Lino
sottil ti scenda.
Nè
il ritondetto braccio
Tutto
a coprir si stenda;
Intorno a' fianchi cingiti
Un
candido guarnello,
Che
lasci ognor visibile
Il
piè leggiadro e snello:
Spiega il gentil ventaglio
Di
vaghi fregi adorno,
Che
lievemente l'aere
Agiti
a te d'intorno.
Pronta a' tuoi cenni Egeride
Ad
or ad or t'infonda
Mista
a gustoso ed acido
Succo
la gelid'onda;
E con bevanda amabile
Dall'ostinata
arsura
Le
sitibonde fauci
Refrigerar
procura.
Nè allor tu vogli ammettere
Alcun
che te distolga
Dall'umor
gaio ed ilare,
O
libertà ti tolga.
Qual mai piacer reciproco
Di
società può aversi
Fra
quei che han genio ed indole
Ed
i pensier diversi?
Ma quando poi principia
A
declinare il giorno,
E
a poco a poco spandonsi
L'ombre
per ogn'intorno,
Leggiadramente adornati
Come
tu suoli ognora,
Ed
in aperto cocchio
Scorri
le vie di Flora;
E i desiosi giovani
In
tacita favella,
Da
lungi ancor vedendoti,
«Ecco,
diran, la bella!»
Tu a chi ti rende omaggio
Volgi
ridente il viso
Coi
dolci modi amabili,
E
col gentil sorriso.
Ir potrai pur, mia Fillide,
Qualor
desio ten viene,
A
passeggiar di Boboli11
Per
le fresche ombre amene;
E allo spirar piacevole
Della
odorosa auretta
Tranquillamente
assiderti
In
su la molle erbetta,
Ove dell'Arno estendesi
Traverso
alle chiar'onde
Ampio
ponte ammirabile12
Dall'une
all'altre sponde;
Sai che agli freschi zefiri,
Quando
la notte imbruna,
Turba
discinta e libera
Di
gioventù si aduna:
Là, se ti aggrada, o Fillide
Meco
venir potrai,
E
della notte placida
La
libertà godrai.
Bizzarramente poniti
Quel
cappellin galante,
Che
tanto, o Fille, addicesi
Al
tuo gentil sembiante.
Ai modi alteri e nobili,
Al
portamento, agli atti,
Ed
alle nuove foggie
Che
così ben ti adatti,
Te fra le dubbie tenebre
Distinguerai
fra mille,
E
invidieran pur taciti
A
me il favor di Fille.
Ma se grata e sensibile
All'amor
mio tu sei,
Amami,
e poi m'invidino
Gli
uomini tutti e i Dei.
<< < > >>L'AUTUNNO
A FILLE
Già dal torrido equatore
Reclinante
il Sol si parte,
E
ad accrescer va il calore
Su
l'australe opposta parte.
E già torna, o Fille mia,
Il
ferace e pingue Autunno;
Bacco
torna in compagnia
Di
Pomona e di Vertunno;
E omai il tempo si avvicina
Che
t'invita alla campagna
Colà
presso alla collina,
Cui
le falde il fiume bagna;
Ove lungi, o cara Fille,
Dal
clamor tumultuoso
Passerai
l'ore tranquille
Nel
contento e nel riposo.
Là godrai con alma lieta
Libertà
piena e felice,
Che
in fastosa ed inquïeta
Città
mai trovar non lice.
O del Ciel soave dono
Libertà
dolce e gradita,
Senza
te l'impero e il trono,
Senza
te, che val la vita?
Non curar quivi di ornarti
Fra
le rustiche contrade;
Lascia
pur le mode e l'arti
Femminili
alla cittade.
Bella assai ti fe' Natura
Più
che far l'arte potrebbe,
Nè
la vana industre cura
A
beltà mai pregio accrebbe.
Ornamento assai più bello
Ti
faran semplici vesti, E quel tuo gentil cappello,
Che
poc'anzi ti facesti.
Lungi i folli usi noiosi
De'
superbi e gran palagi,
E
gli uffici ossequiosi,
La
mollezza, il fasto e gli agi.
Quando in ciel appar l'aurora,
Nel
pomifero giardino
A
còr frutta andrai talora
E
ad empirne un cestellino:
Poscia il dì passeggerai
Per
gli ameni ampi viali,
E
d'intorno ascolterai
Suoni
e canti pastorali:
Mirerai il vigoroso
Instancabile
bifolco,
Che
in terren pingue, ubertoso
Coll'aratro
imprime il solco;
Mirerai le villanelle
Raccòr
l'uve, agili e destre,
E
vòtar nelle tinelle
I
panieri e le canestre.
E poiché non mai decoro
Vieta
a saggia e nobil donna
Porsi
a rustico lavoro,
E
succingersi la gonna,
Fra canori alti concenti
A
te fìa piacevol cosa
Córre
i grappoli pendenti
Dalla
vite pampinosa.
Tien fra mani uva celata,
E
a talun che il pensi meno,
Improvvisa
inosservata
Gliene
bagna e volto e seno.
Col percuoter mani a mani
Tutti
applausi a te faranno,
E
alte risa e motti strani
Contra
quei raddoppieranno.
