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INTRODUZIONE

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INTRODUZIONE

Il presente studio è il risultato di una ricerca pluriennale condotta tra gli studenti di italiano dell’Istituto Italiano di Cultura di Delhi, della Jawaharlal Nehru University e della Delhi University allo scopo di individuare alcuni aspetti delle dinamiche dell’apprendimento linguistico, in India, paese caratterizzato da un accentuato e diffuso plurilinguismo.
Alcune ipotesi si possono formulare basandosi su osservazioni fatte sentendo parlare gli studenti e leggendo quello che è scritto nei loro compiti.
Molte espressioni italiane usate da loro fanno pensare all’influenza di altre lingue conosciute. Questa ipotesi di partenza, implica due domande iniziali: 1. È possibile individuare la lingua che ha maggiore influenza sul loro italiano? 2. Nel caso, molto comune in India, di studenti che conoscono più di due lingue, è possibile stabilire una correlazione tra un tipo di errori commessi in italiano e una delle lingue conosciute1? Si può ipotizzare, ad esempio, per lo stesso studente, un’interferenza dell’hindi nella fonetica, dell’inglese nell’ortografia e del francese nella sintassi?
Queste sono le prime domande da cui è partita la presente ricerca.
R. Singh e S. Carroll avanzano l’ipotesi che sia la L1 sia la L2 interferiscano nella fonologia della L3. In diversi casi e situazioni, si rileva l’interferenza ora di una, ora dell’altra. A questo proposito, si possono citare gli studi di d’Anglejan2 e di Richards3 cheseem to suggest that the learning situation may be the most important variable in adult learning.” 4

