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CAPITOLO XIII.
Il dispetto provato da costui quando Steno gli mostrò il danaro del Prussiano, sarebbe stato soverchio, se la sola invidia artistica lo avesse ispirato.
Ecco che cos'era accaduto a Bamboccia.
Egli due giorni prima aveva ricevuta una lettera in cifre da Nataniele Rota, prefetto di... colla quale lo si eccitava daccapo a fare di tutto, perchè il nominato Steno Marazzi fosse spinto dalla povertà, o dall'avidità di lucro a commettere qualche delitto, che lo mandasse diritto in prigione; o quanto meno lo obbligasse a lasciar Milano.
«Il tempo stringe» — diceva tra le altre cose la lettera del Paolotto — «Noi sappiamo che questo pittor Marazzi è in cattive acque e non guadagna abbastanza per vivere decorosamente, lui e sua madre. Voi avete sufficiente fantasia per trovare un espediente ond'egli cada piedi e mani legati in nostro potere. Il giorno che egli fosse carcerato, o fuori di Milano, meglio ancora, voi riceverete in premio dell'opera vostra lire cinquemila in oro».
Ecco perchè l'aiuto di costa che il Prussiano aveva portato a Steno comperando i due quadri l'aveva disturbato!
Il giorno dopo poi — la vigilia di quello in cui era andato a trovare il Marazzi per fargli la proposta traditora — un altro telegramma del Rota gli diceva:
«Posso disporre di due giorni. Annuncio mio arrivo stazione Milano stassera. Veniteci ricevermi.» La firma invece di Nataniele Rota era la solita di convenzione: Vasco di Gama.
— Cosa diamine rumina costui! — aveva sclamato Bamboccia, leggendo queste strane comunicazioni. — Ora capisco che l'attentato dell'anno scorso, alla vita di S. M. Guglielmo, non era che una miserabile fintaggine. Volevo ben dir io che Steno...! L'ho capito subito che non sarebbe stato certo lui la Giuditta dell'Oloferne tedesco!... Ma chissà che cosa diamine c'è sotto ora! Basta; stiamo a vedere!
Comunque fosse, c'era da guadagnar cinque mila lire e a lui bastava.
Alla sera si trovò dunque alla stazione della ferrovia.
Sua eccelenza Nataniele Rota arrivò.
Quando furono seduti l'uno accanto all'altro nel brougham che li portava all'albergo, il Rota aperse la conversazione in questo modo.
— Che voi sappiate, caro Bamboccia, a Milano in questo ottobre si parla di una certa eredità lasciata dal principe di Bandjarra?
— Principe di Bandjarra? Non mi pare!
— Nemmeno, io non ho mai udito pronunciare questi nomi.
— Eppure l'annuncio dell'eredità comparve nei giornali.
— Sarà benissimo; ma forse negli avvisi giudiziarii che nessuno legge.
— Bene! L'apertura di questo testamento infatti si fece impensatamente e per causa di naufragio in una città di Liguria, dove approdò il bastimento, che raccolse i naufraghi. Il principe di Bandjarra non ha eredi conosciuti. Il solo erede sarebbe questo Steno Marazzi.
— Ah! ho capito! — sclamò Bamboccia, a cui si svelò in un subito il mistero.
— Voi che lo conoscete mi potete dire se egli sospetti d'essere erede?
— Neppur per ombra. Lo vidi anche ieri prima di ricevere la vostra lettera, e non ha sentore di nulla.
— È dunque indispensabile, caro Bamboccia, conservarlo in questa salutare ignoranza della propria fortuna.
— Si tratta di grossa eredità?
— Si tratta di venticinque milioni circa.
— Pillola! — sclamò Bamboccia spalancando gli occhi. — Venticinque milioni!
— È pure necessario che voi conosciate bene come stanno le cose, perchè altrimenti invece di giovarmi potreste cadere in qualche sproposito. Bamboccia, credete voi in Dio e nei suoi precetti ?
— Ci credo — rispose con unzione l'agente segreto.
— Credete voi alla santità del segreto di confessione?
— Ci credo.
— Ebbene ascoltate ciò che sto per dirvi sotto il suggello di confessione e fatevi il segno di santa croce e il giuramento prima di ascoltarmi.
Bamboccia fece il segno della croce e il giuramento, ripetendo la formola, che Nataniele Rota gli dettava.
