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perché delle
due l'una, o ammette che l'autocosciente, attributo formale
dell'intelligibilità, sia variabile limitatamente a certe sue porzioni ma non a
tutte sicché di tali autocoscienti si darebbe una classe il cui modo comune e
identico costituirebbe il vero attributo formale della vera intelligibilità di
cui il precedente sarebbe un autocosciente illegittimo e di cui sarebbe sempre
lecito ammettere almeno il concetto problematico, e si tratterebbe quindi di
respingere dal privilegio la forma delle dialettiche a intelligibilità
parmenidea, nel qual caso si contraddice perché attribuisce ontità a un
qualsivoglia processo di autocoscienti succedentisi all'infinito ma sempre
sostituibili tra loro e sostituibili a un unico comune, o pretende di mantenere
coerenza assoluta al presupposto, assegnando alla variabilità
dell'autocosciente, attributo formale dell'intelligibilità, una portata totale,
e con ciò elide dall'ontità e dall'autocoscienza la successione infinita di
infiniti sostituibili senza cui non c'è la condizione fondamentale
dell'intelligibilità in generale; che se si pretende limitare i punti di
partenza dell'inferenza di tutte le porzioni materiali dell'intelligibilità
formale alla sfera dell'intelligibilità materiale strutturata su serie finite
di autocoscienti uni e semplici e su serie finite di dialettiche di
sostituzione e se si fonda siffatta pretesa sul dato che le uniche dialettiche
lecite e valide con i privilegi spettanti loro per quei loro aspetti che
chiamiamo intelligibilità sono quelle che prendono per biffe dati intuitivi che
son sempre principi della finitezza di quelle serie, non si evita siffatta
negazione in quanto l'inferenza apodittica delle forme intelligibili e quindi
dell'intera sfera dell'intelligibilità formale dalla finita intelligibilità materiale
vieta di attribuire a quella l'infinità di cui questa è priva, con la
conseguenza che esclusione di un infinito intelligibile formale e inferenza
dell'intelligibile formale dalla sola intelligibilità materiale fan tutt'uno e,
se da un lato escludono quel che s'intende per intelligibilità formale,
l'infinitezza degli autocoscienti e delle dialettiche con quei loro principi
che sono l'immanenza dei principi di identità e di contraddizione in
dialettiche di condizione umana, dall'altro privano di ontità e di ragione
della propria ontità quell'autocosciente che è l'intelligibilità formale il
quale è ben un ontico con la sua ontità e la ragione di questa ontità; ora,
l'obiezione è valida e chi, come me, muove dal finito della intelligibilità
materiale come dal principio di inferenza della formale, è tenuto a sentirne
tutto il peso: è da accettarsi che la formula di Parmenide"l'essere è
" sorge solo in una sfera di dialettiche autocoscienti in cui immane la
forma o la liceità di un infinito succedersi di biffe e di dialettiche
sostituibili, perché se è vero che quel giudizio non coglie affatto la qualità
dell'essere ossia la materia di questo e se è vero che si limita solo a
indicare un certo rapporto con cui tale materia, che per ora è un mero concetto
problematico, si pone con se stessa e quindi una certa sua forma, è altrettanto
vero che questa forma mai sarebbe un ontico cui si giustappone autocosciente se
le condizioni che in essa immangono, ossia i principi di ragione e la
conseguente illimitatezza delle serie autocoscienti intelligibili, non
godessero della liceità di porsi esse a punto di applicazione di
un'autocoscienza hic et nunc;ma è altrettanto vero ancora che c'è da chiedersi
se,
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dal momento
che siffatta formula non è la presa di contatto immediato ossia la dialettica
di immediata sostituibilità con la materia qualitativa dell'essere, la quale
anzi verrà inferita da essa, contatto immediato e dialettica di immediata
sostituibilità ci siano con la forma di tale materia ossia con la materia di
un'intelligibilità a successioni infinite per identità e non contraddizione; si
deve dire di no, non solo dal punto di vista puro di Parmenide per il quale
l'assenza originaria della qualità dell'essere, almeno per un'autocoscienza di
condizione umana, e l'illiceità di sostituirla con dialettiche che abbiano a
biffe materie altre da quella dell'essere non lasciano altra via d'uscita che
il principio di inferenza della formula sia o quell'infinita intelligibilità
formale che tuttavia è inferita dalla formula stessa, o un certo modo di
elaborare alcune delle serie finite di dialettiche a materia sensoriale, non
solo dal punto di vista eleatico in generale in cui ci si vale delle inferenze
della formula, ossia dell'identità non contraddittorietà infinità delle serie
di intelligibili, per sistemare nell'intelligibilità certe materie qualitative
quali le modalità del diverso e la staticità e unicità della qualificazione
problematica dell'essere, ma anche da un punto di vista indifferenziato
rispetto agli scopi da perseguirsi per il quale un'infinità
dell'intelligibilità formale è un dato da dimostrarsi e non tanto un principio,
come dimostra tra l'altro il fatto che senza una metafisica e senza, quindi,
