Note
Dichiarazioni di Gaspare Salviani alla Secchia rapita
[dall'edizione
del 1630, attribuite ad A. Tassoni]
CANTO PRIMO
Stanza 1a, verso 4.
I Bolognesi
sono chiamati Petronii e i Modanesi Gemignani per la moltitudine de' cittadini
dell'una parte e dell'altra che hanno questi nomi; non per disprezzo alcuno,
poiché per altro sono nomi de' Santi protettori di quelle due città.
S. 2a, v. 8.
Accenna la
conformità, che è tra il rapimento d'Elena e quello della Secchia.
S. 4a, v. 1.
Veramente la
Republica di Venezia in quel tempo, veggendo ruinare l'imperio greco, attendeva
a profittarsi della caduta sua, e non premeva molto nelle cose d'Italia. Rebuelta
de rio, gananza de pescador.
S. 5a v. 4
Questa è
moneta che spende ordinariamente la Corte di Roma. Diceva prima: Ma non
avran dal Papa altro che messe. Fu mutato, perché il satirizzare su
l'imperfezioni de' religiosi pecca in moralità e scandalizza gli uomini pii.
S. 10a, v. 8.
Usò questa
voce [pitale] il poeta e molt'altre della Corte di Roma, sí per la licenza,
che concede Aristotile ai poeti epici d'usar varie lingue; ma molto piú perché
egli ebbe opinione che la favella della Corte romana fosse cosí buona, come la
fiorentina, e meglio intesa per tutto.
S. 12a, v. 2.
I Modanesi
portano per impresa della città loro una trivella: col motto: Avia pervia.
S. 12a, v 5.
Questo non è
capriccio del poeta, come l'hanno tenuto alcuni, ma istoria vera cavata dalle
croniche del Lancillotto: il quale aggiugne anco di piú, che occorse un giorno
che sementando certi agricoltori
fagioli dietro le rive del Panaro, il podestà di Modana uscí con gente armata a
far loro la scorta, perché non fossero impediti dai nemici ch'erano anch'essi
in campagna: onde i Bolognesi, come faceti, inventarono poi che 'l Potta di
Modana sementava i fagioli stando a
cavallo.
S. 13a, v. 1.
Questi è
figurato pe 'l conte Lorenzo Scotti amico del poeta, che morí poi alla corte
dell'imperatore Mattias.
S. 13a, v. 8.
Gherardo
figlio di Rangone Rangoni fu veramente in quel tempo; e secondo l'istorie del
Campanaccio e del Sigonio, furono egli e Tomasino Gorzani capitani del popolo
modanese in quella guerra e insieme col re Enzio rimasero ambidue prigioni.
S. 14a, v. 2.
Marrabisi:
è voce lombarda, e significa uomini di mal affare: è propria de' Bolognesi.
S. 14a, v. 5.
La Fossalta è
un passo d'un torrente tra Modana e 'l fiume Panaro, che si passa a guazzo co'
piedi asciutti.
S. 16a, v. 1.
Questo è nome
finto.
S. 16a, v. 5.
Aristotile
insegnò all'epico ch'egli poteva usare la varietà delle lingue; onde il poeta
qui si serve della regola per introdurre il ridicolo.
S. 25a, v. 3.
Bedano appresso
i Bolognesi significa quello che appresso i Sanesi significa besso, scemo,
balordo.
S. 26a, v. 5.
Il capitan Curzio
Saracinelli fu uomo bravissimo, ma milantatore al possibile; non s'era fatta
guerra in cent' anni, dove egli non fosse intervenuto; e non era intervenuto in
guerra, dove di sua mano non avesse tagliato a pezzi almeno cent'uomini, e
particularmente nelle guerre di Fiandra e di Portugallo.
S. 28a, v. 1.
Questi fu un
dottore senza naso; ma il colpo era stato piuttosto di guaina che di spada.
S. 29a, v. 1.
Qui è forza
narrare un accidente ridiculoso intervenuto al poeta mentre era allo Studio di
Bologna, che forse diede materia a questi versi. Era di carnevale, e standava
in maschera; e 'l poeta era vestito da Zanni dottore con una zimarra e una
beretta di velluto. Incontrossi in tre altri mascheri vestiti da Zanni, in San
Mammolo, i quali toltolo in mezzo il cominciarono a urtare; e uno di loro, che
portava un formaggetto vecchio legato con una corda, gli diede con esso una
botta su lo stomaco, e 'l fece cadere in terra; e un altro gli levò la beretta
che gli era caduta nel fango, e gliela portò via trafugandosi fra gli altri
mascheri, e 'l fece rimanere un Zanni da dovero. Egli seppe dappoi che quello
che l'aveva fatto cadere era stato uno de' Zambeccari, e quello che gli aveva
tolta la beretta era stato un tal Dal Gesso che morí poi la state seguente, e
'l terzo era uno de' Scadinari.
S. 31a, v. 1.
Questa è
un'osteria fuor di porta San Felice a Bologna, dove sempre
suol essere buonissimo moscadello.
S. 39a, v. 3.
Alcuni
vogliono che Bologna fosse anticamente detta Boionia, dai Galli Boi, che abitarono
quivi.
S. 41a, v. 4.
Manfredi Pio
non fu molto distante a quei tempi; fu capo delia fazione ghibellina e vicario
imperiale in quelle parti.
S. 43a, v. 7.
La secchia,
che tuttavia si conserva in Modana, è veramente d'abete; e mostra che fosse nuova
con tre cerchi e il manico di ferro. È anticaglia degna d'esser veduta, come
quella che tiene il terzo luogo dopo la nave d'Argo e l'arca di Noè.
S. 48a, v. 3
Chi desidera
di sapere il successo di questa vergine, legga il Leonico, De varia historia
etc.
S. 52a, v. 1.
Bonadamo
Boschetti era veramente vescovo di Modana in quei tempi, e come uomo di fazione
era stato cacciato dai ghibellini. Questa ottava si leggeva prima cos:
Era vescovo allor per
aventura
de la città messer
Adam Boschetti,
che celebrava con
solenne cura
quando i suoi preti li
facean banchetti.
Non dava troppo il
guasto a la scrittura,
le starne gli
piacevano e i capretti,
e in cambio di dir
vespro e matutino
giucava i benefici a
sbarraglino.
Ma perché al
poeta parve d' aver ecceduto nel motteggiare la persona d'un vescovo per altro
di nobilissima famiglia e molto sua amorevole, non ostante che avesse
motteggiata la persona sola e non la dignità né la famiglia, la corresse come
si vede. I difetti delle persone eminenti s'ascoltano con gusto, perché servono
di scusa agli inferiori delle loro imperfezioni: ma il motteggiare le persone
sacre non si può ammettere in buona politica, perché scema la riverenza alla
religione. E per questo furono mutati eziandio quei versi dell'ottava 62a:
Sotto la porta stava Monsignore
dimenando il cotal dell'acqua
santa.
S. 61a, v. 1.
Cataline sono
chiamate qui le contadine del modanese, perché dicono Catalina in cambio di
Caterina, e infinite di loro hanno questo nome, ma il proferiscono alla
spagnola, e i Bolognesi le beffeggiano.
S. 63a, v. 7.
Molti
credono, che questa sia favola; ed è istoria verissima. e in passando da Modana
se ne posson chiarire.
