[Il papa e Cesare si trovano insieme in
Bologna]
Ma essendo, come si è detto, conclusa la lega
tra 'l papa e l'imperatore, fermato l'ordine per la coronazione, fu deputata
per questo effetto la città di Bologna, non parendo al papa conveniente che
quella solennità si facesse in Roma con l'intervento di quelli che doi anni
prima l'avevano saccheggiata; cosa che fu anco grata a Carlo, come quella che
faceva le ceremonie di piú breve ispedizione, il che era desiderato da lui per
passar in Germania quanto prima. Arrivò perciò in Bologna prima il pontefice,
come maggiore, e poi l'imperatore a' 5 di novembre, dove si fermò per 4 mesi,
abitando in un istesso palazzo col papa. Molte cose furono trattate da questi
due prencipi, parte per quiete universale della cristianità e parte per
interesse dell'uno e dell'altro. Le principali furono la pace generale d'Italia
e l'estinzione de' protestanti in Germania: della prima non appartiene al
soggetto che si tratta parlare; ma per quello che tocca a' protestanti, da
alcuni conseglieri di Cesare era proposto che, considerata la natura de'
tedeschi, tenaci della libertà, fosse meglio con mezi soavi e dolci
rapresentazioni e dissimulando molte cose, operare che i prencipi
all'obedienzia pontificia ritornassero, perché essendo levata quella
protezzione a' nuovi dottori, al rimanente sarebbe facilmente rimediato. E per
far questo, il vero e proprio rimedio esser il concilio, cosí perché da loro
era richiesto, come anco perché a quel nome augusto e venerando ogni uno
s'inclinerebbe.
Ma il pontefice, che di nissuna cosa piú
temeva che di un concilio, e massime quando fosse celebrato di là da' monti,
libero e con intervento di quelli che già apertamente avevano scosso il giogo
dell'obedienza, vedeva benissimo quanto fosse facil cosa che da questi fossero
persuasi anco gli altri. Oltre di ciò considerava che, se ben la causa sua era
commune con tutti li vescovi, quali le rinovate opinioni cercavano di privare
delle ricchezze possedute, nondimeno anco tra loro e la corte romana restava
qualche materia di disgusti, pretendendo essi che fosse usurpata loro la
collazione de' beneficii con le reservazioni e prevenzioni, et ancora levata
gran parte dell'amministrazione e tirata a Roma con avocazione di cause,
riservazioni di dispense et assoluzioni et altre tal facoltà, che, già communi
a tutti i vescovi, s'avevano i pontefici romani appropriate. Onde si figurava
che la celebrazione del concilio dovesse esser una totale diminuzione
dell'autorità pontificale. Per il che voltò tutti i suoi pensieri a persuader
l'imperatore che il concilio non era utile per quietare i moti di Germania, anzi
pernizioso per l'autorità imperiale in quelle provincie. Gli considerava due
sorti di persone infette: la moltitudine et i prencipi e grandi; esser
verisimile che la moltitudine sia ingannata, ma il sodisfarla nella dimanda del
concilio non esser mezo per illuminarla, anzi per introdur la licenzia
populare. Se si concedesse di metter in dubio o ricercar maggior chiarezza
della religione, averebbe immediate preteso di dar anco legge al governo e con
decreti restringer l'autorità de' prencipi, e quando avessero ottenuto di
essaminare e discutere l'autorità ecclesiastica, impararebbono a metter
difficoltà anco nella temporale. Gli mostrò esser piú facile opporsi alle prime
dimande della moltitudine che, doppo, averla compiacciuta in parte, volergli
metter termine. Quanto a' prencipi e grandi, poteva tener per certo essi non
aver fine di pietà, ma d'impadronirsi de' beni ecclesiastici e diventar
assoluti, riconoscendo niente o poco l'imperatore, e molti di loro conservarsi
intatti da quella contagione per non aver ancora scoperto l'arcano, il qual
fatto manifesto, tutti s'adrizzeranno allo stesso scopo. Non esser dubio che il
pontificato, perduta la Germania, perderebbe assai; maggior però sarebbe la
perdita imperiale e della casa d'Austria; a che, volendo provedere, non aveva
altro mezo che severamente adoperare l'autorità e l'imperio, mentre la maggior
parte l'ubidiva; nel che era necessaria la celerità, inanzi che il numero
cresca maggiormente e sia scoperto dall'universale il commodo che vi sia
seguendo quelle opinioni. Alla celerità tanto necessaria niente esser piú
contrario che trattar di concilio; perché, quantonque ognuno s'inclinasse e non
vi fosse posto impedimento alcuno, non si potrà però congregar se non con
longhezza d'anni, né trattar le cose se non con prolissità; il che solo voleva
