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Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino

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  • Libro primo
    • [Il papa e Cesare si trovano insieme in Bologna]
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[Il papa e Cesare si trovano insieme in Bologna]

Ma essendo, come si è detto, conclusa la lega tra 'l papa e l'imperatore, fermato l'ordine per la coronazione, fu deputata per questo effetto la città di Bologna, non parendo al papa conveniente che quella solennità si facesse in Roma con l'intervento di quelli che doi anni prima l'avevano saccheggiata; cosa che fu anco grata a Carlo, come quella che faceva le ceremonie di piú breve ispedizione, il che era desiderato da lui per passar in Germania quanto prima. Arrivò perciò in Bologna prima il pontefice, come maggiore, e poi l'imperatore a' 5 di novembre, dove si fermò per 4 mesi, abitando in un istesso palazzo col papa. Molte cose furono trattate da questi due prencipi, parte per quiete universale della cristianità e parte per interesse dell'uno e dell'altro. Le principali furono la pace generale d'Italia e l'estinzione de' protestanti in Germania: della prima non appartiene al soggetto che si tratta parlare; ma per quello che tocca a' protestanti, da alcuni conseglieri di Cesare era proposto che, considerata la natura de' tedeschi, tenaci della libertà, fosse meglio con mezi soavi e dolci rapresentazioni e dissimulando molte cose, operare che i prencipi all'obedienzia pontificia ritornassero, perché essendo levata quella protezzione a' nuovi dottori, al rimanente sarebbe facilmente rimediato. E per far questo, il vero e proprio rimedio esser il concilio, cosí perché da loro era richiesto, come anco perché a quel nome augusto e venerando ogni uno s'inclinerebbe.