CANTO SECONDO
S. 7a, v. 3
Questo Rarabone,
che 'l poeta finge qui per autore della sua famiglia, non si sa che veramente
fosse allora capo di banca; ma si trova però nelle croniche di quella città
scritto fra gli anziani e conservatori di essa ventott'anni appresso.
S. 11a, v. 2.
Equivoca e
scherza sopra il nome di Marcello, che in Venezia è una moneta da dodici soldi.
S. 13a, v. 3.
Il dottor
Camillo Baldi fu principal lettore dello Studio di Bologna,
e amico del poeta; e avea le sue possessioni a Grevalcore terra palustre; dove,
alle prime rane che si veggono, sogliono i Modanesi motteggiare che quei di
Grevalcore non possono piú perir di quell' anno, perché quivi ne nascono e se
ne mangiano assai.
S. 15a, v. 7.
Veramente
Appiano Alessandrino, descrivendo il luogo dove Pansa console fu ucciso dalle
genti di Marc'Antonio, pare che additi le valli di Grevalcore; dove tanto gli
uomini quanto le rane nascono verdi e gialli.
S. 27a, v. 6.
Veggansi
l'istorie di quei tempi, e troverassi che i Modanesi, i Parmegiani e i
Cremonesi erano sempre uniti in
lega.
S. 28a, v. 1.
Finge il
poeta che la Fama porti gli avisi e le gazzette de' menanti d'ltalia alla corte
di Giove.
S. 35a, v. 4.
Intende delle
maremme di Siena, i cui cervelli hanno fama d'avere occulta intelligenza con
questa Dea.
S. 35a, v. 8.
Le meretrici
invecchiate e dismesse sogliono per l'ordinario applicarsi a cosí fatti lavori.
S. 36a, v. 2.
Rappresenta
certe mogli indiavolate e traverse, che sempre
aggiustano tutte le faccende loro a disgustare il marito. S'egli ha forestieri,
esse vogliono fare il bucato; se vuol mangiar per tempo, esse vanno all' ultima
messa; s'egli ha bisogno di loro, vanno a lavarsi il capo: altre non si mettono
mai ad intrecciarsi i capegli, se non quando si vuole andare a tavola, per
farsi aspettare un pezzo: strebbiatrici, insolenti, picchiapetti.
S. 36a, v. 8.
È galanteria,
che s'usa nelle corti di Roma, acciò che i servidori non s'imbriachino. Sono di
quei beneficii non ricercati, che sogliono usare i moderni caritativi.
S. 43a, v. 1.
Il signor
Guglielmo Moons, agente del serenissimo elettor di Colonia, paragonò questo
luogo con quelli d'Omero e di Vergilio; ma non gli parvero da competere: ma io
so che 'l poeta non ebbe intenzione di concorrer con essi.
S. 43a,v. 7.
Chi non
intende il poeta, legga le veridiche istorie di Luciano, dove tratta delle
battaglie seguite tra Endimione e Fetonte ne' campi della Luna.
S. 44a, v. 2.
Dante disse [Inf.
XVIII, 61]: Tra Savna e 'l Ren dove si dice Sipa.
S. 45a, v. 8.
Saturno,
pianeta maligno, che agli uomini co' suoi influssi sempre
minaccia danni, risponde qui conforme alla sua natura. E Marte applaude alla
sua risposta, per esser anch'egli pianeta di mala qualità.
S. 46a, v. 7.
Parla
astrologicamente: perciò che, se la stella di Marte è mirata d'aspetto opposto
o quadrato da quella di Venere, a' suoi cattivi infiussi vien scemato il
vigore.
S. 50a, v. 1.
A Modana si
fanno e s'adoprano le maschere piú che in città del mondo; e 'l carnevale vi sono
continue danze e tornei e giostre e bagordi. E quivi parimenti sono trebbiani
dolcissimi ed altri vini in copia grande.
S. 50a, v. 8.
Allude al
proverbio far la barba di stoppa; e motteggia le statue degli Dei de'
gentili ch'avevano la barba d'oro: onde Dionisio tiranno la levò ad Esculapio,
dicendo ch'era indecenza che 'l figlio avesse la barba e 'l padre, ch'era
Apollo, fosse sbarbato.
S. 57a, v. 8.
Piú
modestamente non si poteva dichiarare l'oscenità, né con piú acutezza schernire
il gentilesimo. Alcuni si credettero d'imitar questi dileggiamenti degli Dei
de' gentili, e diedono nelle seccagini e nelle freddezze: Ma ognun del suo
saper par che s'appaghi.
S. 60a, v. 1.
La plebe di
Bologna suol essere astutissima: aggiuntovi poi l'esser oste e l'esser guerzo,
affina la tristizia a ventiquattro carati.
S. 63a, v. 2.
Chiama il
poeta fetente Modana per rispetto delle sue strade lorde, dominate piú dalla
dea Merdarola che dal dio Febo. Un altro poeta disse:
Modana e una città di Lombardia
Tra 'l Panaro e la Secchia in un
pantano,
Dove si smerda ogni fedel
cristiano
Che s'abbatte a passar per
quella via.
I Modanesi
sogliono con tutto ciò dire che la città loro ha due strade per tutto: una per
gli uomini e l'altra per le bestie; intendendo che i portici, che sono in tutte
le contrade, servano per gli uomini.
S. 65a, v. 3.
Bacco non
poteva chiamar gente piú sua affezionata e divota, né invitarla in luogo dove
fosse meglio trattata; perciò che a Modana ci sono bonissimi vini, e in tanta
quantità che si vende a tre giulii il barile: onde si può dire che quivi sia la
regia di Bacco, e la terra di promissione de' Tedeschi.
S. 65a,v. 7.
Questi è il
primo Santo che venga dopo le vendemmie; e suole essere la sua festa destinata ad
assaggiare i vini nuovi. Oltre di ciò Gregorio Turonese fra' miracoli di questo
Santo conta alcune moltiplicazioni di vino; sí che per tutti questi rispetti i
Tedeschi deono avere in venerazione particolare questo gran Santo.
CANTO TERZO
S. 4a, v. 1.
È promessa
simile a quella che già fece l'istessa dea a Paride; e accenna l'origine de'
signori Bentivogli, che tengono di esser discesi dal re Enzio.
S. 11a, v. 8.
Culagna è una
rocca smerlata su le montagne di Reggio, famosa come a Roma Capodibove.
S. 13a, v. 8.
Le corna
erano anticamente segno di corona, e oggidí ancora in Germania si portano sui
cimieri in segno di nobiltà. Però niuno interpreti a sinistro il cimiero di
questo eroe, che porta corna ch'ognuno le vede, e tal le porta che non se le
crede.
S. 14a, v. 1.
Ad un
cavaliero de' Montecuccoli parve che questo fosse il suo ritratto: ma molte
cose dette a caso paiono alle volte dette a posta.
S. 15a,v. 7.
Quando
Balduino imperator di Costantinopoli venne in Italia, nel passar per Modana fece
veramente alcuni cavalieri tra' quali furono Attolino e Guidotto Rodea, Forte
Livizzano e Rainero de' Denti di Balugola.
S. 18a, v. 1.
Camillo del
Forno fu veramente uomo arrischiato e bravo ma in ultimo essendosi fatto capo
di banditi, la sua temerità il precipitò.
S. 20a, v. 2.
Questo
arciprete fu ribello del comune di Modana, e gli occupò la terra del Finale, e
gli fece di molti danni.
S. 24a, v. 1.
Questa fu
istoria vera: e chi desidera di saperla, legga quel che ne scrive il conte Giovan
Paulo Caisotto nell'istorie di Nizza.