Per verificare la loro ipotesi, Singh e Carroll hanno studiato leinter L3 phonologiesdi 9 soggetti e non hanno trovato nessuna correlazione tra la durata dell’esposizione a una lingua nonnativa, il periodo dedicato allo studio della lingua e il contesto in cui è stata appresa/acquisita e l’origine degli errori nella L3.
Singh e Carroll hanno osservato che i parlanti lingue europee generalmente, nell’apprendimento della fonologia della L3, subiscono l’influenza della lingua nativa europea, mentre i parlanti lingue indiane subiscono l’influenza dell’inglese5. Questo fenomeno non può essere spiegato soltanto alla luce del prestigio della L2 o della L3, ma bisogna prendere in considerazione anche l’atteggiamento nei confronti della L1.
Questo concorda con le conclusioni cui giunge Aditi Mukherjee studio dell’assimilazione dell’hindi da parte dei diversi gruppi etnici di Delhi. 6
In India, esiste un bilinguismo ufficiale e istituzionalizzato che comporta una situazione di non-competizione tra le diverse lingue e l’inglese, che si è sovrapposto ad esse. Singh e Carroll ritengono che l’inglese eserciti un’interferenza negativa su tutte le lingue apprese, ad eccezione, forse, della lingua madre; 7 giungono alla conclusione che chi impara una L3 può attingere alla L1 e alla L2 a seconda delle proprie esigenze.
Personalmente, concordo con questa conclusione, dal momento che ho potuto constatare che gli studenti indiani utilizzano tutte le loro conoscenze linguistiche nello studio di una nuova lingua. Una determinata caratteristica di una lingua può richiamare alla mente una caratteristica parallela di un’altra lingua e questo fenomeno è tanto più frequente quanto maggiore è il numero di lingue conosciute dallo studente.
Nel corso delle mie lezioni, ho potuto constatare che gli studenti individuano quasi automaticamente questi parallelismi fra l’italiano e l’inglese. Questo succede, per esempio nel caso delle trasformazioni sintattiche da effettuarsi nel passaggio dal discorso diretto al discorso indiretto, che sono simili nelle lingue europee ma diverse da quelle delle lingue indiane8.
La stessa cosa non avviene nel caso delle somiglianze tra italiano e lingue indiane. Per esempio, il verbopiacerein hindi, può essere costruito in due modi, uno simile all’italiano (a me piace), l’altro all’inglese (I like). Gli studenti indiani sono decisamente influenzati dalla costruzione inglese (da cui frasi comeio piace/piaccio la pizza”), piuttosto che da quella hindi.
Ogni volta che ho cercato di indicare questa somiglianza tra l’italiano e l’hindi, ho notato che gli studenti faticavano molto a rendersene conto e, di conseguenza, ad apprenderla. 9
Anche nel caso della pronuncia e dell’intonazione il transfer da lingua a lingua non è consapevole. Molte consonanti della lingua madre sostituiscono quelle italiane10 mentre è la conoscenza di una lingua europea (con maggior frequenza l’inglese) che si riflette nella pronuncia e nell’ortografia delle consonanti raddoppiate.
Enotevole il transfer negativo dal francese nella pronuncia e nell’ortografia e il transfer positivo che aiuta a comprendere costrutti sintattici.
Mi sembrava importante e non preso in considerazione finora da nessuno studio il fatto che si impari l’italiano attraverso l’inglese che non è la lingua madre degli studenti. Che l’inglese sia, come l’ho chiamato in questo studio, la prima lingua, ha un peso non indifferente per le competenze linguistiche degli studenti.
È opportuno ricordare, a questo punto, che la realtà sociolinguistica indiana presenta delle caratteristiche molto peculiari.
In un discorso tenuto il 22 settembre 1993, in occasione della pubblicazione del primo volume diPeople of India: An Introductionl’allora Primo Ministro Narasimha Rao ha detto:
“…(le) lingue cambiano così impercettibilmente. Si trovano zone dove la gente conosce tre o anche quattro lingue. A Adoni, dove s’incontrano le tre regioni dell’Andhra Pradesh, del Karnataka e una piccola parte del Maharashtra, non geograficamente parlando, ma a livello degli abitanti, vedevo che gli anziani parlavano quattro o cinque lingue e tutti capivano tutto. Non sempre riuscivano a parlare in tutte e cinque le lingue, ma le capivano tutte... “11
L’Ottavo Piano della costituzione indiana specifica diciotto lingue appartenenti a cinque famiglie linguistiche. Tuttavia, Singh e Manoharan constatano che le lingue indiane si assomigliano nella fonologia, grammatica e lessico; condividono strutture fondamentali qualiecho-formation”, sistemi numerici, saluti verbali e non, e la terminologia riguardante parentele.
Praticamente tutte le lingue indiane hanno in comune le strutture delle frasi semplici. Seguono tutte la forma soggetto-oggetto-verbo (SOV) contrariamente alla struttura italiana che segue l’ordine soggetto-verbo-oggetto (SVO). Forse questo è uno dei motivi per cui la diversità linguistica non viene vista come un ostacolo alla coesistenza dei diversi popoli che abitano l’India.
L’interazione linguistica attraverso i secoli è riscontrabile nella condivisione di aree linguistiche. Pandit (1972) definisce l’India un’area socio-linguistica12 e R. Srivastava dice che la caratteristica più importante del bilinguismo indiano è l’attribuzione di diversi ruoli sociali a diverse lingue che formano un’unità complessa di comportamenti socio-culturali13. In questo corpus, come in qualsiasi corpus di interlingua, gli errori abbondano. C'è di tutto, a partire dall'errore apparentemente trasparente a quello di cui non si capisce subito la provenienza e tanto meno la causa.
Un "errore" potrebbe esserci perché quella forma morfologica o sintattica fa parte dell'interlingua dello studente in quel momento. Un altro tipo di errore è quello dovuto alla conoscenza di un'altra lingua e cioè, un errore di interferenza.
Nel corpus linguistico raccolto sono state riconosciute forme appartenenti a interlingue di diversi livelli. Lo studio del continuum dell’interlingua non doveva essere il tema centrale di questa ricerca, ma le teorie di interferenza linguistica non sono bastate a spiegare i fenomeni studiati e così, ho dovuto modificare l’ipotesi di partenza.
Ho notato alcuni tratti che caratterizzano la fonetica e l'ortografia del corpus ma mi sono occupata soprattutto di alcune anomalie a livello sintattico.
In una prima fase della ricerca, sono stati rilevati tutti gli errori commessi da un campione di dieci studenti (il pilot study). Era il primo passo per avere materiale che volevo studiare e per averne una panoramica generale. Non c’erano precedenti studi da cui sapere cosa aspettarsi e volevo avere un quadro per scegliere poi gli aspetti che avrei cercato di analizzare più dettagliatamente. In quello studio ho rilevato errori che andavano dal campo morfologico a quello sintattico e preso in considerazione diversi fattori psicolinguistici.
Ho scelto tre elementi per un'analisi più approfondita: la posizione della congiunzioneancheche mi ha colpito nella produzione linguistica degli studenti; l’uso del pronome sia soggetto che oggetto e la presenza oscillante dell’articolo. Dico oscillante perché gli studenti non sembrano aver capito chiaramente quando si deve usare l’articolo determinativo o meno e neanche la differenza che questo crea a volte nel significato del loro enunciato. Si trovano anche dei casi di confusione nell’uso dell’articolo determinativo e indeterminativo.
Ho selezionato le frasi contenenti le forme che avevo deciso di studiare e le ho sottoposte a tre madrelingua italiani. Ho chiesto loro quali delle frasi erano accettabili, il loro significato e, nel caso che fossero errate, come le avrebbe dette un italiano.
Secondo la struttura della frase italiana, “anchemodifica l’elemento sintattico che lo segue. In hindi avviene il contrario e questa struttura invertita la troviamo spesso nel corpus. Sarebbe interessante vedere se questo avviene anche per altri studenti d’italiano che hanno come la L1 una lingua SOV.
Il discorso della posizione diancherispetto al verbo è più complicato giacché l’hindi ha la struttura SOV, e cioè ha il verbo alla fine della struttura della frase, mentre l’italiano ha la struttura SVO, e quindi, ha il verbo prima dell’oggetto. I tempi che richiedono forme verbali semplici o composte in italiano e in hindi non corrispondono. Secondo la grammatica dell’italiano standard, il focalizzatoreanchesi trova in posizione adiacente a sinistra dell’elemento modificato, eccetto nel caso del verbo quando il focalizzatore segue. L’attuale studio, come anche altri studi fatti sull’acquisizione diancheda parte di studenti stranieri, mostra la tendenza a collocareanchea sinistra dell’elemento modificato, anche quando è il verbo a seguire.
Ho riscontrato e preso in considerazione numerose frasi conancheall’inizio della frase prima del verbo o in altra posizione ma sempre precedentemente al verbo. La frase inglese ha la stessa struttura di una frase italiana; soggetto, verbo, oggetto. L'ordine di "also taught (teach) " è mantenuto in "anche insegno". Il pronome soggetto precede la forma verbale e sembrerebbe non essere particolarmente rilevante nella decisione dell'ordine delle parole.
Quindi nell'uso della stessa parola "anche", abbiamo a volte l'interferenza dell'hindi e altre volte dell'inglese. Non si è trovato l’influenza di un’unica lingua neanche nelle costruzioni dello stesso studente. Questo ci fa spostare l’ipotesi dell’interferenza di una lingua alla presenze di interlingue. Troviamo non un’interlingua ma diverse interlingue anche fra studenti dello stesso gruppo che, quindi, dovevano essere allo stesso stadio nell’apprendimento dell’italiano. Da questi dati è possibile elencare i diversi modelli adottati dagli studenti per l’uso dianche”. Per stabilire l’ordine di acquisizione dei modelli, non sembrerebbe bastare uno studio sincronico.





