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Appare la calata del porto di Famagosta, di contro alla selva degli alberi e all’intrico delle sartie, co’ suoi fondachi, con le sue logge, con i suoi portici ingombri di mercanzie. Una moltitudine diversa di Armeni, di Soriani, di Catalani, di Provenzali, di Siciliani, di Napoletani, di Pisani, di Veneziani, di Fiorentini, di Genovesi, di tutte le stirpi naviganti e trafficanti, si agita intorno al bottino accumulato su lo scaricatoio. Alcune galée cristiane han cooperato alla presa di tre fuste saracine cariche di preda, nel Mare Cilicio. Ora i padroni delle navi partiscono il carico. Sono eglino Badin Spina e Michel della Vota genovesi, Marin Malipiero e Gioan Corner veneziani, Jacomo Belonia catalano, Puccio Lanfranchi e Gano Chìccoli pisani, Masuccio Capuano da Napoli. Le dispute scoppiano, si inaspriscono, si mutano in altercazioni, in risse, in baruffe. Tutta la calata è piena di tumulto. Marinai, mercatanti, sensali, stradioti, schiavi urlano, gesticolano, si dimenano senza tregua. Le ingiurie le imprecazioni le minacce imperversano d’ogni parte come turbinio di vènti discordi. Sola rimane taciturna e immobile, quasi chiusa in un cerchio magico, accosciata fra cumuli di aròmati, di drappi e di ori, quasi ignuda, una giovine donna di stupenda bellezza, legata con corde di sparto, come una fiera. Ella fa parte della preda: è la Rosa del bottino. A chi andrà in sorte?
Intorno a lei la contesa si raccende più selvaggia. La cupidigia balena in tutti gli occhi. Una specie di delirio si propaga dai pretendenti a tutta la moltitudine. Ciascuno par pronto a versare il sangue. Ella tace, immota, stretta nelle sue corde, volgendo intorno i suoi grandi occhi invincibili. Se taluno le parla, se taluno la interroga, ella non risponde ma guata.
Ed ecco, Marin Malipiero offre il quarto della sua parte per averla. Allora le offerte si seguono come all’incanto.
Offeritori estranei al partimento accorrono. Georgio Vardali il grieco offre trecento pèrpiri. Sire Lachas Frazes il Nestoriano offre dumila bisanti. Un giovine Siciliano irrompe, trae lo stocco e vuol combattere contro chiunque. Subito le coltella brillano fuor delle cinture. Da una parte si grida: «Ai dadi! Ai dadi!» Dall’altra si grida: «Ai ferri! Ai ferri!»
Il tumulto cresce d’attimo in attimo, e sta per mutarsi in feroce battaglia. Il clamore si propaga di bordo in bordo a tutte le navi ancorate. Un vento di delirio passa nel crepuscolo.
Ed ecco, sopravviene una compagnia di Turcopulli armati, che rudemente apre la calca. Mazzieri e donzelli seguono gridando: «Largo! Largo al signore di Sur! Largo al barba del Re!» I pifferatori s’avanzano sonando una stampita. E appare il principe di Tiro, con uno stuolo di famosissime cortigiane meravigliosamente ornate. Il clamore è sedato alquanto dalle intimazioni dei mazzieri. «Quale la cagione del tumulto?» Come Badin Spina è per esporla al principe, ricomincia il gridìo discorde. Le cortigiane curiose si appressano alla donna vincolata, che tuttavia tace e sogguarda. Domande, risa, motteggi, atti e gesti di grazia e di beffa, mentre il signore di Sur taglia il nodo d’ogni discordia attribuendo a sé la Rosa del bottino.
«Chi sei? Chi sei? Come ti chiami? Di dove vieni? Dove fosti presa? Chi ti legò?»
La curiosità delle cortigiane incalza.
«Eppure io credo averti veduta in qualche parte» dice Soldamore.
«Anche a me, anche a me non sei nuova» dice Pantasilea.
«Mi sembra che di te io mi ricordi» dice Altafior.
«Or dove, or dove io ti conobbi?» dice la Soprana.
La prigioniera ride chinando il capo, e i capelli sconvolti la nascondono.
A un tratto per la via dei Fondachi scoppia il grido: «Il Re! Il Re! Sire Ughetto!»
Informato dagli spiatori, il giovine Lusignano è disceso al porto, con grande ansia. Appare sopra un caval soriano tutto ricoperto dalla gualdrappa azzurra. Gli cavalca da presso il Vescovo di Famagosta su la mula, seguito dalla chiericìa. Gli arcatori bulgari gli sono alla guardia. Dall’alto della sella scorge egli sùbito la giovine donna legata con le corde di sparto; e in lei vede l’Aspettata, la vergine Alète, la Santa vagabonda che alfine approda in Cipro!
Smonta, in trepidazione e in giubilo. Il suo vóto si compie!
Ora appare come forsennato. Respinge la ressa, scaccia le femmine, rimbrotta il signore di Sur. Egli medesimo taglia col suo pugnale le corde di sparto, liberando la prigioniera. Ella alfine si leva da terra, seminuda. Egli l’avvolge in un manto regale.
Cade la sera. «Accendete le faci! Alzate i cantici! Bruciate gli aromi!» L’ebrezza del Re non ha più limiti. Il corteo si forma. La vergine Alète sale nella lettiga. L’imaginazione del popolo è percossa. Le faci ardono, canti e suoni echeggiano. Il corteo si muove.
Ma, di contro all’improvviso fervore, stridono gli scherni delle cortigiane…