S. 30a, v. 1 .
Corleto e
Grevalcore furono detti a contraposizione Cor laetum et Grave cor; questo
dai soldati di Pansa ucciso quivi; e quello dai soldati d'Ottaviano vittorioso
in quel luogo, quando liberò Modana dall'assedio.
S. 30a, v. 7.
Quest'era un
maestro di scuola famoso, a cui essendo venuto uno de' suoi contadini a dargli
nuova che gli era morta una vacca, il rimandò in villa e gl'insegnò che gli
facesse un beverone che sarebbe guarita.
S. 31a, v. 1.
Questo
dottore si maritò con una giovinetta in età matura e morí subito. I vecchi, che
si maritano a donne giovani, sono giubboni vecchi che s'attaccano a calzoni
nuovi, che subito si schiantano.
S. 32a, v. 1.
Ebbe nome
Bartolomeo, e fu appunto quale il poeta il descrive.
S. 35a, v. 2.
L'arma de'
signori Boschetti è una grattugia con certe sbarre; ma il poeta la finge una
gradella, perché veramente i pittori la rappresentano piuttosto in forma di
gradella che di grattugia.
S. 39a, v. 1.
Questo si
chiama San Martino de' Ruberti, famiglia nobile reggiana, che vanta la sua
origine d'Africa; e per questo il poeta le dà per impresa un Saracino.
S. 40a, v. 1.
Questa fu
antica e nobil famiglia oggidí estinta. Zaccaria fu signor di Carpi; ma da
Manfredi Pio, ch'era allora vicario imperiale, gli ne fu levato il dominio.
S. 46a, v. 1.
Intende della
famosa Accademia della Crusca di Firenze, che porta l'istessa impresa.
S. 46a, v. 8.
Gli finge unti,
perché quivi nasce l'olio di sasso famoso, intorno al quale faticano.
S. 47a, v. 2.
I vini di
Sassuolo sono perfettissimi.
S. 48a, v. 1.
Quei della
Rosa furono in quel tempo signori di Sassuolo; e chiamavansi egualmente quei
della posa e quei di Sassuolo. Oggi è famiglia estinta
S. 49a, v. 1.
Scherza su 'l
nome e su le bellezze della signora Laura Cesi contessa di Pompeiano. Sol che
tramonta.
S. 50a, v. 2.
Il conte
Ercole Cesi aveva assuefatte alcune giovani di quelle terre, che tiravano co'
moschetti a segno, come gli uomini.
S. 51a, v. 1.
Cioè avea il
cognome e'l dominio della terra di Cervarola e di Saltino e del Pigneto e di
Morano paese vicino.
S. 54a, v. 3
Rappresenta
nell'insegna un uomo collerico.
S. 57a, v. 2.
Questo cavaliere
aveva una sorella bellissima, che poi si fece monaca
S. 57a, v. 4.
Settecento
uomini che guardavano un passo stretto d'una montagna, veggendo apparire certi
cavalli nella pianura, a quella vista sola tutti si misero in fuga, perché
avevano per capo il conte di Culagna. È istoria antica che sente del moderno.
S. 59a, v. 1.
Allude al
conte Fabio Scotti, conte di Miceno, detto corrottamente Muceno.
S. 64a, v. 1.
Niuna cosa
vien istimata piú abile a muovere il riso che gli abiti contrafatti; e però il
poeta arma questi popoli montagnuoli così alla scapigliata.
S. 65a, v. 2.
Alberto ebbe
nome, e fu giovane valoroso nell'armi, che poi si fece frate cappuccino.
S. 65a, vv. 3- 4.
Questi due
versi si leggono guasti in alcuni testi, non so da chi, né perché, essendo
rappresentazione d'un atto ridiculo che sogliono ordinariamente fare i putti
cristiani in disprezzo del giudaismo. Ma alle volte taluno si fa scrupolo a
sputare in chiesa, che poi ruberebbe la sagrestia.
S. 66a, v. 2.
Cioè Morovico
signor di Ronchi, e di casa Ronchi.
S. 67a, v. 8.
Chiamasi la
Torre dell'Oche grande, non rispetto al luogo, ma al numero di quelli che hanno
il cervello d'oca.
S. 73a, v. 4.
La bizzaria
di queste insegne par fatta a caso; ma nelle piú di loro vi sono degli
artificii occulti, i quali si tacciono per non offendere.
S. 75a, v. 1.
Fu verissimo
che in quella guerra i Fiorentini anch'essi aiutarono i Bolognesi: e il
commessario loro fu messer Botticella degli Orciolini.
CANTO QUARTO
S. 2a, v. 6
La montiera
è un cappelletto alla spagnola da portare in casa, che usavano anche gli
antichi; onde Svetonio in Augusto: Domi quoque non nisi petasatus sub dio
spatiabatur. Augusto per rispetto de' crepuscoli non passeggiava in casa
allo scoperto senza la montiera.
S. 3a, v. 1.
Chiama seme de' Latini i Modanesi, perché Modana era stata
colonia de' Romani.
S. 3a, v. 4.
Gli scrittori
antichi mettono il Lavino fiume nel territorio di Modana. Ma Carlo Magno, nella
divisione che fece de' confini d'ltalia, divise col Panaro i confini di Modana
e di Bologna, perché in quel tempo Modana era distrutta e spopolata e Bologna
populatissima. Succederono poi Federico Barbarossa e Federico Secondo, i quali
avendo i Bolognesi per difidenti e per nemici tenevano un presidio a Modana, e
non lasciavano goder loro quel territorio in pace per le ragioni antiche.
S. 4a, v. 1.
È castello su
la strada maestra ne' confini de' Bolognesi, oggidí aperto.
S. 15a, v. 1.
Furono
veramente i Parmegiani aspri nemici di Federico Secondo. Veggansi l'istorie.
S. 21a, v. 8.
La Rossina
è una canzone triviale che si canta in Lombardia; e cominciando dalle
chiome dice: Le belle chiome c'ha la mia Rossina, Rossina bella fa la li le
lá: Viva l'amore e chi morir mi fa: e cosi va seguendo.
S. 28a, v. 1.
Il testo
primo diceva: Uccise d'an gran taglio Angel Rasello. Et era un ritratto
cavato dal naturale d'un personaggio ora morto, che quadrava a puntino.
S. 39a, v. 1.
Avendo i Ferraresi
cacciato Aldobrandino da Este per l'alterigia sua, s'elessero per signor
Salinguerra Torelli, o Garamonti com'altri vogliono. Ma poco dopo Salinguerra
fu anch'egli cacciato, e fu restituito il dominio ad Azio da Este figliuolo
d'Aldobrandino. Vogliono nondimeno alcuni speculativi che qui il poeta alluda
alla cacciata di qualche altro signor piú moderno. Salinguerra, secondo
l'istorie del Biondo, fu aiutato da Ezzelino tiranno di Padova ad acquistare il
dominio di Ferrara, perché era suo cognato e gli Estensi erano suoi nemici.
S. 40a, v. 3.
Questo è un
contrasegno del marchese Fontanella conte di San Donnino, che soleva far quell'
atto.
S. 61a, v. 7.
La famiglia
Canossa era fino a quel tempo molto nobile e gli storici dicono che Guido
Canossa fu veramente capo del popolo reggiano in quella guerra, e che,
trasportato dall'impeto del cavallo e ferito, s'affogò in una fossa.