Tu a fuggir tosto ti affretta,
E,
poi statti ben guardinga,
Ch'egli
pensa alla vendetta,
Benché
il simuli e s'infinga.
So che a svelto agil destriero
Premerai
sovente il dorso
E
per comodo sentiero
Amerai
spronarlo al corso.
Io lo so, Fille mia bella,
Che
sai starvi salda e immota;
Ma
pur bada che da sella
Un
dì a terra non ti scuota:
Altre ninfe io vidi ancora
Pregio
far di pari ardire;
Ma
pentirsi poi talora
Dell'incauto
lor desire.
Non curarti di un piacere,
Se
il periglio l'accompagna;
Che
piacer puoi sempre avere
Più
sicuro alla campagna.
Potrai tender or
le reti,
Or
la pania agli augelletti
Entro
i taciti segreti,
Amenissimi
boschetti;
E ancor vivi e svolazzanti
Di
tua man li prenderai
Così
tanti cori e tanti
Ne'
tuoi lacci cader fai.
Vedrai gli agili levrieri
Far
balzar da cespo a vepre,
E
per torti aspri sentieri
Inseguir
timida lepre:
Finchè al colpo fulminante
Dell'esperto
cacciatore
Ferma
il corso in un istante,
Cade
al suol, palpita e muore.
O del fiume in su la sponda
Puoi
tentar se a te riesce
Col
gettar l'amo nell'onda,
Ingannar
l'ingordo pesce.
Nè a te mai verrà d'intorno
Rio
pensier, cura mordace,
Di
quel placido soggiorno
A
turbar la bella pace.
Fra campagne apriche amene
Si
dilata e s'apre il core;
Più
lo spirto agil diviene,
Ed
acquista piú vigore.
Così tu potrai godere
Dell'Autunno
i dì felici;
Così
ognor gioia e piacere
Piova
in te dagli astri amici.
<< < > >>SCHERZO
DELL'AUTORE
CON
FILLE
CONTRAFFACENDO
IL SISTEMA DELLA PRIMA COSTITUZIONE FRANCESE, MOSTRANDONE COGLI ESEMPI
L'ASSURDITA’
Ragionar Fille non ama
Che
de' torbidi di Francia;
Pesa
ogni atto, ogni proclama
Sovra
critica bilancia.
E discute ogni decreto,
Se
è giovevole o nocivo,
Se
al sovran competa il veto
assoluto o sospensivo;
Se a ciascun suo proprio dritto,
Tanto
all'uom che al cittadino,
Sia
ben fisso e ben prescritto
Dal
congresso parigino;
E ognor va con importanza
Calcolando
i beni e i mali
Che
produr dee l'adunanza
Degli
stati generali;
E le tenere parole
Che
spandean dolcezza e gioia,
Proferire
or più non suole,
O
di udirne infin si annoia.
Ond'io, mentre le ragiono,
I
contrasti evito e schivo;
E
perciò le parlo in tuono
Allegorico
o allusivo.
Fille mia, talor le dico,
Da
più dì bolle il fermento;
Nel
tuo regno, io tel predico,
Seguir
dee gran cangiamento.
L'assemblea convocherassi
Degli
amanti disgustati,
E
per teste, e non per classi,
I
suffragi saran dati:
E si pensa seriamente
Sovra
un più vero apprensivo
Di
fissar un permanente
Nuovo
pian constitutivo.
Di por fine è tempo omai,
O
dispotica mia Fille,
All'abuso che tu fai
Del
poter di tue pupille:
Abbian pur que' sguardi tuoi
Il
poter legislativo,
Ma
è dover che resti a noi
Il
poter esecutivo.
Non si lasci il freno sciolto
Ne
convengo, o File anch'io,
All'audace,
ed allo stolto
Democratico desio.
Tolga il Ciel che la licenza
De'
distretti e de' quartieri
Giunga
a scuoter la decenza
Degli
estrinseci doveri;
Ma non vuolsi in tuono enfatico
Veder
pompa di rigore,
O
che orgoglio aristocratico
S'impossessi
del tuo core:
E che stretti fra i tuoi servi,
Ad
un cenno di tue ciglia,
Quai
prigioni ci riservi
Quasi
dentro una bastiglia.
Nè rischiar si vuol che sdegno
Ci
conduca o rabbia interna,
Per
sottrarci a giogo indegno,
Disperati
a una lanterna.
È dovere, o Fille mia,
Che
tu eserciti, conservi,
Moderata
monarchia
Sui
tuoi fidi amanti e servi.
Ed acciò ch'abbia a valere
Qualunqu'atto o
mozione,
Déi
con libero volere
Porvi
pria la sanzione.
L'assemblea de' tuoi amanti
Porrà
tutto in equilibrio;
Nè
sarai d'ora in avanti
Tèma
al pubblico ludibrio.
Riterrai l'alto comando,
Ma
con modi più soavi,
Sovra
i liberi regnando,
E
non più sovra gli schiavi.
E ciascuno, in questa forma
Ripartito
il male e il bene,
Per
sì provvida riforma
Avrà
ciò che gli appartiene.
Poi l'onor dando a te stessa
Di
tal epoca felice,
Ti
diranno della oppressa
libertà ristoratrice.
FINE