1Non tutti i livelli linguistici appaiono permeabili all’influenza della L1 in egual misuraGiacalone Ramat, Anna, Italiano di stranieri, in Sobrero: Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e gli usi. 1st ed. Bari, Laterza, 1993,


2 D’Anglejan, Alison, Language learning in and out of classroom. Mimeo, University of Montreal, 1977.


3 Richards, Jack, Interlanguage: the state of the art. Mimeo, University of Singapore, 1977.


4 Singh, R. and S. Carroll, L1, L2 and L3. In: Singh, R. (in coll. With S. Carrol, A. D’Anglejan, A. Ford, J.K. Lele and G. Martohardjono), Explorations in Interlanguage. New Delhi, Bahri Publications, 1991, pp. 135-151.


5 Vorrei notare, però, che in questo studio le L3 prese in considerazione erano sempre lingue europee e mai lingue indiane. Sarebbe interessante verificare se anche nel caso dell’apprendimento di altre lingue indiane un parlante lingue indiane continui ad essere influenzato dall’inglese.


6 Aditi Mukherjee ha studiato la considerazione in cui è tenuta la lingua e la cultura di una comunità presso la comunità stessa, nella città di Delhi. Le due comunità studiate da lei sono quella punjabi e quella bengalese. La studiosa ha trovato un rapporto inversamente proporzionale fra l’autostima della comunità e il grado di assimilazione dell’hindi. Infatti, mentre i punjabi, che hanno interiorizzato il discredito nei confronti della loro cultura, vigente a Delhi, tendono a imparare meglio l’hindi (la lingua maggiormente parlata a Delhi) dei bengalesi, che invece hanno un’alta considerazione della loro cultura. V. Mukherjee, Aditi, Language Maintenance and Languange Shift: Punjabis and Bangalis in Delhi. New Delhi, Bahri Publications, 1996.


7 V. Singh, R. e Carroll, S., op.cit., p. 147.


8 Per esempio, la frase "ha detto che sarebbe venuto", in hindi suona: "usne kaha ki vah ayega".


9 Questa difficoltà potrebbe essere anche ascrivibile all’impostazione seguita da molti manuali di italiano, che sono per lo più concepiti per un pubblico di lingua inglese e che perciò tengono soprattutto conto della differenza tra questa lingua e l’italiano. Io ho finora usato questi testi ma il nostro è un pubblico diverso e il testo e la metodologia didattica si dovrebbero adattare a questo fatto.


10 Ad esempio, il suono /v/ in bengalese non esiste, e nei nomi di origine straniera che lo contengono, viene reso, in alcuni casi con /b/ (es.scr. Vishnu> bangla Bishnu), in altri con /bh/ (es. ingl. volume > bangla bholium). Così, gli studenti bengalesi tendono inizialmente a rispettare la stessa norma, spesso aggiungendo l’aspirazione (/bh/) forse per analogia alla resa di /f/ con /ph/ e di /v/ con /bh/.


11 Libera traduzione del discorso di P.V.Narasimha Rao dal Foreward di Language and Scripts; Singh, K.S. e Manoharan,S; Anthropological Survey of India, Oxford India Paperbacks 1997.


12 Pandit 1972


13 Srivastava 1968


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