[Roma dà ordine che gli articoli de'
francesi non siano proposti in concilio]
Ma in Roma si fece longa e seria consulta
se dovevano ammetter che le petizioni de' francesi fossero proposte; e non
tanto era in considerazione quello che importassero in loro medesime, quanto le
consequenze; imperoché, considerando quello che dal Ferrier era stato detto
nell'orazione, cioè che le petizioni essibite erano le piú leggieri e gli
restavano a dimandar cose piú gravi, da questo facevano giudicio che, non
avendo li francesi fatto quelle dimande perché desiderassero ottenerle,
mirassero a questo fine d'entrar per quella strada in possesso di proporre
l'altre che avevano in animo e che aperta la porta per quelle che chiamavano
leggieri, non gli potesse esser negato ogni altro tentativo. Per questi et
altri rispetti fu risoluto di scriver a' legati che assolutamente non si
proponessero, né fosse data negativa libera, ma interponessero dilazione a
proporle, e furono anco scritti li modi che dovevano usare. E nell'istesso
tempo uscí da Roma una scrittura d'incerto autore in risposta sopra di quelle
proposte, la qual fu immediate disseminata in Trento et alla corte
dell'imperatore. Con queste provisioni fu creduto in Roma d'aver dato buon
ripiego alle instanze de' francesi. Ma era maggiormente stimata dal pontefice
la novità instituita alla corte dell'imperatore di consultar cose a lui tanto
pregiudiciali, sapendo molto ben che la degnità pontificia si conserva con la
riverenza e certa persuasione de' cristiani che non possi esser posta in dubio;
ma quando il mondo incomminciasse ad essaminar le cose, non mancherebbono
raggioni apparenti per turbare li buoni ordini. Osservava che in simil
occasioni da' suoi precessori erano stati adoperati rimedii gagliardi, e che in
occasioni tali, dove si tratta il fondamento della fede, ha luogo quel precetto
d'opporsi gagliardamente a' principii, e che come nelle rotte de' fiumi, non
ovviando alle minime rotture degl'argini, non si può tener la piena, cosí
quando si fa minima apertura contra la potestà suprema, sono portate con
facilità all'estremo precipizio. Era consegliato di scriver all'imperatore un
risentito breve, come fece Paolo III all'imperatore Carlo per causa de'
colloquii di Spira, et arguir Cesare che in quei articoli volesse metter in
dubio le cose chiarissime; e con un altro breve riprender li conseglieri che
l'avessero a ciò persuaso et ammonir i teologi che vi sono intervenuti a farsi
assolvere dalle censure. Ma, ben pensato, considerò esser differente lo stato
delle cose da quello che fu sotto Paolo; prima, perché allora la disputa fu
publica, che questa era secreta e trattata quasi in occolto e con cura che non
si sapesse, onde egli poteva anco dissimular la notizia, e se l'avesse
publicata e fosse continuata dopo la sua riprensione, si metteva a maggior
pericolo; che Carlo conveniva star unito col papa per non sottomettersi a'
prencipi tedeschi, ma questo imperatore era già quasi soggetto; e finalmente
che poteva differir il rimedio arduo, essendo sempre a tempo di farlo, e fra
tanto, dissimulando, veder d'impedire obliquamente la risoluzione delle
consulte che si facevano con mandare a quella Maestà il cardinale di Mantova.
Della scrittura che andò intorno contra le
petizioni francesi non solo ne sentirono disgusto essi e l'ebbero per affronto,
ma all'imperatore medesimo dispiacque assai. E li legati, ricevuta la
commissione da Roma sopra di quelle, restarono poco sodisfatti, parendo loro
che quello non fosse modo di dar commissione a' presidenti d'un concilio, ma
piú tosto avvertenze a' ministri da servirsene in trattar per via di
negoziazione; rescrissero solamente ricchiedendo quello che dovessero far, se
li cesarei facessero instanza per la proposta delle loro e fecero che Gabriel
Paleotto, auditor di rota, scrivesse una piena informazione delle difficoltà,
qual mandarono. Il cardinale de Mantova non giudicò che, avendo l'imperatore
detto a Comendone che averebbe mandato risposta al concilio per un suo
ambasciator, fosse cosa conveniente che egli vi andasse prima che intender
quella risoluzione; oltre che l'esser già Lorena alla corte imperiale e non
sapersi ancora l'effetto della sua negoziazione, rendeva incerto il modo che
dovesse esser da lui tenuto. Con queste raggioni si scusò col pontefice, al
quale oltre di ciò scrisse di propria mano che non aveva piú faccia di comparir
in congregazione per dar solamente parole, come aveva fatto 2 anni continui.
Che tutti li ministri de' prencipi dicevano che, se ben Sua Santità promette
cose assai della riforma, non vedendosene essecuzione alcuna, non credono che
ella vi abbia l'animo veramente inclinato; il quale se corrispondesse alle
promesse, non averiano potuto i legati mancare di corrisponder alle instanze de
tanti prencipi: né alcun debbe maravigliarsi che questo cardinale, prencipe
versato per cosí longhi anni in molti grandi affari e compitissimo nella
conversazione, facesse questo passaggio, essendo cosa naturale degl'uomini
vicini alla morte, per certa intrinseca causa et incognita anco a loro
medesimi, il disgustarsi delle cose umane e posporre le pure cerimonie; al qual
segno era molto prossimo, non gli rimanendo della vita dal dí della data di
questa se non sei giorni.
|