Poi questi incominciò:
— Dovete dunque sapere che questo nostro pupillo, Steno Marazzi, è nominato erede nel testamento di Tomaso Bussi principe di Bandjarra, come quegli che fu da costui riconosciuto per suo figlio. L'ebbe nel 1848 da una certa Elisa Kollestein figlia del generale Kollestein, che aveva avuto per moglie una Marazzi, la quale premorì nel 1846. Egli è l'erede nel solo caso però che gli abbia sempre tenuto una condotta esemplare. Nel caso poi che il Marazzi fosse morto, o non si presentasse, fosse dichiarato indegno dell'eredità — la quale deve rimanere giacente tre mesi — allora essa, molto probabilmente, anzi quasi certissimamente, sarebbe a me devoluta.
— Venticinque milioni? — domandò Bamboccia.
— Il testamento ha già dichiarata questa sostituzione?
— No. La sostituzione è in sospeso. C'è da aprire un secondo plico, il dicembre prossimo, nel caso che in questi tre mesi il Marazzi non si faccia vivo.
— Ma allora — domandò l'agente segreto — come potete voi sapere ciò che sta disposto nel plico ancora chiuso?
— Eh caro Bamboccia; pensate voi che noi possiamo saper tutto — rispose il prefetto paolotto.
— Ah ho capito! — fece Bamboccia strizzando l'occhio — Cosichè anche l'assassinio di Sua Maestà Guglielmo di Germania non fu, l'anno scorso, che un mezzo per tentar di farlo arrestare e nulla più?
— Avete indovinato — rispose Nataniele. — Fu appunto un tentativo per farlo metter al buio, non solo, ma per mettere voi, caro Bamboccia, sulle di lui traccie. L'anno scorso io da Madras ebbi avviso che il principe di Bandjarra aveva deciso di venir in Italia e allora cominciai subito a montare la macchina. Ma poi, non so bene per quali circostanze, egli si fermò in India e allora io soprastetti. Egli non s'imbarcò che or fa un mese, e naufragò; ma il suo testamento fu salvato dal capitano e dall'esecutore testamentario, il quale è a Milano da dieci o quindici giorni. Fortunatamente finora a Milano non si parlò, credo che del principe di Bandiarra e il nome vero di nascita Tomaso Bussi, che avrebbe aperti gli occhi alla madre ed al figlio non lo si trova che negli avvisi giudiziarii che nessuno legge. In ogni modo da un momento all'altro potrebbe accadere che Steno Marazzi potesse accorgersi di essere lui l'erede, il che distruggerebbe ogni mia fortuna.
— Ho capito, ho capito! — seguitava a labbreggiare Bamboccia
— Io ho già disposte le cose in modo, che anche le ricerche che l'esecutore testamentario potesse fare per andar in cerca del figlio cadano a vuoto. I Venosta, allevatori di Valtellina, furono pagati per tacere e hanno taciuto; e i signori dell'Ospedale di Como hanno perduto da un pezzo la traccia del loro trovatello... In ogni modo c'è sempre grandissimo pericolo. Il Marazzi sa che il nome di battesimo ricevuto all'ospedale è quello di Tomaso Bussi. M'aspetto che l'esecutore testamentario, per trovarlo faccia stampare in tutti i giornali di Italia, un appello a Tommaso Bussi di 28 anni... E allora sfido a non fargli conoscere che l'erede è lui! E poi questi benedetti figli naturali hanno sempre gli occhi aperti sui padri probabili, cosicchè se lasciassimo libero quel figliolo, non passerebbe una settimana che verrebbe al chiaro di tutto o io ci rimetterei la bagatella di venticinque milioni.
— No, no — disse Bamboccia — s'ha a far tutto per non lanciarli scappare.
Ci sono a Milano delle anime candide e nello stesso tempo scettiche, le quali, vivendo onestamente nel loro schietto ambiente, si rifiutano di credere che al giorno d'oggi esistano ancora dei Gesuiti.
Gioberti fin dal 48 scriveva che, anche a volerli considerare politicamente morti, i loro spiriti sopraviveranno sempre, e non si spegneranno prima che un fortissimo e civile tirocinio abbia visceralmente rifatte le generazioni umane.
È noto che la forma novella del gesuitismo assunse in questo secolo la veste di San Vincenzo da Paola.
Otto studenti nel 1833 a Parigi avevano istituita la società, non come si crede dagli ottimisti, con mire oneste.
Ozanam il capo fondatore in un discorso tenuto all'ultima conferenza fiorentina ebbe a confessare esplicitamente che il soccorso al povero non era mai stato lo scopo del Paolottismo, ma solo un mezzo di riuscita.
A Milano si era tentato di avere proseliti, ma con pochissimo frutto. Strana città questa Milano, dove tanto il bene quanto il male attecchiscono a stento! Caporioni della setta furono un conte di sano intelletto e di specchiate virtù devoto babilano — ed un duca balogio, che si rovinò quasi per Pio IX.