considerare; perché parlare delli impedimenti che si eccitarebbono per diversi
interessi di persone che con vari pretesti si opponerebbono, interponendo
dilazione per il meno a fine di venirne a niente, sarebbe cosa infinita. Esser
sparsa fama che i pontefici non vogliono concilio per timore che l'autorità
loro sia ristretta: raggione che in lui non fa impressione alcuna, essendo
l'autorità sua data da Cristo immediate con promessa che manco le porte
dell'inferno non potranno prevalere contra quella, et avendo l'esperienza de'
tempi passati mostrato che per nissun concilio celebrato è stata diminuita
l'autorità pontificale; anzi, che seguendo le parole del Signore, i padri
l'hanno sempre confessata assoluta et illimitata, come è veramente. E quando i
pontefici, per umiltà o per altro rispetto, si sono astenuti d'usarla
intieramente, i padri sono stati autori di fargliela metter tutta in
essecuzione. E questo può veder chiaro chi leggerà le cose passate; perché
sempre i pontefici si sono valuti di questo mezo contra le nuove opinioni di
eretici et in ogni altra necessità con aumento dell'autorità loro. E quando si
volesse anco tralasciar la promessa di Cristo, che è il vero et unico
fondamento, e considerar le cose in termini umani, il concilio consta di
vescovi, ai vescovi la grandezza pontificia è utile, perché da quella sono
protetti contra i prencipi e popoli. I re et altri soprani ancora, che hanno
inteso et intenderanno ben le regole di governo, sempre favoriranno l'autorità
apostolica, non avendo altro mezo di reprimer e tener in ufficio i loro
prelati, quando hanno spirito di trapassare il grado proprio. Concluse il papa
esser nell'animo suo tanto certo dell'essito che poteva parlarne come profeta
et affermare che facendo concilio seguirebbono maggiori disordini in Germania.
Perché chi lo richiede, mette inanzi per pretesto di continuare sino allora
nelle cose attentate; quando da quello le openioni loro saranno condannate, che
altro non può succeder, piglieranno altra coperta per detraer al concilio, e
per fine l'autorità cesarea in Germania resterà annichilata et in altri luoghi
concussa; la ponteficia in quella regione si diminuirà e nel resto del mondo
s'amplificherà maggiormente. E però tanto piú doveva Cesare creder al parer
suo, quanto non era mosso da proprio interesse, ma da desiderio di veder la
Germania riunita alla Chiesa e l'imperatore ubedito. Che era irreuscibile, se
non si fosse trasferito in Germania quanto prima et immediate usata l'autorità
con intimare che senza alcuna replica fosse esseguita la sentenzia di Leone e
l'editto di Vormazia, non ascoltando qualonque cosa i protestanti siano per
dire, dimandando o concilio o maggior instruzzione, o allegando la loro
appellazione e protesta o altra iscusazione, che tutti non possono esser se non
pretesti d'impietà; ma al primo incontro di disubedienzia passando alla forza,
la quale gli sarebbe stata facile usare contra pochi, avendo tutti i prencipi
ecclesiastici e la maggior parte de' secolari, che s'averebbono armato con lui
a questo effetto; che cosí, e non altrimenti, conviene al ufficio
dell'imperatore, avvocato della Chiesa romana, et al giuramento fatto nella
coronazione d'Aquisgrana e che doverà far nel ricever la corona per mano sua.
Finalmente esser cosa chiara che la tenuta del concilio e qualonque altra
trattazione o negociazione che si introducesse in questa occasione,
necessariamente terminerebbe in una guerra. Esser adonque meglio tentar di
componer quei disordeni col vigor dell'imperio et assoluto commando, cosa che
si può reputar dover riuscir facilmente, e quando ciò non si potesse ben
effettuare, venir piú tosto alla forza et arme, che rilasciar il freno alla
licenzia popolare, alla ambizione de' grandi et alla perversità degli
eresiarchi.
Queste ragioni, se ben disdicevoli in
bocca di frate Giulio de' Medici, cavalier di Malta (che cosí si chiamava il
pontefice inanzi fusse creato cardinale) non che di Clemente papa VIII, valsero
nondimeno appresso Carlo, aiutate dalle persuasioni di Mercurio da Gattinara,
cancellier imperiale e cardinale, al qual fece il papa molte promesse, e
particolarmente d'aver risguardo ai suoi parenti e dependenti nella prima
promozione de' cardinali che preparava far, et anco dalla propria inclinazione
di Cesare d'aver in Germania imperio piú assoluto di quello che fu concesso al
suo avo et all'avo del padre.
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