Luigi Capuana: Raccolta di opere
Luigi Capuana
Racconti
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TOMO II

LE PAESANE

III ROTTURA COL PATRIARCA

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III

 

ROTTURA COL PATRIARCA

 

Tutte le volte che gli parlavano di san Giuseppe, il cavaliere Florestano, quantunque credente e devoto, arricciava il naso e faceva spallucce:

- Lo rispetto come Patriarca e come padre putativo di Gesú Cristo; ma non voglio piú averci che fare, né punto né poco! -

In verità, san Giuseppe non s'era condotto molto bene con lui; e se il cavaliere, in un momento di giusto risentimento, aveva buttato giú dal terrazzino il quadro del santo, dalla bella barba bianca, dal bastone fiorito e il bambino Gesú tra le braccia che gli accarezzava il mento colla manina; e se gli aveva chiuso l'uscio in viso il diciannove marzo, giorno della sua festa, e con lui alla Madonnina e al Bambino, invitati parecchi anni di seguito in persona di tre poverelli che cosí portavano via da mangiare a ufo per un paio di mesi - dopo che il cavaliere li aveva serviti umilmente a tavola, quasi fossero stati proprio san Giuseppe, la Madonna e il Bambino - siamo giusti, di chi era la colpa? No, san Giuseppe, non s'era condotto bene con lui. La rottura era stata solenne, diffinitiva. Lo aveva canzonato troppo il Patriarca; e il cavaliere, assai longanime e paziente, all'ultimo, lo aveva mandato, quantunque Patriarca, a quel paese!

Passi la storia della moglie, con la falsa gravidanza. Chi aveva pregato il Patriarca di fargli il miracolo? Oramai, il cavaliere e la sua signora si erano belli e rassegnati; sarebbero morti senza eredi; e i parenti lontani avrebbero diviso tra loro ogni cosa: fondi, case, mobili, bestiame, giacché non c'era verso di portarseli via nell'altro mondo. Ma un giorno, ecco arrotondarsi il ventre della signora, e il seno gonfiarsi e i capezzoli inumidirsi anticipatamente di latte; ecco languori, nausee, insomma tutti i sintomi della gravidanza; cosa incredibile!

- Il Patriarca vi ha fatto il miracolo! - gli aveva detto il confessore.

Il cavaliere però, con tutta la sua fiducia nella potenza del gran santo, aveva voluto consultare i dottori prima di prestar fede al portento. Sarebbe stata proprio un portento quella creaturina che stava per formarsi nel seno attempato di sua moglie, già grassa e infloscita, e quando tutti meno se l'aspettavano. I dottori non credevano ai loro occhi e al loro tatto:

- I sintomi sono innegabili! -

 

D'allora in poi il cavaliere non era piú stato nei panni; ed era andato dappertutto, pei caffè, per le farmacie, pei crocchi, a proclamare il lieto avvenimento gesticolando con quei braccini stecchiti, agitando quel corpicino magro e striminzito tenuto su a forza di torli di uova con lo zucchero e di fette di pan di Spagna, soli cibi tollerati dal suo povero stomaco.

La gente scrollava il capo, gli rideva in faccia:

- Vedremo, da qui a nove mesi! -

Egli prendeva cocci, e voleva condurre per forza gli increduli a casa sua, perché vedessero e toccassero con mano.

La signora, seduta su una poltrona a sdraio tutta la santa giornata, con cuscini dietro e ai fianchi perché riposasse meglio, si prestava alle replicate osservazioni con indolente compiacenza di donna grassa, un po' invanita della straordinarietà del caso, con a fior di labbra l'anticipato sorriso di mamma contenta e soddisfatta.

Il cavaliere, in quei giorni, le aveva fatto dipingere sotto gli occhi, da don Paolo il matto, una bella immagine del Patriarca, che gli era costata piú di cinquanta lire, tra tela, colori e colazioni e desinari pel pittore; il quale, matto addirittura, per poco non aveva fatto ammattire anche loro, con la fissazione di voler sposare tutte le donne che gli capitavano dinnanzi.

Il lavoro era riuscito una bellezza, quantunque opera d'un matto. Si vedeva anche qui la speciale protezione del Patriarca!

Il quadro era stato appeso al muro, nella loro camera, sotto un baldacchino di seta rossa che faceva risaltare la cornice dorata; per nove mesi vi avevano acceso una lampadina a olio, giorno e notte; e tutte le sere, la famiglia, cioè il cavaliere, sua moglie, sua suocera e la vecchia serva, per nove mesi di seguito, aveano recitato il santo rosario e le litanie, ginocchioni, in ringraziamento; inteneriti, ogni volta, di quel dolce sguardo con cui pareva che il Patriarca, circondato dall'aureola, li guardasse, tenendo in mano il bastone fiorito, mentre il Bambino Gesú gli accarezzava il mento con la manina paffuta.

