Il regio
exequatur
La questione dell’exequatur è un esempio di come il nuovo
regime liberale si poneva in continuità con il vecchio regime nei confronti
della chiesa, perdendo con le sue rivendicazioni giurisdizionali credibilità
quando affermava la libera chiesa in libero stato. Pur lasciando libertà sul
piano dell’organizzazione pastorale, severi si fecero nel 1874, e soprattutto
dopo l’avvento della sinistra, il controllo sui beni ecclesiastici di regio
patronato e la rivendicazione del diritto di nomina dei vescovi, usati come
strumento per piegare la politica del card. Antonelli che non voleva accettare
compromessi con il nuovo regime, soprattutto dopo l’occupazione di Roma.
Alla
morte del card. Antonelli papa Pio IX si mostrò più morbido sulla richiesta
dell’exequatur governativo per i
vescovi eletti dopo le Guarentigie. Mons. Guarino nel dicembre 1876, su
sollecitazione della segreteria di stato, presentò al governo le Bolle di
nomina pontificia, perché la Santa Sede voleva sondare le reali intenzioni del
governo.14
La
procura generale del re, avendo chiesto al prefetto informazioni sul Guarino,
ne aveva avuto una relazione favorevole:
Lo
stesso mi à assicurato di risultare buona sotto ogni riguardo la condotta
politica e morale di detto Mons. Guarino e che da parte sua non avrebbe ad
opporre alcuna difficoltà perché sia accordato il Regio Exequatur che si
chiede.15
Nonostante
la raccomandazione favorevole del prefetto e del procuratore generale, il
ministro Mancini, acceso giurisdizionalista, non riteneva di dover concedere l’exequatur alla bolla pontificia di
nomina. Un riconoscimento della nomina già fatta dall’autorità pontificia, che
non aveva tenuto conto del diritto di patronato del re, non poteva essere
accettato. Ma poiché già qualche vescovo, nominato dal papa, si piegava a
richiedere anche la nomina da parte del re, allora in questo caso il governo
era disposto a un compromesso, purchè il richiedente riconoscesse almeno il
diritto di patronato del re.
Ora,
poiché la formulazione della richiesta di Guarino, giurista molto attento, non
faceva riferimento al diritto di regio patronato del re, il ministro non
riteneva di doverla accettare. Il Guarino doveva chiedere la nomina al sovrano,
se voleva ottenere il riconoscimento. Il card. Celesia, arcivescovo di Palermo,
inviò la sua richiesta di riconoscimento al governo, mons. Turano di Agrigento,
pur preferendo restare nel seminario, si mostrava disposto a seguire
l’obbedienza.16 Solo nel 1879 Guarino, senza tradire il suo punto di
vista, formulò una richiesta, nella quale non riconosceva il diritto del re, ma
dichiarava che era il governo che riteneva di avere questo diritto.
Oggi
presenta – scriveva il Guarino in terza persona – le Bolle Pontificie, pregando
l’Eccellenza Vostra di munirle del Regio Exequatur per gli effetti della
temporalità. E poiché il sottoscritto conosce che dal Real Governo si ritiene
questa sede di Regio Patronato, prega eziandio l’Eccellenza Vostra a prendere
quei provvedimenti che lo mettano in grado, senza ulteriori ritardi ed
ostacoli, di potere esercitare il suo pastorale Ministero pel maggior bene
delle anime.17
Stavolta
il ministro Tafani, dopo aver ancora una volta ricevuto testimonianze ufficiali
sulla “eccezionale condotta del Guarino e il suo contegno moderato e prudente
in fatto di condotta politica”, che anzi aveva partecipato alle solenni esequie
in cattedrale per la morte di Vittorio Emanuele e aveva permesso che un prete
ne recitasse l’elogio funebre, decise favorevolmente per l’accoglienza
dell’istanza. Con decreto del 27 luglio 1879 il re nominò Guarino e con altro
decreto della stessa data concesse l’exequatur
alle bolle pontificie.18
Da
quel momento Guarino entrava in possesso della mensa e dell’episcopio. Il
ministero del tesoro gli assegnava due rendite di L. 151.47 e di L.
181.05.19 non è facile stabilire la rendita netta che doveva essere
data al prelato. Secondo i quadri di raffronto tra le rendite annue giusta lo
stato attivo e passivo del 1828 e del 1865 si passerebbe da una rendita della
mensa di L. 50.700 per il 1828 e di L. 8.109 per il 1865 che arrivava a L.
10.711 nel 1886. di fatto mentre nel 1828 al prelato restava reddito netto di
L. 43.335, nel 1865 era di L. 25, nel 1866 era 3.714.20 E’ quindi
probabile che questo fosse il reddito su cui poteva contare mons. Guarino. In
ogni caso il Guarino lamentava sempre la povertà dei vescovi, ma anche le
incongruenze del governo che dava ai parroci, nominati da un vescovo non
riconosciuto, l’assegno dell’economato, ma senza riconoscerli.21
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