S. 64a, v. 1.
Questa
potrebbe esser giudicata da qualcheduno invenzione del poeta per ischernire i
Reggiani; e non è cosí: perciò che veramente nell'archivio de'signori Pii si
trova una sentenza data in Rubiera l'anno 1255 alli 20 di febbraro, regnando
Federico Secondo imperatore, ed essendo suo vicario in Modana il signore
Alberto Pio; e tal sentenza fu data dal dottore Andrea Canossa da Parma,
giudice deputato da esso Signore Alberto nella controversia che allora si
disputava tra la comunità di Reggio e quella di Modana, la quale per esser cosa
lunga non la riporterò qui tutta, ma le parole e clausule solamente che
contengono il punto di questo accidente. E sono quelle che seguono:
Christi nomine repetito, etc.
Dicimus, sententiamus et pronuntiamas et
diffinimus, et iudex quietamus liberamus et absolutos, quietos et liberatos esse
iubemus et condemnamus et ut arbiter arbitramur et sententiatum esse volumus et
condemnamus ut intra, videlicet:
Dictos de Reggio, sea praædictam
communitatem Reggii teneri et obligatos seu obligatam esse extrahere videlicet
cothurnos, stivalia, soturales et crepidas, in signum hanoris et reverentiæ
debitæ et debendæ prædictis Mutinensibus, in itinere pedestri, equestri et
navali, in quibascumque domibus hospitiis et ad omnem quamcumque volantatem
prædictorum Mutinensium requirentium et etentium sibi calciamenta extrahi
debere et stivalia cothurnos sotalaria vel crepidas, sic extractas vel extracia
purgare, mundare, lavare et ezsdem et quibuscumque eorum, ut dominis suis eos
vel ra præsentare. Et ita pronunciamus omni meliori modo etc.
Præsentibus ambobus prædictis
procuratoribus seu mandatariis D. D. Pietro de Nava et Francisco Regino etc.
Actum in
Castro Herberiæ etc.
A questa
scrittura precedono e seguono le solite clausole, le quali, come ho detto, per
brevità si tralasciano, bastandoci avere accennata qui la sostanza del fatto.
Se poi tale scrittura sia cosa vera e reale o pur finta, me ne rimetto
all'altrui giudicio, bastandomi aver significato che 1' originale è in casa de'
signori Pii di Savoia, e che non è invenzione del poeta.
S. 65a, v. 6.
A sesta, cioè
a misura. Ma questa pur anco parrà ad alcuno invenzione del poeta contra i
medesimi Reggiani: e nondimeno nell'istorie del regno d'ltalia sotto l'anno
1152 e in altri autori ancora, si legge ch'essendo in lega i Modanesi co'
Parmegiani ruppero l'esercito de' Reggiani e ne menarono a Parma un gran numero
di prigioni; e che'l giorno seguente, mostrando di volerli arder vivi, accesero
in piazza un gran foco; poi trattili di prigione con una canna in mano per
ciascheduno, che aveva in cima una banderola di carta, li facevano passare per
certo luogo stretto, e nel passar che facevano davano a ciascheduno uno
scappezzone o scappellotto su la nuca; e in cambio d'arderli facevano loro
degli soffioni e ardevano loro la barba, e poi li mandavano via cosí svergognati
e spauriti.
S. 66a, v. 7.
I Reggiani
oppongono ai Modanesi che mirano la luna nel pozzo, perché veramente i Modanesi
hanno in costume, quando veggono un pozzo, di correr subito a mirarci dentro. E
i Modanesi oppongono ai Reggiani che abbiano le teste quadre, perché realmente
molti di loro non l'hanno né tonde né ovate, come anche si dice de' Genovesi
che abbiano le teste acute, perché molti di loro l'hanno cosí. Però come questo
è accidente di molti, non di tutti, il poeta finse che quelli solamente che
patteggiati uscirono di Rubiera avessero le teste quadre, e che i medesimi soli
fossero ubbligati a cavar gli stivali o le scarpe ai Modanesi quando
s'incontravano per viaggio. In ogni evento è da considerare che i capricci de'
poeti non fanno caso, e tanto piú de' poeti burleschi, che hanno per fine loro
il diletto e non la verità; perché ben si sa che per altro li signori Reggiani
sono molto onorati.
CANTO QUINTO
S. 2a, v. 2.
Bosio Duara signor
di Cremona fu veramente allora in aiuto de' Modanesi, e vi rimase prigione.
S.23a, v. 8.
A Modana i
pizzicagnoli si pregiano vanamente di far salciccia fina, perciò che non val
nulla rispetto a quella di Lucca detta perciò latinamente lucanica da Lucca.
S. 24a, v. 4.
Nelle
croniche di Modana si legge, che le città che s'armarono in favore de'
Bolognesi contra Modana furono appunto quattordici, e quell'istesse che nomina
il poeta, da Perugia in fuori, che fu introdotta da lui a contemplazione del signor
Baldassare Paulucci.
S. 25a, v. 7.
Il papa era
allora in Francia nel Lionese Veggasi il Biondo sotto l'anno 1218, nel quale
seguí la battaglia e la rotta e la presa del re Enzio.
S. 28a, v. 3.
Questa è vera
istoria e non pecca in altro che in anacronismo. L'accidente occorse a questo
prelato a Scarperia, mentre da Roma andava a Parma.
S. 32a, v. 1-8.
È ritratto
cavato dal naturale e fu vero che ritornando portò guanti agli amici.
S. 36a, v. 1.
È descrizione
della salmeria che portarono quei Toscani, che l'anno 1613 passarono in aiuto
de' Mantuani contra i Savoiardi, che si servirono d'asini per bagagli.
S. 40a, v. 4.
Il dice per
gli Sforzeschi e per quelli da Barbiano, che furono eroi.
S. 41a, v. 4.
Guido da Polenta
fu padre della Francesca da Rimini, di cui si favella ne' seguenti versi.
S. 43a, v. 3.
Paulo: fu
questi fratello di Lanciotto, da cui fu ucciso perché il trovò con la moglie
Francesca. Vedi Dante.
S. 48a, v. 3.
Accenna
quello che si dice de' Faentini, che l'imperator Carlo Quinto, essendo stato
molto onorato da quei cittadini nel giugnere alla piazza creasse cavalieri
tutti quelli che vi si trovarono; onde perciò i Faentini quasi tutti si
chiamino cavalieri.
S. 49a, v. 2.
Mainardo da
Susinana fu veramente tiranno di Cesena, come anco Pietro Pagano d'Imola e gli
Ordelafi di Forlí e Forlimpopoli. Leggi il Villani, che ne favella.
S. 53a, v. 2.
I prirni
ch'usassero il carroccio furono i Milanesi. Era un gran carro tirato da molte
paia di buoi, dove si mettevano tutte l'insegne quando si combatteva, e dove si
ricoveravano i feriti sotto la guardia d'una grossa banda di soldati, i piú
vaiorosi del campo.
S. 53a, v. 8.
Antonio
Lambertazzi e Lodovico di Geremia furono i due capi principali del popolo di
Bologna nella giornata d'Enzio.
S. 55a, v. 1.
Quest'era
veramente il podestà. di Bologna in quel tempo. La gorgiera in questo
loco è detta per gozzo; e dicesi che nel bresciano quando le genti
s'ammogliano, non le vogliono se non hanno il gozzo, perché dicono che le
sgozzate non hanno tutti i loro membri.