- Ah, Patriarca glorioso! Come ringraziarvi degnamente? Il cavaliere glielo ripeteva ogni sera, andando a letto, o prima di addormentarsi con gli occhi rivolti alla sacra immagine che pareva gli sorridesse e gli accennasse, quasi persona viva.

Intanto le stanze si erano riempite di fasce, di pannilini, di cuffiette di tulle, di camicine che la signora faceva cucire in casa dalle ragazze del vicinato; e non le pareva averne mai preparate a bastanza. Il cavaliere, quando ogni cosa fu terminata, lavata e stirata, l'aveva disposta torno torno, - di propria mano, delicatamente, quasi avesse maneggiato l'ostia consacrata - qua e , sul letto, su le seggiole, sui tavolini. La camera raggiava tutta di candore, sotto gli sguardi del Patriarca che benediceva fasce, pannilini, cuffiette e camicine dalla cornice del quadro, quasi compiaciuto dell'opera propria a cui tutto quel candore era destinato. E le buone vicine erano state invitate a venir a vedere; e le amiche avevano avuto la partecipazione che tutto era pronto; mancava, soltanto il bambino... o la bambina.

- Sarà un bambino, vedrai! - aveva detto piú volte il cavaliere alla moglie. - Il Patriarca non vorrà fare le cose a mezzo; sarà un bambino, vedrai. Abbiamo bisogno d'un erede, pel nome -.

E in un momento d'entusiasmo, marito e moglie avevano fatto voto d'invitare il Patriarca ogni anno, il della sua festa, scegliendo tre poverelli del vicinato, un vecchio da rappresentare san Giuseppe, una bambina da rappresentare la Madonna, e un bambino da figurare da Gesú Bambino; e avevano discusso lungamente intorno ai nomi, al pranzo e ai regali da fare ai tre poverelli per gloria del Patriarca miracoloso, in ringraziamento del figliuolino che doveva venir fuori da a poco, a rallegrare la loro casa, a consolare i loro cuori.

 

Nove mesi erano già passati senza che venisse fuori niente, nemmeno un aborto; e il ventre della signora era rimasto tumido come per l'innanzi, e il seno rigonfio e i capezzoli umidi di latte.

- Che vuol dire? Si tratta, forse, di una malattia invece d'una gravidanza? Possibile? Lo stupore del cavaliere era stato grande, e la delusione piú grande ancora. Marito e moglie avevano atteso un altro mese, lusingati dalla speranza di qualche miracolo che forse voleva prolungare i termini della gestazione; il Patriarca non poteva tutto? Poi, disillusi, avevano nascosto in fondo a un cassone, in un angolo oscuro della casa, tutto quel monte di biancherietta che non serviva piú a niente; muti, addolorati, quasi avessero seppellito con le loro stesse mani, in fondo al gran cassone di noce scolpito, il desiderato figliuolino. E il cavaliere, serio e solenne, lanciata un'occhiataccia di rimprovero al santo, gli aveva spento con soffio pieno di dispetto la lampadina a olio sotto il naso; né gliela aveva piú riaccesa da quel momento in poi: non se la meritava!

- Chi lo ha pregato di farci il miracolo? Perché burlarsi di noi, a questo modo? E gli tenne broncio fino a marzo.

All'avvicinarsi della festa, la fede del credente si riaccese. Egli disse alla moglie:

- Se il Patriarca, dal canto suo, ha mancato, non è giusto che noi non eseguiamo il voto d'invitare a pranzo i tre poverelli a gloria di lui. Coi santi non si scherza. Non gli è piaciuto di darci un figliolo? C'impetrerà da Gesú Cristo la grazia dell'anima. Inoltre, i dottori non dicono che tu sei guarita, non si sa come, della misteriosa malattia parsa una gravidanza? Forse il miracolo del Patriarca è stato questo -.

Da due mesi lo zi' Pino Cudduruni si cresceva la barba bianca per rappresentare meglio il Patriarca, e si era già provato la tunica e il mantello di mussola azzurra da indossare in tale occasione, fatti lavorare a spese del cavaliere, insieme coi vestitini per la Madonna e pel bambino Gesú.

Da otto giorni, il bel castrato, cresciuto a posta solitario fra i buoi e destinato al santo banchetto, era stato condotto in città dal massaio, perché vi fosse ingrassato meglio. E il cavaliere, sentendolo belare giú nella stalla, dov'era attaccato con una corda attorno il collo, per evitare che scappasse, si voltava verso l'immagine del Patriarca e gli diceva:

- Patriarca, bela il vostro castrato. L'ho fatto allevare a posta per la vostra solennità -.

Quasi gli avesse detto; - Patriarca, fategli attorcigliare la corda al collo tre giorni prima della festa, perché si strozzi e la carne vada a male! -

Non fu un dispetto anche questo? Non lo sapeva il Patriarca che quel castrato era destinato ai poverelli? Come mai dunque aveva permesso che si strozzasse attorcigliandosi la corda al collo, tre giorni prima della festa? E la carne era andata a male.

