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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro secondo
    • [I due legati giongono in Trento; giongono anco l'ambasciator cesareo e gli ambasciatori del re de' Romani]
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[I due legati giongono in Trento; giongono anco l'ambasciator cesareo e gli ambasciatori del re de' Romani]

[A'] 13 marzo gionsero in Trento il cardinale del Monte et il cardinale Santa Croce, raccolti dal cardinal di Trento, fecero entrata publica in quel giorno e concessero tre anni et altre tante quarantene d'indulgenza a quelli che si ritrovarono presenti, se ben non avevano questa autorità dal papa, ma con speranza che egli ratificarebbe il fatto. Non trovarono prelato alcuno venuto, se ben il pontefice aveva fatto partire da Roma alcuni, acciò si ritrovassero al tempo prefisso.

La prima cosa che i legati fecero fu considerare la continenza della bolla delle facoltà dategli, e deliberarono tenerla occulta, et avvisarono a Roma che la condizione di procedere con consenso del concilio gli teneva troppo ligati e gli rendeva pari ad ogni minimo prelato, et averebbe difficoltato grandemente il governo, quando avesse bisognato communicare ogni particolare a tutti; aggiongendo anco che era un dare troppo libertà, anzi licenza alla moltitudine. Fu conosciuto in Roma che le raggioni erano buone e la bolla fu corretta secondo l'aviso, concedendo l'autorità assoluta. Ma i legati, mentre aspettavano risposta, dissegnarono nella chiesa catedrale il luogo della sessione capace di 400 persone.

Dieci giorni dopo li legati, gionse a Trento don Diego di Mendozza, ambasciatore cesareo appresso la republica di Venezia, per intervenire al concilio con amplissimo mandato datogli il 20 febraro da Bruselles, e fu ricevuto da' legati con l'assistenza del cardinale Madruccio e di tre vescovi, che tanti sino allora erano arrivati, quali, per essere stati i primi, è bene non tralasciare i nomi loro: e furono Tomaso Campeggio vescovo di Feltre, nepote del cardinale, Tomaso di San Felicio, vescovo della Cava, fra' Cornelio Musso franciscano, vescovo di Bitonto, il piú eloquente predicatore di quei tempi. Quattro giorni dopo fece don Diego la sua proposta in scritto: conteneva la buona disposizione della Maestà Cesarea circa la celebrazione del concilio e l'ordine dato a' prelati di Spagna per ritrovarvisi, quali pensava che oramai fossero in camino; fece scusa di non essere venuto prima per le indisposizioni; ricercò che s'incomminciassero le azzioni conciliari e la riforma de' costumi, come due anni prima in quel luogo medesimo era stato proposto da monsignore Granvela e da lui. I legati in scritto gli risposero, lodando l'imperatore, ricevendo la scusa della sua persona, e mostrando il desiderio della venuta de' prelati. E la proposta e la risposta furono dalla parte a chi apparteneva ricevute ne' capi non pregiudiciali alle raggioni del suo prencipe rispettivamente: cautela che rende indizio manifesto con qual carità e confidenza si trattava in proposta e risposta, dove non erano parole che di puro complemento, fuori che nella menzione di riforma.

I legati, incerti ancora qual dovesse esser il modo di trattare, facevano dimostrazione di dovere giontamente procedere con l'ambasciatore e prelati, e di communicare loro l'intiero de' pensieri: onde all'arrivo delle lettere da Roma o di Germania convocavano tutti per leggerle. Ma avvedendosi che don Diego si parteggiava a loro et i vescovi si presumevano piú del costumato a Roma, e temendo che, accresciuto il numero, non nascesse qualche inconveniente, avisarono a Roma, consegliando che ogni spacio gli fosse scritto una lettera da potere mostrare, e le cose secrete a parte, perché delle lettere sino a quel tempo ricevute gli era convenuto servirsi con ingegno. Dimandarono anco una cifra per poter communicare le cose di maggior momento. Le qual particolarità, insieme con molte altre che si diranno, avendole tratte dal registro delle lettere del cardinale del Monte e servendo molto per penetrare l'intimo delle trattazioni, non ho voluto tacerle.

Essendo già passato il mese di marzo e spirato di tanti giorni il prefisso nella bolla del papa per dar principio al concilio, i legati consegliandosi tra loro sopra l'aprirlo, risolsero d'aspettar aviso da Fabio Mignanello, noncio appresso Ferdinando, di quello che in Vormazia si trattava, et anco ordine da Roma, dopo che il papa avesse inteso la venuta et esposizione di don Diego; massime che gli pareva vergogna dar un tanto principio con tre vescovi solamente. Alli 8 d'aprile gionsero ambasciatori del re de' Romani, per ricevere i quali fu fatta solenne congregazione. In quella don Diego voleva precedere il cardinale di Trento e sedere appresso i legati, dicendo che, rappresentando l'imperatore, doveva sedere dove averebbe seduta Sua Maestà. Ma per non impedire le azzioni fu trovato modo di stare che non appariva quale di loro precedesse. Gli ambasciatori del re presentarono solo una lettera del suo prencipe; a bocca esplicarono l'osservanza regia verso la Sede apostolica et il pontefice, l'animo pronto a favorire il concilio et ample offerte: soggionsero che mandarebbe il mandato in forma e persone piú instrutte.

Dopo questo arrivò a Trento et a Roma l'aspettato aviso della proposta fatta in dieta il 24 marzo dal re Ferdinando, che vi presedeva per nome dell'imperatore, e della negoziazione sopra di quella seguita: e fu la proposta del re che l'imperatore aveva fatta la pace col re di Francia per attendere a comporre i dissidii della religione e proseguire la guerra contra turchi; dal quale aveva avuto promessa d'aiuti e dell'approbazione del concilio di Trento, con risoluzione d'intervenirvi o in persona o per suoi ambasciatori. Per questo stesso fine aveva operato col pontefice che l'intimasse di nuovo essendo stato per inanzi prorogato, e sollecitatolo anco a contribuire aiuti contra i turchi. Che dalla Santità Sua aveva ottenuto l'intimazione e già essere in Trento gl'ambasciatori mandati dall'imperatore e da lui. Che era noto ad ogni uno quanta fatica avesse usato Cesare per fare celebrare il concilio, prima con Clemente in Bologna, poi con Paolo in Roma, in Genova, in Nizza, in Lucca et in Busseto. Che secondo il decreto di Spira, aveva dato ordine ad uomini dotti e di buona conscienza che componessero una riforma; la qual anco era stata ordinata. Ma essendo cosa di molta deliberazione et il tempo breve, soprastando la guerra turchesca, avere Cesare deliberato che, tralasciato di parlare piú oltre di questo, s'aspettasse di veder prima qual fosse esser il progresso del concilio e che cosa si poteva da quello sperare, dovendosi comminciare presto; che, quando non apparisse frutto alcuno, si potrebbe inanzi il fine di quella dieta intimare un'altra per trattare tutto 'l negozio della religione, attendendo adesso a quello che piú importa, cioè alla guerra de' turchi.

 

 




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