S. 55a, v. 8.
I Bresciani
sono contati anch'essi fra le città collegate con Bologna. Le parole delle
croniche di Modana sono le seguenti: De anno 1247 die 4 octobris Bononienses
cum suo carroccio et cum amicis suis Faventinis, Imolensibus, Forliviensibus,
Ariminensibus, Pisauriensibus, Fanensibus, Mediolanensibus, Brixianis,
Forlimpopolensibus, Cesenatibus, Ravennatibus, Ferrariensibus, Florentinisque
faerunt in obsidionem Bazani et ceperunt castrum Vignolæ et cum eis fait Comes
Albertus de Mangona, etc.
Eodem tempore die 24 octobris Mutinenses
equitaverunt comburendo omnia usque ad Rhenum, et tunc fait magnum prælium apud
Sanctam Mariam de Strata, et ex parte Bononiensium captus fuit dominus
Thomasinus Salinguerra, et vulneratus est dominus Paulus Traversarus de
Ravenna, et multi Florentini et Bononienses capti sunt. Ex parte vero
Mutinensium mortuus est dominus Ponzanatus de Cremona... Et de anno 1248 inter
Bononienses et Mutinenses fait magnum prælium in die Mercurii apud Fossaltam:
in quo Mutinenses vieti sunt, et capti fuerunt septem de populo, et circa
centum milites de Mutina. Et in dicto prælio captus fuit Henricus rex Sardiniæ,
qui tunc erat cum Mutinensibus, et multi milites Germanici, qui cum dicto rege
militabant etc. E
questo può servire a mostrare che ne'successi di quella guerra i Bolognesi non
sono stati aggravati dal poeta, come forse taluno si crede; poiché le rotte
furono vicendevoli.
S. 56a, v. 4.
Il conte
Romeo Pepoli è moderno: ma vi fu un altro Romeo Pepoli che non era conte, del
quale fa menzione il Biondo, e fu vicino a quei tempi; e i suoi nipoti furono
poi signori di Bologna, e la venderono all'arcivescovo Giovanni Visconti per
ducento mila scudi.
S. 63a, v. 6.
I marroni in
Lombardia si chiamano le castagne grosse col guscio: e mazzamarroni significa
l'istesso che mangiamarroni,perciò che i montanari ne sogliono
distruggere e mangiare una gran quantità. Cosí chiamò anche i Cremonesi mangiafagioli.
S. 66a, v. 6.
Questo Tomasino
Gorzani fu uno de' capitani del popolo in quella guerra, e fu fatto prigione
anch'egli col re Enzio.
CANTO SESTO
S. 1a, v. 1.
Questo poeta
non fu rubatore: ma le cose sue sono trovate da lui, e particolarmente le
descrizioni, come questa del mezzogiorno e tant'altre dell'aurora e della
notte. A Vergilio e al Tasso scema gran parte della lode l'essersi serviti
delle invenzioni degli altri.
S. 16a, v. 2.
Dell'istessa
lingua fiorentina riputata per ottima si serve a generare il ridicolo,
sindacando la cattiva pronuncia d'alcune voci.
S. 17a, v. 5
Introduce
personaggi noti a molti e aggiustati all'azioni che lor fa fare. Il Teggia fu
uomo di lettere, e cognito nella corte di Roma; e morí cieco: onde finge che
fosse acciecato in questa guerra.
S. 21a, v. 5.
Sono cognomi
di famiglie nobili bolognesi de' nostri tempi.
S. 33a, v. 5.
Min del
Rosso, Gabbion di Gozzadino, Carlon Cartari, Ruffin dalla Ragazza ed altri cosí
fatti sono nomi notissimi tra i vecchi di Bologna.
S. 45a, v. 3.
Lanzi in
Lombardia si chiamano i Tedeschi: sbittare in bresciano significa saltar
fuora e scappare, e schitta nello stesso linguaggio è l'istesso che
cacarella o cacaiola.
S. 64a, v. 1.
Guido da
Polenta signor di Ravenna e padre della Francesca da Rimini, di cui si ragionò
di sovra, fioriva anch'egli in que' tempi.
S. 66a, v. 8.
È detto da un
nemico, che oppone ai Romagnoli due pecche; cioè che sieno facili, quando sono
banditi, a mettersi a rubare alla strada, e che scorticassero san Bartolomeo;
ch'è una fama vana, perciò che san Bartolomeo morí in India.
S. 67a, v. 5.
In Modana
sono veramente queste due fazioni. I triganieri sono una mano di
scapigliati oziosi, che, non sapendo che farsi, si dànno a far volar colombi
ch'essi chiamano trigani, e gli avezzano non solamente a condurne alle
loro colombaie de' forestieri, ma a portar anche delle lettere da luoghi
distanti cinquanta e sessanta miglia: usanza conservata in quella città fin
dalla sua prima origine; onde leggiamo in Plinio che, quando era assediata da
Marc'Antonio con tanta strettezza che non ne poteva uscire uomo alcuno, furono
mandate fuora colombe con lettere al collo, che furono cagione che'l senato
romano affrettasse il soccorso.
S. 67a, v. 6.
La campagnia
de' Bacchettoni ha preso questo nome da'Fiorentini, che chiamano bacchettoni
certi che 'l giorno vanno baciando le tavoloccie e la sera s'adunano a
disciplinarsi a calzoni calati. Ma l'origine di tal nome io non l'ho potuta
sapere.
S. 69a, v. 7.
Questi sono i
nomi di due triganieri famosi nella città di Modana e conosciuti da
tutti gli osti e bettolieri.
S. 70a, v. 4.
Chi vuol
sapere chi fosse santa Nafissa, o per dir meglio chi fosse la Nafissa riverita
per santa dai maomettani, legga il Leoni nella descrizione dell'Africa, dove
tratta delle curiosità e novità che sono nella gran città del Cairo. E questo
sia detto per rispondere a chi oppose già al poeta che questo era un miscere
sacra profanis, e che questo poema era una calza d'uno svizzero di due
assise; non avendo mai letto Plinio secondo, nell'epistola XXI dell'ottavo
libro ove egli favellò nella forma seguente: Ut in vita sic in studiis
pulcherrimam et humanissimum existimo severitatem comitatemque miscere, ne illa
in tristitiam, hæc in petulantiam excedat, etc.
CANTO SETTIMO
S. 5a, v. 1.
Omero finge
ragionamenti tra colpo e colpo, e in particolare fa narrare la stirpe loro agli
stessi combattenti nell'atto del menar le mani. Però se Aristotile fosse stato
soldato non l'avrebbe lodato né in questo né in molte altre cose, dove parla
della milizia bamboleggiando.
S. 9a, v.1
Parla come
nemico; e attribuisce a mancamento ai Ferraresi quello ch'era lode loro, cioè
il tener col papa. Cosí Enzio nel canto precedente come nemico chiama papisti i
guelfi; e il poeta deve imitare chi favella.
S. 16a, v. 1.
Nel poema
dell'innamoramento d'Orlando si legge che combattendo quel paladino col re
Agricane, e vedendo quel barbaro i suoi che fuggivano, pregò Orlando che glieli
lasciasse rimettere in battaglia, che poi ritornerebbe a duellare con esso lui:
e Orlando se ne contentò. Ma qui Voluce dice ch'Orlando è morto, e non è piú
quel tempo.