Ma il pontefice, che di nissuna cosa piú temeva che di un concilio, e massime quando fosse celebrato di da' monti, libero e con intervento di quelli che già apertamente avevano scosso il giogo dell'obedienza, vedeva benissimo quanto fosse facil cosa che da questi fossero persuasi anco gli altri. Oltre di ciò considerava che, se ben la causa sua era commune con tutti li vescovi, quali le rinovate opinioni cercavano di privare delle ricchezze possedute, nondimeno anco tra loro e la corte romana restava qualche materia di disgusti, pretendendo essi che fosse usurpata loro la collazione de' beneficii con le reservazioni e prevenzioni, et ancora levata gran parte dell'amministrazione e tirata a Roma con avocazione di cause, riservazioni di dispense et assoluzioni et altre tal facoltà, che, già communi a tutti i vescovi, s'avevano i pontefici romani appropriate. Onde si figurava che la celebrazione del concilio dovesse esser una totale diminuzione dell'autorità pontificale. Per il che voltò tutti i suoi pensieri a persuader l'imperatore che il concilio non era utile per quietare i moti di Germania, anzi pernizioso per l'autorità imperiale in quelle provincie. Gli considerava due sorti di persone infette: la moltitudine et i prencipi e grandi; esser verisimile che la moltitudine sia ingannata, ma il sodisfarla nella dimanda del concilio non esser mezo per illuminarla, anzi per introdur la licenzia populare. Se si concedesse di metter in dubio o ricercar maggior chiarezza della religione, averebbe immediate preteso di dar anco legge al governo e con decreti restringer l'autorità de' prencipi, e quando avessero ottenuto di essaminare e discutere l'autorità ecclesiastica, impararebbono a metter difficoltà anco nella temporale. Gli mostrò esser piú facile opporsi alle prime dimande della moltitudine che, doppo, averla compiacciuta in parte, volergli metter termine. Quanto a' prencipi e grandi, poteva tener per certo essi non aver fine di pietà, ma d'impadronirsi de' beni ecclesiastici e diventar assoluti, riconoscendo niente o poco l'imperatore, e molti di loro conservarsi intatti da quella contagione per non aver ancora scoperto l'arcano, il qual fatto manifesto, tutti s'adrizzeranno allo stesso scopo. Non esser dubio che il pontificato, perduta la Germania, perderebbe assai; maggior però sarebbe la perdita imperiale e della casa d'Austria; a che, volendo provedere, non aveva altro mezo che severamente adoperare l'autorità e l'imperio, mentre la maggior parte l'ubidiva; nel che era necessaria la celerità, inanzi che il numero cresca maggiormente e sia scoperto dall'universale il commodo che vi sia seguendo quelle opinioni. Alla celerità tanto necessaria niente esser piú contrario che trattar di concilio; perché, quantonque ognuno s'inclinasse e non vi fosse posto impedimento alcuno, non si potrà però congregar se non con longhezza d'anni, né trattar le cose se non con prolissità; il che solo voleva considerare; perché parlare delli impedimenti che si eccitarebbono per diversi interessi di persone che con vari pretesti si opponerebbono, interponendo dilazione per il meno a fine di venirne a niente, sarebbe cosa infinita. Esser sparsa fama che i pontefici non vogliono concilio per timore che l'autorità loro sia ristretta: raggione che in lui non fa impressione alcuna, essendo l'autorità sua data da Cristo immediate con promessa che manco le porte dell'inferno non potranno prevalere contra quella, et avendo l'esperienza de' tempi passati mostrato che per nissun concilio celebrato è stata diminuita l'autorità pontificale; anzi, che seguendo le parole del Signore, i padri l'hanno sempre confessata assoluta et illimitata, come è veramente. E quando i pontefici, per umiltà o per altro rispetto, si sono astenuti d'usarla intieramente, i padri sono stati autori di fargliela metter tutta in essecuzione. E questo può veder chiaro chi leggerà le cose passate; perché sempre i pontefici si sono valuti di questo mezo contra le nuove opinioni di eretici et in ogni altra necessità con aumento dell'autorità loro. E quando si volesse anco tralasciar la promessa di Cristo, che è il vero et unico fondamento, e considerar le cose in termini umani, il concilio consta di vescovi, ai vescovi la grandezza pontificia è utile, perché da quella sono protetti contra i prencipi e popoli. I re et altri soprani ancora, che hanno inteso et intenderanno ben le regole di governo, sempre favoriranno l'autorità apostolica, non avendo altro mezo di reprimer e tener in ufficio i loro prelati, quando hanno spirito di trapassare il grado proprio. Concluse il papa esser nell'animo suo tanto certo dell'essito che poteva parlarne come profeta et affermare che facendo concilio seguirebbono maggiori disordini in Germania. Perché chi lo richiede, mette inanzi per pretesto di continuare sino allora nelle cose attentate; quando da quello le openioni loro saranno condannate, che altro non può succeder, piglieranno altra coperta per detraer al concilio, e per fine l'autorità cesarea in Germania resterà annichilata et in altri luoghi concussa; la ponteficia in quella regione si diminuirà e nel resto del mondo s'amplificherà maggiormente. E però tanto piú doveva Cesare creder al parer suo, quanto non era mosso da proprio interesse, ma da desiderio di veder la Germania riunita alla Chiesa e l'imperatore ubedito. Che era irreuscibile, se non si fosse trasferito in Germania quanto prima et immediate usata l'autorità con intimare che senza alcuna replica fosse esseguita la sentenzia di Leone e l'editto di Vormazia, non ascoltando qualonque cosa i protestanti siano per dire, dimandando o concilio o maggior instruzzione, o allegando la loro appellazione e protesta o altra iscusazione, che tutti non possono esser se non pretesti d'impietà; ma al primo incontro di disubedienzia passando alla forza, la quale gli sarebbe stata facile usare contra pochi, avendo tutti i prencipi ecclesiastici e la maggior parte de' secolari, che s'averebbono armato con lui a questo effetto; che cosí, e non altrimenti, conviene al ufficio dell'imperatore, avvocato della Chiesa romana, et al giuramento fatto nella coronazione d'Aquisgrana e che doverà far nel ricever la corona per mano sua. Finalmente esser cosa chiara che la tenuta del concilio e qualonque altra trattazione o negociazione che si introducesse in questa occasione, necessariamente terminerebbe in una guerra. Esser adonque meglio tentar di componer quei disordeni col vigor dell'imperio et assoluto commando, cosa che si può reputar dover riuscir facilmente, e quando ciò non si potesse ben effettuare, venir piú tosto alla forza et arme, che rilasciar il freno alla licenzia popolare, alla ambizione de' grandi et alla perversità degli eresiarchi.

Queste ragioni, se ben disdicevoli in bocca di frate Giulio de' Medici, cavalier di Malta (che cosí si chiamava il pontefice inanzi fusse creato cardinale) non che di Clemente papa VIII, valsero nondimeno appresso Carlo, aiutate dalle persuasioni di Mercurio da Gattinara, cancellier imperiale e cardinale, al qual fece il papa molte promesse, e particolarmente d'aver risguardo ai suoi parenti e dependenti nella prima promozione de' cardinali che preparava far, et anco dalla propria inclinazione di Cesare d'aver in Germania imperio piú assoluto di quello che fu concesso al suo avo et all'avo del padre.

 

 




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