A Firenze, e a Genova, invece, le Conferenze e le assemblee paolotte incontrarono favore grandissimo, giacchè si riuscì a farle credere un'insigne opera di carità evangelica, a cui prendevano parte perfino dei valorosi giovani, che avevano combattute le patrie battaglie.
Il fatto è che già nel 1858 il paolottismo era diffuso in tutto il mondo.
A Madras il confessore di Tomaso Bussi principe di Bandjarra, aveva saputo col mezzo della cattolica trappola, chiamata confessionale come lui avesse ucciso un Indiano per andare in possesso di un tesoro nascosto da un Rajà nemico, e come avesse lasciato in Italia un figlio illegittimo, che era stato affidato a un tal Nataniele Rota, deposto nel 1848 all'ospitale dei trovatelli in una città di Lombardia chiamata Como; aveva pure scavato come quell'ingente sostanza del principe sarebbe stata lasciata a beneficio della nera congrega e per essa del Capo dei paolotti di G.....che in quell'epoca era appunto Nataniele Rota, se il figlio naturale fosse morto o avesse demeritato il titolo di erede.
Ispirato dalla nota formola che il fine giustifichi sempre il mezzo, e che colle distinzioni si può uccidere santamente suo padre, il buon confessore di Tomaso Bussi Bandiarra, aveva comunicata quella confessione a Nataniele Rota presunto erede fiduciario, nel caso che il figlio erede fosse morto o non si presentasse.
— Ma dico! — sclamò a un tratto il Paolotto. — Io posso riposare tranquillo che voi non vi lascerete sfuggire una sola parola di ciò che vi ho confidato, non è vero?
— Da parte mia, lei può dormire fra due guanciali — rispose Bamboccia — Soltanto non potrei garantire che Steno Marazzi non venga a sapere dell'eredità giacente, in qualche altro modo. E allora mi dorrebbe di essere sospettato io stesso, che non ne avrei colpa nè peccato. Anzi ora, pensandoci, quasi mi dolgo che lei mi abbia svelato il segreto. Perchè me lo ha svelato?
— Per una ragione semplicissima ed evidente — rispose Nataniele Rota. — Siccome io so che voi gli state al fianco, ho temuto che, non essendo al fatto delle cose, e credendo di non far male, voi lo metteste sull'avviso dell'eredità giacente a suo favore, mentre i nostri sforzi riuniti devono mirare precisamente a non lasciargliela conoscere. Ora che invece voi sapete come stanno le cose avrete una regola sicura di condotta verso di lui. La lettura del primo plico del legamento fu fatta il 21 settembre scorso. Gli sono dati tre mesi di tempo a presentarsi. Col 21 dicembre 1876 scade adunque il termine fissato alla di lui presentazione. L'esecutore testamentario è a Milano da parecchi giorni! È già assai tardi. È un miracolo del cielo il non essersene accorto e il non essersi riconosciuto. Steno avrebbe ancora 86 giorni dinanzi a sè se non lo leviamo subito di mezzo.
— Ma non teme lei signor Nataniele che io possa vendere al Marazzi il secreto? — domandò Bamboccia con una disinvoltura tutta propria.
— Ragionevolmente parlando io non debbo temere questo fatto, mi pare — rispose il Paolotto
— Perchè?
— Per tre grandi ragioni. La prima è che il premio che potreste sperare voi da lui nel caso che mi tradiste, lo potete sperare invece da me, nel caso che noi riusciamo nell'intento. La seconda è che un figlio illegittimo, qual'è Steno Marazzi, non può che essere un cattivo pagatore, e intentandogli causa grossa si può riuscire a diseredarlo, ancorchè egli avesse ad accettare la eredità. La terza è poi che a voi non deve convenire di tradirmi, giacchè sapete che, indipendentemente da questa sperata eredità, io sono ormai in certo modo potente e potrei farvela pagare molto cara...
— Tanto più che io so, caro mio, chi siete e quale mestiere esercitate anche qui in paese.
Bamboccia, per darsi l'aria d'avere parlato per celia, rise sgangheratamente, curvando la testa sotto la gragnuola, e rispose;
— Allora una mano lava l'altra — caro signor prefetto — giacchè io pure conosco la vita di lei fin da quando era contrabbandiere in Isvizzera! E so anche di quale mercanzia.
Nataniele Rota aprì tanto d'occhi e voltò il capo sorpreso verso Bamboccia.
— Come sapete voi questo?
— Vostra eccellenza non ha detto poc'anzi che la mia professione è quella di sapere i fatti altrui. Ho cominciato da lei per farle vedere come io sia bene informato.