S. 21a, v. 8.
Un tal
principe greco, che si vantava della stirpe di Costantino Magno, e mostrava
privilegi di cartapecora vecchia, veggendo l'ambizione degl'ltaliani, dava loro
titoli a decine senza risparmio per ogni minima mercede. E a Ferrara fe' gran
profitto, dove infeudò le terre del Turco.
S. 27a, v. 1.
Veramente
Bosio Duara signor di Cremona rimase anch'egli prigionièro de' Bolognesi in
quella guerra.
S. 29a , v. 2.
Questi versi
non diceano cosí nella prima stampa, ma il poeta volse onorare Omero Tortora
istorico amico suo e gli mutò.
S. 34a,v. 1.
Nomi perugini
accorciati.
S. 34a, v. 8.
Questi
professava di parlar peruginissimamente secondo il volgare del popolo, e si
poteva imparar da lui il parlar perugino.
S. 39a,
v. 1.
Favella della
guerra della Garfagnana tra i Lucchesi e i Modanesi, nella quale que' popoli
montagnoli per odio si tagliavano le viti e si scorticavano i castagni l'un
l'altro con vendetta montanaresca.
S. 42a, v. 1.
Questi era un
personaggio mandato dal governator di Milano per veder d'acquetar que' popoli;
e salvò la piazza di Castiglione spiegando una bandiera del re Cattolico, alla
quale i Modanesi fecero di berretta.
S. 42a, v. 3.
Alcuni dicono
che fu un pezzo di tela rossa, e che i Modanesi si lasciarono ingannare dal
colore. Nella edizione di Parigi i versi furono mutati da un Lucchese che assisteva
alla stampa, e voltati a favore della sua nazione. Ognuno procura suo
vantaggio.
S. 48a,v 1.
Parla secondo
gli astrologi. L'aspetto quadrato è infelice, e tanto piú ne' pianeti maligni
come Marte.
S. 53a, v. 1.
Questo è un
consiglio imitato in Petronio Arbitro, dove i consiglieri contendono a chi dice
peggio.
S. 53a, v. 6.
A quel tempo
Modana era stata tutta piena di masse di stabbio: oggidí le strade ne sono meno
adorne, ma non però in tutto prive. Da Omero sarebbe stata detta urbs bene
stabalata.
S. 54a, v. 8.
È un verso di
lingua pretta modanese.
S 55a, v. 5.
L'antichità
di Modana si conosce dalle fabbriche particularmente de' portici su i balestri,
che mostrano d'esser stati fatti assai prima che Vitruvio scrivesse
d'architettura.
S. 55a, v. 8.
Le canalette
sono le cloache, delle quali è piena quella città: e quando le votano, non
si può passar per le strade per rispetto della lordura che si diffonde, oltre
il puzzo che appesta.
S. 68 a, v. 1.
Chi desidera
di saper meglio l'istoria di Telessilla, legga il Leonico, De varia
historia.
S. 74a, v. 7.
Séguita
l'opinione di coloro che dissero che i pianeti erano come lampade attaccate al
cielo.
CANTO OTTAVO
S. 1a, v. 3.
Chiama il poeta le lucciole stelle della terra, e le stelle lucciole
del cielo, perché fanno l'istesso effetto di volar per l'aria e di non
risplendere se non di notte.
S. 8a, v. 7.
Chiama
ciurmatori i filosofi greci, che persuasero al popolo che ogni pianeta avesse
un cielo da sé, e che gl'inferiori fossero rapiti dall'ottava sfera da oriente
in occidente. Perciò che il poeta fu sceptico, e tenne che le cose de' cieli,
quanto a noi, consistessero tutte in opinione e probabilità. E ne portò egli
ancora una nuova nel terzo libro de' suoi Pensieri.
S. 11a, v. 7.
Ezzelino da
Romano era allora signor di Padova, e dipendente da Federico imperatore.
Veggansi l'istorie di quei tempi.
S. 15a, v. 7.
È descrizione
dell' aurora fatta a concorrenza di quella di Dante nel IX del Purgatorio:
La concubina di Titone antico
Già s'imbiancava al balzo
d'oriente
Fuor de le braccia del suo dolce
amico.
Veggasi l'una
e l'altra.
S. 19a, v. 7.
Parla di
Pietro d'Abano, tenuto per mago; il quale, se allora fosse stato quivi, avrebbe
armata qualche compagnia di demoni in favore de' Modanesi.
S. 22a, v. 1.
Dicono che
veramente costui fosse uno de' favoriti d'Ezzelino, e alzato da lui a' primi
gradi d'onore, d'uomo basso ch'egli era.
S. 25a, v. 2.
La donna di
Cipada è Mantova, illustrata dai versi di Vergilio, come Cipada da quei di
Merlino poeta sepolto nella terra di Campese con famosa sepoltura fabbricatagli
dal padre don Angelo Grillo, poeta famoso anch'egli, e principalissimo soggetto
della religione benedettina.
S. 26a, v. 6.
Le galline di
Polverara e la razza loro e famosa per tutta Italia.
S. 28a. v. 7.
In quelle
parti, quando si vuol significare qualche aiuto fuora di tempo e tardo, si dice
il soccorso di Paluello, come in Toscana il soccorso di Pisa.
S. 30a, v. 3.
È opinione
che Tito Livio istorico fosse da Teolo.
S. 32a, v. 3.
Quivi dicono
che Antenore fondasse la sua prima città chiamata Urbs euganea, che poi
è stato corrotto dagl'idioti in Brusegana.
S. 33a, v. 7.
La pelle della
gatta del Petrarca s'è conservata fino a' tempi nostri, e continuamente viene
illustrata dai versi e dai componimenti de' begli ingegni.
S. 36a, v. 1.
Descrive
l'arciprete Gualdi amico suo.
S. 37a, v. 5.
Le rime burlesche
in lingua padovana di Menone e Begotto sono assai note in tutto lo stato
veneto.
S. 41a, v. 7.
Non erano
veramente ancora signori di Rodi i cavalieri di san Giovanni, ma furono poco
dopo: e 'l poeta parla secondo quello che fu poi.
S. 47a, v. 1.
Il poeta fu
poco amico d'Omero, e disprezzò le sue invenzioni come rozze e di cattivo
costume: nondimeno, per mostrare -che conobbe il buono e'l cattivo di quel
poeta, introduce questo cieco a cantare all'omerica.
S. 51a, v. 4.
Le
compagne mirò ecc. Cosí è stampato in tutte le copie: nondimeno il testo
manuscritto di mano del poeta dice Le campagne e non Le compagne; e
cosí dev'essere scritto e stampato, non ostante che anche si possa intendere
che Le compagne significhi le stelle compagne della Luna. Ma il poeta
vuol significare che la Luna mirò in terra, e non in cielo.
S. 57a, v. 1.
Finge il
poeta ch'Endimione donasse a Diana una benda bianca che portava armacollo
fregiata di perle, per adornare il dono che finsero i poeti antichi esserle
stato donato da quel pastore, e per mostrar che le femmine, comunque
innamorate, sempre vogliono qualche
cosa dall'amante.
S. 65a, v. 7.
Gli
anacronismi, quando sono lontanissimi e cadono opportunamente come questo,
parturiscono anch'essi il ridiculo.
S. 68a, v. 4.
I poveri
d'una famiglia hanno sempre per
grazia che i ricchi gli vogliano riconoscere per parenti: perciò che la povertà
è un argomento di demerito, e per questo i poveri sono sprezzati.
S. 71a, v. 8.
Vedi Livio,
ché '1 poeta sta su 1'istoria.