Questa disgrazia, oltre a sciupargli tutti i preparativi, l'aveva costretto a fare nuove spese per riparare all'accaduto. Cosí, tra corredo pel bambino e castrato dovuto sostituire, il Patriarca gli costava caruccio.

- Vedremo quest'altr'anno! -

 

Il cavaliere, ch'era buono e aveva gran fede nella bontà dei santi tutti e del Patriarca in particolare, una partaccia di nuovo genere non se l'aspettava davvero.

Infatti si era voluto superare; e aveva fatto le cose spendendo come un Cesare, ordinando alle monache del Monastero Vecchio dolci e cassate. Aveva anche ottenuto, per favore, il cuoco del principe Grimaldi, che portò in cucina una batteria di arnesi d'ogni sorta pel timballo, pel fritto, per l'arrosto, quasi avesse dovuto preparare un pranzo al sottoprefetto. Era per qualcosa di meglio; il pranzo figurava destinato ai poverelli, ma si dava in onore del Patriarca, che meritava ben altro.

Il san Giuseppe di quest'anno, indossata la tunica azzurra e il mantello, si era incollato su la faccia la barba di bambagia. La Madonnina, pronta anche lei, con in testa la corona di carta dorata, si pavoneggiava sotto il velo bianco che le scendeva per le spalle fino alle calcagna; aveva il petto tutto parato di collane di oro e di orecchini appuntati su la stoffa. Il bambino Gesú, in tonacella bianca, incoronato ugualmente di carta dorata, provava la benedizione con due ditini della mano destra. Su la tavola apparecchiata luccicavano bicchieri, bottiglie, coltelli, posate d'argento, tra fiori sparsi e a mazzi; e sulla credenza biondeggiavano, enormi e rotondi, i buccellati di fior di farina: il piú grande per san Giuseppe, e i piú piccoli per la Madonna e pel Bambino Gesú. Mastro Nunzio e gli altri suonatori già accordavano i violini, intanto che il prete, in un angolo, s'infilava la cotta per benedire tutto e tutti in nome di Dio.

Sapete, intanto, che pensò di fare il Patriarca? Pensò di far ruzzolare per le scale la zi' Antonia, la vecchia serva di casa, che correva dalle monache per la cassata e pei dolci! E quando, tra la gran confusione e gli urli, la portarono su, la poverina, che aveva una gamba rotta, pareva già morta sul letto dove l'avevano adagiata!

- Insomma, il Patriarca lo fa espressamente, per guastarmi la festa? -

Ci mancò poco che il cavaliere non dicesse delle eresie; né era ben sicuro, dopo, che qualche moccolo, di quelli con la rigirata, non gli fosse scappato di bocca senza ch'egli se ne fosse accorto.

Strabiliava. Gli pareva di sognare.

- Tutto questo però può anch'essere opera del diavolo, per farmi perdere la pazienza! -

La sera, andando a letto, disse alla signora:

- Vedremo quest'altr'anno! -

E, quantunque volesse parere rassegnato, mostrava una bella stizza nella voce.

 

Quell'altro anno, il cavaliere aveva pensato di premunirsi contro ogni possibile accidente. Tutto era stato disposto e preparato in modo che nessuno avesse potuto correr pericolo di rompersi il collo.

- Non c'è da attendersi altro, dopo il fatto dell'anno scorso! - pensava il cavaliere.

E per ciò il prete era venuto il giorno avanti a benedire stanza, tavola, cucina e arnesi. Il diavolo avrebbe inciampato nell'acqua santa e sarebbe scappato via piú che di corsa. Questa volta però il cavaliere si persuase che il diavolo non c'entrava affatto, e che tutto era una personalità, , una personalità di san Giuseppe contro di lui!

- Che gli ho fatto al Patriarca, perché proprio il giorno della sua festa, prima che i tre poverelli si mettano a tavola, mandi un accidente a mia suocera? È rimasta stecchita sulla seggiola senza dare un sospiro, come cadavere di cent'anni!... Che gli ho mai fatto? E preso rabbiosamente il quadro di don Paolo il matto, urlò:

- Fuori di casa mia! Fateci un bel crocione! - E lo buttò giú dal terrazzino.

- Voi bestemmiate, voi siete incorso nella scomunica! - gli diceva il confessore, che non poteva frenarsi dal ridere.

E il cavaliere, duro, intestato, dignitosamente rispondeva:

- Come Patriarca e come padre putativo di Gesú Cristo, gli fo tanto di cappello; ma come san Giuseppe, no, non voglio piú aver che fare con lui. Non voglio neppur sentirlo nominare fin che campo! -

E mantenne la parola.

 

Napoli, maggio 1888.

 

 

 



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