ontici autocoscienti che non coincidono con quelli delle porzioni della
formalità intelligibile in sé, un'infinità dell'intelligibile non è fondata;
col che non si esclude affatto che nella sfera delle dialettiche autocoscienti
intelligibili in generale non immanga siffatto autocosciente, si esclude solo
che esso abbia il diritto di albergarvi di per sé, nel senso che si riconosce
che se è vero che una formalità intelligibile in generale, come sussunzione
degli autocoscienti dialettificati sotto l'identità e la non-contraddizione, si
evince necessariamente solo dalla sfera della intelligibilità materiale con la
finitezza dei suoi autocoscienti uni e delle sue dialettiche, la condizione per
cui certe nuove dialettiche abbiano il diritto di inferirsi da queste finite, e
precisamente tutte quelle che a priori si pretende costruire sulle biffe di una
serie finita di dialettiche una volta che questa si sia data, è che siffatta
formalità svincoli l'identità e la non-contraddizione dall'intuizione presente
e futura e con ciò ammetta l'infinità in generale della intelligibilità formale
e la sua estensione all'intelligibilità materiale; come pure si deve ammettere
che questa identità è la condizione per cui è data l'intelligibilità sic et
simpliciter in quanto sussunzione delle dialettiche sotto una sola forma o
classificazione loro in una sola classe col fine di concedere a tutte
un'identità di privilegi; che se questa identità vien meno, i principi formali
inferiti da una classe di dialettiche coi privilegi loro conseguenti saranno
insostituibili dagli altri inferiti coi loro privilegi da altre classi
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e si avrà
un'eterogeneità di sostituzioni-sostituibilità che rompe quell'unità formale
che chiamiamo intelligibilità; ma una cosa è un bisogno, un'altra cosa è un
apodittico, col che s'intende dire che il darsi di una condizione non è una
conseguenza necessariamente inferita dal darsi di ciò che si aspetta dalle
conseguenze del darsi del suo condizionato, perché delle due l'una o questo è
un ontico autocosciente con le sue conseguenze
attese e, allora nel caso che quella condizione sia l'unica lecita, la sua
ontità materiale s'accompagna ad autocoscienza di pieno diritto
indipendentemente dall'intuizione che ne abbiamo, o non si dà intuizione né
della condizione né del condizionato in quanto ontici, nel qual caso la
condizione resta quel che era, un concetto problematico; ora, poiché è evidente
che il condizionato, ossia un'intelligibilità materiale a successioni infinite,
non è un ontico autocosciente di intuizione immediata, delle due l'una o si
attribuisce siffatta intuizione all'intelligibilità formale quasi fosse un dato
primo e originario, come in fondo fanno Hume e Kant, e con ciò se ne fa un
concetto innato, a materia zero in sé, o si fonda il diritto e la legittimità di
siffatta intuizione su una metafisica, oppure la si esclude; e poiché
quest'ultimo non è dato per le conseguenze su viste di quella negazione
dell'intelligibilità in generale con cui esso coincide, non resta che la strada
della metafisica, giacché l'altra o finisce per sfociare nella metafisica o
s'accontenta del suo apriorismo; ma in entrambi i casi o che si faccia appello
alla metafisica per garantire l'infinità delle successioni in
un'intelligibilità formale in sé e per sé che sia adeguata e adeguabile da
intelligibili materiali, o che siffatta adeguazione non si voglia ammettere per
non estendere troppo il fondamento metafisico e per accontentarsi di una
disarticolazione dell'autocosciente di condizione umana in quel che è e non in
quel che si vorrebbe che fosse, e quindi non ci si preoccupi affatto di fondare
l'intelligibilità formale, resta pur sempre valido il criterio di fare delle
serie finite dell'intelligibilità materiale il principio di inferenza delle
forme intelligibili le quali evidentemente debbono coincidere con porzioni
dell'intelligibilità formale pura; altri discorsi dovranno esser tenuti per
fondare l'ontità e intuitività di questa e per dimostrare che, se mai
all'autocoscienza umana son date con apoditticità le sue forme o porzioni, ciò
non è dal finito delle dialettiche materiali; quel che qui interessa è vedere
come e con quale materiazione si inferiscono le forme intelligibili da
dialettiche materiali in serie finita le quali, se da un lato influenzeranno
tali forme da esse inferite differenziandole da quel che esse sono in
un'intelligibilità formale, dall'altro trarranno all'autocoscienza pel medio di
questa differenziazione la differenza tra un'intelligibilità ontica di
condizione umana, ossia materiale e non solo formale, con una materialità
offerta da ontici ad autocoscienza hic et nunc, e di serie finite, e
un'intelligibilità formale pura di condizione divina, nella quale son date
serie di infinità lecita di dialettiche con forme aventi a propria materia
dell'ontico qualitativo che non è forma o modo o porzione di un formale, e
dalla quale sono escluse serie infinite di dialettiche meramente formali ossia
con a materia delle loro forme del formale, quali sono quelle
dell'intelligibilità formale pura di condizione umana; //
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