CANTO NONO
ARGOMENTO.
Questo canto
par avere poco del comico, e nondimeno tutto è comico: perciò che tien sospeso
l'uditore sino al fine; poi in aspettazione di cosa grave e seria finisce in un
ridicolo.
S. 8a, v. 2.
Vedi
l'Ariosto.
S. 10a, v. 1.
Questi è Galeotto
figliolo del signore della Mirandola, di cui si favellò di sopra nel canto 111.
S. 12a, v. 5
Questo è il
lino asbestino, di cui favella Plinio. Gli antichi ne filavano tele
incombustibili, che, quando si voleano imbiancare, si gittavano nel foco; ed
erano stimate al pari delle gioie piú preziose. Il cavalier Gualdi ne ha mostra
in Roma tra le sue curiose anticaglie. È pietra venata con certa lanugine per
le vene,simile all'allume di piuma che non si consuma nel foco. Ma la
maniera di filar tal materia noi non l'abbiamo, benché forse non mancherebbe
l'industria quando se ne trovasse quantità sufficiente e che ci fosse il
premio. Tiglio e tiglioso significa materia atta a filarsi.
S. 25a, v. 7.
Questo fu
accidente vero, accaduto al signor Ippolito Livizzani nel giostrar contra il
conte Alfonso Molza in Modana.
S. 44a, v. 1.
Qui si
descrive il ritratto d'un zerbino affettato romanesco, nato di casa nuova,
arricchito per strada obliqua, che fa del cavalierazzo e del bravo mentre
conosce d'aver a fare con persona inferiore e di poco polso.
S. 58a, vv. 6-8.
Questi versi
dicevano prima cosí:
. . onde a veder correa
la fiorentina e perugina gente,
tratta da natural impeto ardente.
Ma i vizii quanto
piú si diffondono nel generale, tanto meno offendono i particolari; e però fu
mutato.
S. 67a, v. 2.
La pantera è
bellissimo animale; ma dicono che sia d'animo molto vile.
S. 72a, v. 5.
Le prodezze
di don Chisotto della Mancia cavalier errante impazzito sono note per l'istorie
delle sue geste.
S. 76a, v. 1.
Gli Aigoni e
i Grisolfi erano in quel tempo capi delle fazioni. I Grisolfi erano imperiali,
e avevano cacciati gli Aigoni eh'erano ecclesiastici e guelfi: oggidí si
chiamano gl'Ingoni, e ce ne sono pochi; ma i Grisolfi sono annullati.
S. 76a, v. 3.
È fama che
nel monte di Vallestra sia un tesoro guardato dai diavoli; però il poeta si
serve dell' opinione del vulgo a formare questo episodio.
S. 80a, v. 5.
Per questo fu
finto che quando Tognone cambiò lancia non cadesse, perché aveva la lancia
incantata, e Melindo non l'avea.
S. 81a, v. 5.
Il maggior
segno di codardia è insuperbire e fare il bravo con le genti che non possono
competere. Vedi appresso il Boccaccio le prove che faceva maestro Simone quand'
era scolare.
CANTO DECIMO
S. 7a, v. 1.
In quel tempo
s'usava questa lingua, come si può vedere dalle storie e dai versi de'
litterati che fiorivano allora, assai rozzi. Ma qui il poeta picca coloro che
oggidí chiamano questa 1a lingua del buon secolo, e la vorrebbero rimettere in
uso; mostrando loro come riuscirebbe alla prova. Le cose cadute dall'uso è
vanità il volerle sostentare. Il sale della satira è il condimento della
comedia. Ma il poeta sfuggí di chiamare questa sua invenzione nuova di poetare eroisatiricomica,
sapendo quanto il nome di satira sia odioso in questi tempi e sospetto .a
quelli particolarmente che dominano.
S. 10a, v. 8.
Chiama gran
re dell'oceano il re Cattolico per lo vasto dominio ch'egli ha nell'oceano, che
è dominato da lui dalle colonne d'Ercole fin sotto il polo antartico: onde a
riguardo del mare il sole nasce e tramonta ne' regni suoi.
S. 23a, v. 1.
Chiama Venere
moro Libecchio, perché nasce in Mauritania il chiama cane, perché
quivi i popoli vivono senza politica, e il chiama senza fede, perché gli
africani hanno sempre avuto per uso
il mancar di fede.
S. 24a, v. 3.
Della
prigionia di Corradino di Svevia seguita ad Astura per tradimento del signore
di quella terra leggi il Villani: e veramente quella terra oggidi è distrutta e
tutto il territorio è diserto, che pare appunto vendetta celeste.
S. 26a, v. 8.
Chiama dea
del mare Venere, perché nacque dal mare, e reina del mare la città di Napoli
perché domina tutto quel mare.
S. 27a, v. 3.
Manfredi
principe di Taranto e poi re di Napoli fu veramente innamorato della contessa
di Caserta sua sorella. Veggansi l'istorie di Napoli e le lettere di Paulo
Manuzio ove porta uno squarcio di questa istoria.
Qui alcuni
hanno richiesto perché il poeta non séguiti a narrare quel che facesse Manfredi
per liberare il fratello dalle mani de' Bolognesi. E non s'avveggono che il
poeta finisce la favola della Secchia alla quale è obbligato, e che questa è
un'altra istoria, e che seguíta la pace, il lettore dee imaginarsi o che
Manfredi non facesse altro o che cominciasse un'altra guerra da sé. Neanco il
Tasso descrive ciò che avvenisse d'Armida e d'Erminia dopo la presa di
Gerusalemme, perché erano cose fuora della favola proposta da lui.
S. 36a, v. 2.
Napoletanamente.
S. 42a, v. 7.
Versi
romaneschi.
S. 53a, v. 7.
Questa è
quella sorta di ridicolo che propriamente vien chiamata da Aristotile nella Poetica:
Turpitudo sine dolore, che fa nascere il riso dalle azioni: ma del riso che
nasce dalle parole non ne favellò Aristotile.
S. 60a, v. 7.
Questi versi dicevano prima cosí:
né distinguendo ben dal fico il
pesco,
scusavanlo col dir: gli è
romanesco.
Ma fu
giudicato troppo satirico e fu corretto.
S. 74a, v. 1.
Cava il ridicolo
dalla cattiva pronuncia romanesca, come di sopra a ottave 42. Ma qui è
contrasegno d'un personaggio noto in Roma.
S. 74a, v. 3.
Questo fu
veramente fiscal di Modana, ma ne' tempi piú moderni, e scontrando una volta
certi banditi, si cacò ne' calzoni di paura: ma essi nol conobbero e 'l
lasciarono andare cosí merdoso: che se l'avessero conosciuto, guai a lui. — È
nondimeno da avvertire che questa di Titta, come ho detto, fu veramente azione
d'un romanesco; il quale vantandosi d'esser parente del papa, non voleva esser
condotto prigione in Torre di Nona, ma in Castello Sant' Angelo.
CANTO UNDECIMO
S. 1a, v. 4.
La favola
d'Atteone convertito in cervo da Diana è notissima a tutti
S. 4a, v. 8.
I duellisti
sfuggono quanto possono il tirarsi addosso le mentite per non divenire attori.
S. 6a, v. 5.
Diceva prima poco
dianzi. Ma l'autore l'ha mutato per isfuggire le dispute. Perciò che dianzi
vuol dire poco prima, e alcuni tengono che sia un reiterar lo stesso.