— Mi congratulo.
— La vede dunque, eccellenza, che da galeotto a marinaro, non ci può essere pericolo nè per l'uno nè per l'altro.
In questo punto entrarono nell'albergo.
Quando furono in camera il Paolotto ripigliò:
— Credete voi Bamboccia che la Questura mi tenga sorvegliato?
— Non lo credo. Il signor conte Bardesono non stancheggia la Questura come faceva quell'altro conte di Benevento. Certo però le posso dire, che nel libro nero, le note sopra la di lei stimabile persona tengono più di dodici o quindici pagine, alcune delle quali sono dovute a me, caro signore Nataniele; e oggi col ministero liberale potreste avere qualche delusione.
— Quanto usate farle pagare queste pagine1?
— Uso farle pagare a seconda dell'importanza delle persone: dalle cento alle mille lire per pagina!
— Voi siete un po' caro, caro signor Bamboccia — disse il Rota non sdegnando il calembour. — Però vediamo. Quanto le mettereste a me queste note del libro nero?
— Lei eccellenza conta fra le persone molto importanti.
— Lo credo! Ma dico in considerazione che siamo soci nell'altro affare mi sembra che potreste usarmi cortesia.
— Considerando che noi siamo soci nell'altro affare — disse Bamboccia in aria di confidenza — non ve le farò pagare che la metà.
— La metà di cento?
— Oh bestemmia! — sclamò Bamboccia ridendo — sarebbe un degradarsi il parlare di cento. Questa minima cifra, io la tengo per la gente senza alcuna importanza, la quale mi mostri una piccola curiosità di sapere se la Questura si occupa o non si occupa dei fatti suoi. Qualche pizzicagnolo, per esempio, che cadde un paio di volle in contravvenzione per salsiccie fatte con carni guaste; qualche lattivendolo che abbia adulterato troppo evidentemente il latte, mandano talvolta da me, ed io li servo.... oppure qualche candidato al parlamento di bassa sfera, qualche impiegato che ricorra e così via.,.. Ma voi, Voi signor Nataniele Rota, ormai prefetto e presidente della conferenza di Genova so bene che mi canzonate! Gli è un affare di Stato!...
— Dunque allora vorreste dire la metà dei mille?
— Ecco! È un prezzo onesto mi pare!
— È troppo! Tenetevi le vostre note segrete, che io mi terrò la mia curiosità, oppure me la caverò in altro modo.
— Vediamo, vediamo quanto sareste disposto a darmi ?
— Non più di cento franchi per pagina da 36 righe almeno.
— È un umiliarsi!
— Non importa! Mi umilio! Se volete guadagnare, sapete che cosa dovete fare; altrimenti tralasciate.
— Ci penserò.
— Dunque concludiamo. Gli affari sono due! Trovar modo di mettere Steno Marazzi e sua madre in posizione da non conoscere nulla del testamento di Tomaso Bussi e poi procurarmi le note del libro nero della Questura italiana, a cento franchi la pagina.
— E il premio pel primo affare?
— Ve l'ho promesso in iscritto. Cinquemila franchi per voi se riuscite subito.
— E i mezzi per allettar Steno e sua madre a lasciar Milano?
— Promettetegli pure i ventimila franchi all'anno di stipendio.
— Allora siamo a casa! Steno è smanioso di far l'affare, per poter' mettersi a paro d'una ricca fanciulla, o vedova che sia, la quale egli non vuol sposare prima di essere un poco agiato,
— Questo sentimento lo onora! — sclamò Nataniele — E facendolo giuocare, c'è da cavarne profitto. Proponetegli dunque di partire subito, domani mattina con sua madre, per la Francia; ditegli che un gran signore vuol far decorare un castello. Promettetegli ventimila franchi all'anno. Io penserò poi al modo di farlo cadere in trappola, tanto da farlo diventar indegno della eredità, ancorchè dovesse accorgersi di essa.
— Lasciate fare a me.
— Una volta poi che fossimo riusciti a farlo comparire truffatore o falsario, nella prima città francese in cui ci fermeremo, io potrò ottenere di processarlo anche per detournement de mineur.
— In che modo?
— Dovete sapere che nel 1871, al tempo della guerra contro la Prussia, egli rapì una fanciulla di Dôle, a suo padre.
— Ah, la Miette, forse?
— Precisamente la Miette. Questo ratto ci dà il mezzo di farlo mettere in gattabuia per qualche anno. Giacchè i tribunali di Francia sono severissimi su questo punto.
— Allora siamo a casa! — sclamò Bamboccia.
E su questo si accomiatarono.