Con tutto ciò l'autore tiene che si possa reiterar l'istesso per significare un
tempo assai prossimo, e dire poco poco prima e per conseguenza poco
dianzi. Il Petrarca disse par dianzi, che fu quasi il medesimo.
S. 8a, v. 8.
Con certe
buone coltellate levò l'insolenza a un cocchiero di Roma, che è una
dell'eroiche azioni che si possano contare in quella corte, dove l'insolenza
de' cocchieri, de' birri, de' barilari e de' carrattieri non può esser
rappresentata con alcun superlativo.
S. 14a, v. 7.
I visi che i
pittori cavano dal naturale dilettano sempre
piú che gl'imaginati.
S. 17a, v. 1.
Alcuni
s'hanno creduto che il poeta fingendo di burlare dica da dovero.
S. 20a, v. 1.
Inventa tutti
i mezzi che possano animare un cuor vile.
S. 22a, v. 5.
Questo buon
medico usa il rimedio che si suole usare con gli cavalli barberi che corrono al
palio; i quali, per animarli maggiormente acciò che non abbiano da correre con
timidità, si sogliono abbeverar di buon vino. Gli spiriti riscaldati dal calor
del vino non istimano i pericoli o non gli conoscono.
S. 26a, v. 1.
Qui il conte
poeteggia assai meglio che non fece nell'altro canto, quando non avea bevuto:
perciò che qui poeteggia commosso da furor di vino, e là compone di suo natural
talento. Ennio, Orazio e Torquato Tasso non sapeano comporre, se prima non
avevano ben bevuto: e 'l Tasso in particulare soleva dire che la malvagia sola
era quella che lo faceva comporre perfettamente.
S. 32a, v. 1.
A' veri
paladini della poltroneria non bastano i rimorsi dell'onore, né la vergogna, né
i rinfacciamenti degli amici, né l'ingiurie de' nemici, né l'esortazioni de'
confidenti, né gli stimoli della dama, né il calore del vino; che finalmente
vogliono anch'essere accompagnati da cinquanta difensori.
S. 34a, v. 8.
Questa e la
salmeria del conte portatagli dietro in campo da un suo padrino parziale.
S. 41a, v. 1.
Nol poteva
spedire a persona piú informata né piú diligente di me.
S. 41a, v. 5.
Intende del cavalier
Cassiano del Pozzo, del principe Federico Cesi e del signor don Virginio
Cesarini, famosi ingegni della loro età, come altri ancora ne fanno fede.
S. 41a, v. 8.
Il poeta ha
mutato marchese, perché il primo per comparire in scena aveva promessi certi
guanti d'ambra, che poi per esser cosa odorosa andarono in fumo. E realmente il
luogo meritava d'essere occupato da un altro ingegno mirabile, come quello del
marchese Sforza Pallavicino. E l'altro, che stimava piú due paia di guanti che
l'immortalità, meritava d'esser levato da tappeto.
S. 44a, v. 7.
Gli animi
vili, purché salvino la pancia, non si curano di perder l'onore.
S. 46a, v. 3.
S'andò a
mettere in casa d'un cardinale suo paesano senza essere invitato, e convenne,
volesse o no, ch'egli 1'alloggiasse; perciò che non bastarono né parole né
fatti a farlo uscire di quella casa.
S. 46a, v. 7.
Il
manuscritto dice: A quel becco del Tarco un marchesato. E veramente fu
vero ch'egli da un principe greco si fece investire d'un marchesato nelle
provincie del Turco, e pagò il titolo, chi dice una mano di scudi, e chi dice
una dozzina di salami.
S. 51a, v. 4.
Alcuni
interpretano costei per una certa spagnuola detta Dogna Maria di Ghir, che
stette un tempo in Roma puttaneggiando, e mandò fallito questo eroe romanesco.
S. 57a, v. 1.
La flemma nel
petto de' poltroni resiste alla collera in maniera che prima che la collera si
riscaldi ci bisognano dieci guanciate. E veramente succedé un giorno che
trovandosi il conte alla finestra, e passando due spagnoli, uno con la spada e
l'altro prete, ed essendo la strada piena di sole, egli chiamando un suo uomo
di casa, disse: Mira come questi marrani godono d'andare al sole. Gli spagnoli
l'intesero: e quel dalla spada sopra la voce marrano gli diede una mentita e lo
sfidò a venire a basso a duello: ma egli ridendosi di lui rispose che aveva
burlato e che a Roma non si faceva quistione; e non si mosse dalla finestra,
veggendo che l'uscio era chiuso.
S. 60a, v. 2.
L'intacca di
que' vizii ne'quali per l'ordinario suole incorrere la plebe di Roma.
S. 61a, v. 3.
Si vituperò
da se stesso: perché veramente fu vero ch'egli accusò la moglie d'adulterio, e
la fece metter prigione insieme con l'adultero, ch'era persona assai vile.
CANTO DUODECIMO
S. 1a, v. 4.
Il vero testo
stampato in Parigi e 'l manuscritto dell' autore dicono: E mandava
indulgenze per gli altari, In Roma fu corretto per non parer che si
dileggiassero le azioni d'un papa e le sue indulgenze: ma si guastò il ridicolo
che cadeva a tempo.
S. 2a, v. 2
Il cardinale
Ottaviano degli Ubaldini era allora vescovo di Bologna, e fu egli veramente
quello che s' interpose, e che trattò la pace.
S. 4a, v. 2.
Diceva prima
con un poco piú di piccante: De l'uno e l'altro esercito avocato.
S. 11a, v. 5.
Motteggia
questi poeti, l'uno d'aver usato pietose per pie e l'altro d'aver
usato il legno santo per la croce, facendo equivoco col legno
d'lndia che guarisce il mal francese.
S. 16a, v. 3.
È trasportato
da persona a persona: perciò che non fu I'Ubaldino, ma un altro dell'istesso
ordine, che ne' prati di Solera andò un giorno dopo desinare a pigliar de'
grilli.
S. 17a, v. 5.
Innocenzo
Secondo era allor papa; ma non era già egli nemico de' Modanesi; come parve che
poi si mostrasse qualche altro suo successore.
S. 18a, v. 4.
È un equivoco
acuto.
S. 19a, v. 3.
Un quartaro
tiene due barili, cioè la quarta parte di una botte. I saghi sono
una certa composizione che si fa di mosto bollito con farina, e s'usa in molte
città di Lombardia cominciando a Bologna.
S. 26a, v. 8.
Cosí fatte
memorie sono veramente piuttosto fumo di gloria che gloria vera; mentre che
l'altre azioni non corrispondano.
S. 40a, v. 8.
Ogn'anno
veramente il giorno della festa di San Bartolomeo i Bolognesi dalle finestre
del palazzo del Legato gettano in piazza un porcello cotto con altri diversi
animali vivi; ma essi nondimeno dicono di farlo per altro rispetto.
S. 51a, v. 1.
Questo è
cognome di famiglia antica di Padova oggidí estinta.
S. 52a, v. 7.
Parlano
questi due ciascuno nel linguaggio suo naturale, ma villanesco. Sorgo in
padovano significa la saggina.
S. 68a, v. 1.
Barisone da
Vigonza fu il fondatore della famiglia Barisoni di Padova.
S. 79a, v. 8.
In Lombardia
per Ogni Santi moltissime famiglie sono solite di mangiare un'oca, massimamente
gli artigiani e la plebe.
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FINE -
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